di Angela Maria Centrone
Questa settimana dovremmo eleggere ad eroi e ringraziare gli operatori sanitari, i ricercatori e tutti coloro – anche i fattorini delle consegne a domicilio – che continuano a svolgere il proprio lavoro con solerzia, mentre è in corso un’emergenza sanitaria globale. Invece molta gente, in preda a psicosi, se la prende con un intero popolo – e non solo – che in fondo è solo vittima di questa infezione.
Il modo in cui in questi giorni molta gente, per strada e soprattutto tramite i social media, si è accanita contro il popolo cinese, quale portatore del Coronavirus, fa pensare al bellissimo romanzo “Cecità” di José Saramago, scrittore portoghese e premio Nobel per la letteratura nel 1998, in cui una misteriosa e surreale forma di cecità contagiosa inizia a colpire le persone. Quel che succede è che i ciechi, con la complicità del governo, vengono messi in una quarantena che diventa una reclusione, e, durante il periodo in “cattività”, aumentando incredibilmente di numero con il passare dei giorni, subiscono un’involuzione allo stadio primitivo, che farà dimenticare a molti di loro di essere stati umani.
“È una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli” si legge nel romanzo. Ed è proprio questo il punto: dimenticare di aver di fronte un essere umano che sta soffrendo e vedere degli zombie pronti ad attaccarci. A cosa ci servono duemila anni di storia e conquiste intellettive e tecnologiche, se poi, in un attimo, ritorniamo a dei comportamenti preistorici in queste circostanze?
Forse, invece di leggere, condividere e disseminare fake news o confondere gli argomenti adducendo la chiusura dei porti come forma preventiva di combattere il virus, si dovrebbe (ri)leggere questo piccolo capolavoro letterario. Spietato, crudo, ma proprio per questo estremamente potente, che ci ricorda che la vera “cecità è vivere in un mondo dove non vi sia più speranza” e spesso il peggior virus che possa colpirci è quello che affetta la nostra capacità di discernimento.