Iniziamo subito dalla fine. I discorsi sono assolutamente da leggere. Perché, fatti venticinque anni fa alla gente di Taranto e di Martina Franca, potrebbero essere tranquillamente stati scritti stamattina. Non è cambiato (quasi) niente. Li pronunciò il papa.
E ora ripartiamo dall’inizio della notizia.
Il 2 aprile di nove anni fa, alle nove e 37 minuti di sera, la morte di Karol Wojtyla. Un papa, Giovanni Paolo II, dal carisma gigantesco, un protagonista assoluto della scena mondiale, per gli oltre ventisei anni di pontificato. Un papa che nel territorio di questa regione è anche ricordato in numerose intitolazioni, dall’aeroporto di Bari al palasport di Martina Franca tanto per citare degli esempi, e che è ricordato in maniera indelebile per il suo discorso di Taranto, nella visita compiuta il 28 e il 29 ottobre 1989. In quell’ultima domenica di quel mese, di ormai quasi venticinque anni fa (e sarà bene che le autorità locali iniziano a pensare a delle celebrazioni per il lustro) Giovanni Paolo II fu dapprima a Martina Franca, in piazza XX Settembre, poi nel capoluogo, allo stadio “Iacovone”. Il giorno prima, all’Ilva, e ancora gli incontri con il personale medico e paramedico della cittadella della carità, con le maestranze dell’arsenale militare, con la popolazione in piazza Vittoria, con le coppie di sposi in concattedrale, con gli alunni del seminario.
I suoi discorsi, sulla tutela dell’ambiente, sul rispetto, sull’etica, sulla solidarietà, sembrano discorsi pronunciati stamani, come si diceva. Perché l’attualità di un quarto di secolo fa, nel territorio della provincia, è l’attualità di oggi, con gli stessi problemi irrisolti e le stesse prospettive di un territorio che, pieno di potenzialità, non ce la fa.
Magari compiamo una violazione, quella del copyright della libreria vaticana, ma la circostanza richiede di pubblicare (almeno) due discorsi di quella visita di Giovanni Paolo II. Insomma confidiamo nella comprensione dell’editrice. Grazie. Di seguito, il discorso a dipendenti e dirigenti dell’Ilva di Taranto, il 28 ottobre 1989 e, a seguire, il discorso agli agricoltori e agli artigiani, a Martina Franca, il 29 ottobre 1989:
VISITA PASTORALE A TARANTO
INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I LAVORATORI E I DIRIGENTI DELL’ILVA
Taranto – Sabato, 28 ottobre 1989
Cari amici, fratelli e sorelle.
1. A voi il mio saluto deferente e cordiale. È stato mio preciso impegno cominciare qui, tra voi, la mia visita pastorale in terra ionica. Siete infatti voi, lavoratori, abitanti di Taranto e della provincia o provenienti da tutta la Puglia, e perfino da varie regioni italiane e dall’estero, il primo motivo della presenza del Papa nella vostra città. In questo momento e da questo stabilimento il mio pensiero va a tutti i lavoratori che, in questa area del sud d’Italia, così provata e pur così ricca di potenzialità, vivono le speranze e le delusioni del lavoro moderno.
Ringrazio per i cortesi indirizzi di saluto che mi sono stati rivolti dai rappresentanti del governo italiano, della direzione aziendale e di tutti i lavoratori. Ho ascoltato con attenzione gli accenni da essi fatti alle difficoltà della situazione presente e alle ansie che si nutrono per il futuro. Sono qui per dirvi che partecipo intimamente a queste vostre preoccupazioni.
Ho seguito giorno per giorno le vicende delle ultime settimane e, pur senza entrare nel merito delle questioni sindacali che sono state all’origine della recente vertenza, desidero esprimere soddisfazione per la soluzione positiva che essa sembra avere finalmente raggiunto. Purtroppo, i problemi che interessano il settore siderurgico sono oggi particolarmente complessi e giustificano le apprensioni che voi manifestate, pensando alle ripercussioni che ogni riduzione di posti di lavoro ha sulle vostre famiglie e sulle prospettive dei giovani, in attesa di inserirsi attivamente nel ciclo produttivo.
2. La Chiesa non può restare indifferente di fronte a questa situazione, che coinvolge tanti suoi figli, ponendo una pesante ipoteca sul loro presente e sul loro futuro. Nella questione sociale entrano sicuramente fattori di ordine economico, tecnico, politico; essa, però, ha innanzitutto risvolti direttamente umani, che non possono essere posposti agli altri nella ricerca di una soluzione adeguata. Il Papa è qui per ricordarlo a quanti debbono dare il loro contributo all’adozione di opportune misure per fronteggiare la crisi.
