Di Marcello Miali*:
Martedi 3 novembre si terranno le elezioni per eleggere il 46esimo Presidente degli Stati Uniti. In realtà dei 240 milioni di aventi diritto, oltre 50 milioni hanno già votato, perché il voto per posta è consentito e molto utilizzato.
Proprio il voto per posta è stato uno dei temi di questa campagna elettorale e lo sarà credo anche nelle prossime settimane o forse mesi, perché i repubblicani, e il presidente Trump in particolare, da tempo ormai sostengono che se dovessero perdere, sarà per colpa di presunti brogli dovuti a voti non validi.
Effettivamente il rischio c’è (una mia amica ha ricevuto il ballot, l’equivalente della nostra scheda elettorale, sia per sé che per i genitori, ormai defunti da qualche anno. Se volesse, lei potrebbe votare per tre persone… ) ma i numeri non sono quelli paventati da Trump. In più di un’occasione infatti, ha dichiarato che potrebbero esserci milioni di voti irregolari. Ovviamente non c’è nessuna base che confermi questi numeri ma il rischio è che tanti suoi seguaci ci credano e mettano mano alle armi in caso di vittoria di Biden. A dimostrazione di quanto sia reale questo rischio, Walmart, ad esempio, ha temporaneamente rimosso le armi dai propri punti vendita (sì, in alcuni stati si può comprare un fucile insieme al latte e alla carta igienica). Sia chiaro: gli Usa non sono il far west ma alcuni stati sono un po’ più selvaggi di altri. Il problema di fondo è che se Trump perdesse sarabbe il primo presidente da quaranta anni in qua a non essere riconfermato per il secondo mandato. Molto umiliante per chi si è sempre venduto come il vincente per eccellenza.
Cosa possiamo aspettarci?
Biden punta sulla cattiva gestione dell’emergenza Coronavirus del suo avversario (siamo ad oltre un milione di casi ma ho la sensazione che presto si arriverà al doppio).
Trump punta sui suoi risultati in campo economico e sulla ricerca continua di capri espiatori per la “non-gestione” a livello federale dell’emergenza sanitaria.
I sondaggi danno in deciso vantaggio Biden ma quattro anni fa gli stessi sondaggi davano in deciso vantaggio la Clinton. Sappiamo come abdò a finire.
New York City è stata la città che più ha sofferto negli ultimi sei mesi ed è lungi dal riprendersi. Alcune zone come Midtown (la zona intorno a Times Square) e il Financial District (la zona intorno a Wall Street) sono ancora semideserte. Spulciando tra gli annunci immobiliari, i prezzi degli affitti commerciali in queste due zone sono a volte inferiori ai prezzi di Brooklyn. Come se non bastasse le proteste e i cortei di Black Lives Matter, sono a volte degenerate in saccheggi e distruzioni.
Qualche giorno fa un investment banker di Philadelphia mi confidava che non si reca a New York da marzo, mentre prima ci andava almeno una volta alla settimana. Ovviamente non è un caso isolato. Amici che lavorano nei più svariati settori (fashion, tecnologia, finanza) evitano il più possibile di andare a New York.
Io mi occupo di vino, non di politica ma lavorando a stretto contatto con la ristorazione (tra i settori più danneggiati dai vari lockdown) noto mixed feelings riguardo l’esito finale. C’è chi dà la colpa ai governatori locali (prevalentemente democratici) e c’è chi accusa invece il negazionismo ad oltranza del governo federale.
Infine ci sono, come in ogni elezione che si rispetti, gli indecisi, forse i più obbiettivi e meno “tifosi”. Perché non dimentichiamo che ambedue i candidati non sono proprio dei ragazzini (74 anni per Trump e 77 per Biden) e ambedue criticabili per certi aspetti. La frase che sento più spesso è “ma su 330 milioni di americani, possibile che questi due siano i migliori che abbiamo?”
Insomma, è molto difficile fare previsioni ma se il margine di vittoria dell’uno o dell’altro sarà minimo, vivremo delle settimane, diciamo, molto interessanti.
*imprenditore di Martina Franca, vive negli Stati Uniti d’America