Dice: “i primi che ho chiamato sono Salvatore Girone e Massimiliano Latorre”. Loro sono i primi, lui il quinto.
Paolo Gentiloni è stato scelto, come ministro degli Esteri, per la sua esperienza. Sembra che il presidente del Consiglio di fosse presentato con la new entry di turno, dal capo dello Stato, e poi con l’alternativa, e poi con l’alternativa ancora, e che però Napolitano avesse detto chiaro e tono di aspettarsi un ministro all’altezza della situazione, per la sua esperienza appunto. Uno che, messosi a sedere su quella poltrona, potesse sapere che fare, da subito. Perché di emergenze internazionali ce ne sono tante e una più difficile dell’altra. Quella che ci riguarda più da vicino è anche la prima, ovvero quella di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, marò pugliesi. Il secondo dei quali, ora, è a Taranto per un periodo di cura ma con la promessa di tornare. La sorte dei due, da ormai 33 mesi, è un rebus, anche piuttosto pericoloso. Né l’Italia ha saputo farli tornare in patria e processarli qui.
Paolo Gentiloni è il quinto ministro degli Esteri a occuparsi di questa vicenda: prima di lui, Giulio Terzi, poi Mario Monti ad interim per le dimissioni proprio di Terzi a causa della vicenda-marò, poi Emma Bonino e poi Federica Mogherini, che ora va a fare l’alta rappresentante europea. Ma che nella vicenda-marò, in otto mesi, ha sostanzialmente fallito, cone gli altri del resto. I due fucilieri di marina sono ancora in attesa di capire che fine faranno. Tocca a Gentiloni ora. Sotto col quinto.