Questo stesso intendimento mosse il mio predecessore, Papa Paolo VI, a venire tra voi, vent’anni or sono, quando questo centro siderurgico era in piena espansione. Nel Natale del 1968, fra questi altiforni, egli volle ancora una volta sottolineare con forza la necessità di saldare tra loro il progresso tecnologico e la ricerca della giustizia, nella prospettiva del messaggio di “Gesù, l’operaio profeta, il maestro e l’amico dell’umanità, il Salvatore del mondo” (Insegnamenti di Paolo VI, VI, [1968] 695). Alcuni tra voi, forse, sono stati presenti allora e possono aiutarci a ricordare quell’evento, che fece di Taranto il podio per lanciare, “come uno squillo di tromba risonante nel mondo”, un rinnovato richiamo all’insopprimibile aspetto etico della questione sociale.
3. Cari amici, nella scia del mio grande predecessore, vengo oggi ad incontrarvi, portandovi lo stesso messaggio da parte di Cristo e della Chiesa.
Questo impianto, in cui ci troviamo, e le officine, nelle quali voi lavorate e trascorrete buona parte delle vostre giornate, sono un segno eloquente delle capacità dell’uomo di trasformare la materia prima per adattarla alle proprie necessità. Lo stabilimento, che attualmente impiega circa sedicimila persone, si avvia a celebrare i trent’anni della posa della prima pietra. È un traguardo che, mentre registra innegabili successi, sollecita opportuni, indilazionabili ripensamenti. Non solo dei metodi operativi e delle strategie di mercato – cosa già in corso con la creazione della Società ILVA – ma anche, e soprattutto, della concezione di sviluppo, a cui ci si è, nel passato, ispirati.
Tuttavia, promuovere la capacità produttiva di un complesso industriale non è tutto, e non è neanche quello che più conta. Il valore e la grandiosità di un impianto di produzione, sia pure così impressionante come è questo vostro, non devono misurarsi unicamente con criteri di progresso tecnologico o di sola produttività e redditività economica e finanziaria, ma anche e soprattutto con criteri di servizio all’uomo e di corrispondenza a ciò che la vera dignità del lavoratore, in quanto immagine di Dio, richiama ed esige.
4. Ora, qual è, da questo punto di vista, la realtà attuale dell’ILVA di Taranto?
Vi è, anzitutto, la pesante situazione relativa all’occupazione, aggravata dal ridimensionamento della capacità produttiva dell’impianto, nel quadro di una crisi più generale concernente la produzione dell’acciaio. Vi sono i fenomeni connessi del pre–pensionamento e del ricorso alla cassa integrazione, rimedio, quest’ultimo, parziale e temporaneo in relazione alla mancanza o alla stasi del lavoro. Non mi sfuggono di certo le complesse componenti della crisi siderurgica, che è fenomeno di dimensione internazionale. Non posso però non rilevare le gravi conseguenze di questa situazione per gli operai stessi e per le rispettive famiglie, che dal loro lavoro traggono il necessario sostentamento.
Vorrei far sapere a quanti vivono tale situazione, uomini e donne, ma in modo particolare ai giovani, i quali non riescono ad inserirsi in un’attività adeguata alla loro preparazione, che sono vicino ad ognuno dei disoccupati e dei cassintegrati, e che porto loro la comprensione e la solidarietà di tutta la Chiesa.
Vi è, inoltre, la grave situazione ecologica, con le sue preoccupanti ripercussioni sulla natura, sul patrimonio zoologico ed ittico e sulla vita quotidiana delle persone. Il campanello di allarme è già scattato, anche qui a Taranto. Occorre ora far sì che le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicché l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo; saremmo tutti noi.
5. Quando si tratta di ripensare una situazione come questa, carissimi, due sono i criteri morali di fondo, di cui si deve tener conto.
Il primo è la dignità della persona umana, creata ad immagine di Dio: “L’uomo, infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico–sociale” (Gaudium et Spes, 63).
Il secondo è la dignità stessa del lavoro, che è parte della vocazione dell’uomo chiamato da Dio a realizzarsi e perfezionarsi come persona (cf. Laborem Exercens, 4). All’uomo non è dato altro mezzo per sviluppare i talenti e le qualità ricevute, oltre che per guadagnarsi la vita.
Ora, tutto questo significa che il lavoro deve essere considerato non solo come potenziale fonte di beni economici, ma anche come occasione di arricchimento spirituale in un processo di crescita verso la pienezza della propria auto–realizzazione.
Per i lavoratori, ciò implica l’impegno morale di adempiere nel migliore dei modi il proprio compito, nella consapevolezza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri. Per coloro nelle cui mani è il potere di decidere – dirigenti aziendali, operatori economici, politici – ciò significa che il valore del lavoratore e la dignità del suo lavoro debbono prevalere nelle decisioni, anche e soprattutto in momenti di crisi. Sono gli uomini e non i numeri che contano.
