Di seguito un comunicato diffuso dal movimento 5 stelle-Bari:
In questi giorni i Municipi di Bari sono chiamati ad esprimere il proprio parere sul Regolamento Comunale per la concessione di contributi per attività culturali e di spettacolo.
Il Movimento Cinque Stelle boccia il regolamento, nello stupore dei ben noti “alzatori di mano telecomandati” della maggioranza, convinti che ci saremmo arresi alla loro “fuffa” mediatica. Ancora una volta il PD dimostra di non aver capito nulla del nostro modo di fare politica. Non ha capito che non ci accontentiamo dei “bignami” pubblicati dalla stampa compiacente e che noi le carte le leggiamo.
Il provvedimento si inquadra nel più ampio e generale disinteresse di questa amministrazione verso il decentramento amministrativo, già di recente denunciato al Prefetto, per il quale il M5S ha chiesto anche lo scioglimento del Consiglio Comunale.
Al Comune spetterebbe soltanto definire l’indirizzo politico (“totalmente assente” nel testo del regolamento proposto!), lasciando le linee guida di spesa ai Municipi nell’ambito della formazione del bilancio partecipato (attualmete inesistente). Nulla di tutto ciò. La maggioranza riserva per sé il borsellino con cui ungere le ruote di una macchina clientelare ben collaudata.
Per bocciare questo regolamento sarebbe bastato anche solo osservare che nel testo l’unico riferimento alla cultura, al suo valore sociale, al suo ruolo determinante per la crescita morale e intellettuale, lo troviamo SOLO ed ESCLUSIVAMENTE nelle parole “le attività culturali e di spettacolo dirette a perseguire fini di pubblico interesse”(art.1 comma 2). In un lessico burocratese aziendalistico, questo è tutto lo spazio che all’idea di cultura questa amministrazione ha riservato.
Ma anche il modo con cui si è giunti al regolamento merita una menzione negativa. Questo regolamento nasce da un tavolo di contrattazione con sindacati e con il Teatro Pubblico Pugliese, un tavolo dal quale sono stati esclusi gli artisti e le piccole aziende culturali che non si riconoscono nelle sigle sindacali né tanto meno nel Teatro Pubblico Pugliese, vero monopolista del settore, entrambi interlocutori accomunati dal fatto di essere poco credibili nell’individuazione di soluzioni di un problema del quale sono essi stessi la causa: il mancato sviluppo economico delle aziende e degli operatori culturali a Bari.
La sensazione che si ha leggendo il testo è che questo regolamento, anziché fissare criteri generali, individui specifici e noti soggetti che a quei fondi, potranno attingere. Insomma una specie di “abito su misura” da far indossare alle clientele elettorali a cui accennavamo prima.
Chi può vantare nel triennio un bilancio preventivo di “costi non inferiori a 300.000 euro”, “900 giornate lavorative” o “120 giornate recitative…” (Art.3, comma 9)? Meglio avrebbe fatto il regolamento a scrivere direttamente i nomi dei fortunati destinatari di quei fondi pubblici. Trattasi di condizioni che agevolano i soliti carrozzoni con apparati amministrativi sovradimensionati, buoni solo per “sistemare” parenti e amici, dove poi generalmente rimane assai poco per gli artisti, in tal modo costretti ad emigrare o a cambiare lavoro depauperando ancor di più il patrimonio culturale del nostro territorio.
Non bastasse questo, il regolamento definisce e quantifica nella misura dell’otto percento massimo la “modica quantità” di mance che la Giunta potrà “arbitrariamente” e direttamente assegnare con l’ipocrita formula del purché “coerenti con gli indirizzi di politica culturale dell’Amministrazione”, indirizzi ovviamente non specificati da nessuna parte. Nessuna indicazione, invece, sulla percentuale delle varie categorie (progetti annuali, triennali, start up, ecc).
Questa mancanza crea una totale confusione nelle aspettative degli operatori che non hanno idea di quanto, ad esempio, andrà ai progetti triennali a cui la maggior parte di loro non potrà ambire.
Specificata invece la possibilità di derogare anche “ai termini di presentazione”. Non si sa mai, gli amici sono fatti così: a volte si dimenticano di guardare il calendario.
In sostanza, un Regolamento lacunoso in tutto, ma inspiegabilmente preciso nel definire le spese di “comunicazione” che dovranno essere comprese tra il 10% e il 15%. Certo, questo potrebbe sembrare un tantino eccessivo in un territorio come il nostro, dove nemmeno la Fondazione Petruzzelli forse spende tanto, ma ricordatevi che anche giornali e televisioni locali devono campare. Anche i criteri di valutazione che favoriscono la capacità di far rete, piuttosto che la qualità della produzione artistica, non ci sono piaciute al pari di tanti altri aspetti “tecnici”, quali la composizione della commissione aggiudicatrice e le modalità di scelta dei commissari. Ma la cosa che non possiamo tacere è l’istituzione di un “osservatorio” privo di poteri di controllo e d’indirizzo, contentino “pro forma” al bisogno di partecipazione, forse un contentino con il quale pensavano di comprarsi il nostro elettorato.