All’Ilva di Taranto è in fase di sperimentazione un robot. Si chiama Roboharsh e, realizzato con il coordinamento dell’Istituto TeCip della Scuola Superiore Sant’Anna, coinvolgendo il gruppo Bm e l’azienda rumena Psc, permette di supportare le operazioni ispezione, pulizia e sostituzione dei componenti refrattari del cosiddetto “cassetto” della siviera. È quanto riportato dall’agenzia di stampa Agi.
Perché un sistema robotizzato? Perché, ad esempio, si è nel contesto della fusione dei materiali per la ghisa. Operazione estremamente complicata e pericolosa, per le persone che se ne devono occupare. E torna subito alla mente l’incidente tragico a causa del quale morì, nel giugno di tre anni fa, il lavoratore 35enne Alessandro Morricella, investito da un getto di ghisa incandescente. L’innovazione tecnologica, che andava pensata e programmata già da anni ai fini della sicurezza, deve essere una delle caratteristiche di uno stabilimento altrimenti insicuro, innanzitutto per chi lo deve fare andare avanti. Forse tre anni fa non si sarebbero ancora sviluppate le tecnologie per quel controllo della temperatura ma che invece di farlo fate a una persona fosse più opportuno, per esempio, un dispositivo meccanico, lo si crede davvero solo qui? I tecnici specificamente impegnati avranno certamente delle risposte adeguate.