6. È vero che le decisioni circa le finalità e le dimensioni dei complessi industriali e dell’indotto devono oggi essere nel contesto di una pianificazione economica che va ben oltre i limiti della singola città e dell’intero paese: effetto, questo, dell’interdipendenza sempre più stretta, in cui ormai si svolgono i rapporti economici, commerciali e finanziari nel mondo ed in particolare in Europa.
Ma tale interdipendenza ha un risvolto morale di grande valore: quello della solidarietà, che nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis, ho definito come “la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, per il bene di tutti e di ciascuno” (Sollicitudo Rei Socialis, 38). Questa, in realtà, è la strada per rimediare agli effetti del ridimensionamento. Ciò che non si può mantenere perché l’equilibrio dell’insieme non lo permette, deve venire adeguatamente compensato in altri modi e, magari, in altri ambiti industriali, per servire al bene di tutti, ed in particolare a quello dei più deboli, come i disoccupati, i cassintegrati e quanti cercano il primo impiego.
Le nuove circostanze richiedono da tutti uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività, affinché agli uomini e alle donne di Taranto vengano offerte nuove possibilità di lavoro, possibilmente più confacenti alla realtà ambientale in cui essi vivono: le industrie del cosiddetto terziario, ma anche un’agricoltura rinnovata e tutto ciò che può gravitare intorno alla ricchezza del mare.
7. Cari amici, concludo con un augurio di pace e di giustizia, radicato nella buona volontà e nel dialogo costruttivo, illuminato dall’insegnamento sociale della Chiesa e dalle tradizioni di equilibrio e laboriosità della gente del Sud.
So che ogni anno, soprattutto a Natale e a Pasqua, amate realizzare voi stessi un altare e preparare un ambiente in cui radunarvi con l’Arcivescovo, con i vostri cappellani, e spesso anche con giovani del seminario e delle parrocchie vicine. In quell’occasione vi riconciliate scambiandovi gli auguri e la pace, vi alimentate alla sorgente della giustizia e della solidarietà che è Cristo, vi ricordate di chi più soffre e pregate anche per coloro che ci hanno lasciati, a volte in modo drammatico o prematuro.
Il Papa, che oggi condividerà la vostra mensa aziendale, vuole dirvi la sua gioia per questo evento che gli consente di sentirsi idealmente ospite anche delle vostre famiglie, in mezzo ai vostri figli, ai vostri nipoti e ai vostri anziani, soprattutto ai vostri malati.
Questa mensa sarà inoltre, per me e per voi, simbolo vivo di quell’altra mensa, quella eucaristica, nella quale Cristo, donandosi a noi sotto le specie del pane, fa di tutti noi una cosa sola in lui. Sia egli sempre in mezzo a voi, a sostenere il vostro lavoro, ad alimentare le vostre speranze di una vita migliore, a cementare la vostra solidarietà.
E con lui sia Maria, come a Cana, a dirvi di far sempre ciò che egli vi dirà (cf. Gv 2, 5). E ci sia sempre anche san Giuseppe, patrono dei lavoratori, al quale, proprio qualche giorno fa, ho dedicato un particolare documento, scrivendo tra l’altro: “Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della redenzione” (Redemptoris Custos, 22): egli vi ottenga dal Signore i doni che attendete per voi e per le vostre famiglie.
Su tutti e su ciascuno invoco la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
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VISITA PASTORALE A TARANTO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI AGRICOLTORI E AGLI ARTIGIANI
Piazza XX settembre di Martina Franca (Taranto)
Domenica, 29 ottobre 1989
1. Durante la mia visita all’arcidiocesi di Taranto non poteva mancare l’incontro con la vostra bella comunità di Martina Franca. Da questo luogo sono spinto a guardare l’orizzonte, cercando da un lato il mare Ionio e dall’altro l’Adriatico. Ma soprattutto lo sguardo cerca la suggestiva valle d’Itria, curata con amorevole fierezza dai coltivatori della terra e da tutto il popolo martinese. Nello stesso tempo, con uguale curiosità, gli occhi si dirigono verso il centro storico, alla ricerca delle raffinate manifestazioni della vostra tradizione artigianale.
Contemplando da questo singolare osservatorio l’insieme di case e strade, giardini e campi che formano Martina Franca, si prova subito un sentimento di ammirazione per il Creatore e per l’opera delle mani dell’uomo. È, la vostra, una terra strappata faticosamente alla roccia della Murgia, resa docile e feconda con il lavoro tenace di generazioni di contadini e di massari; una terra che ha fornito, per così dire, la materia prima alle tante e diverse botteghe di artigiani, abili nella lavorazione del legno e della pietra, della calce e della lana. Botteghe che – sappiamo bene – hanno gloriose tradizioni anche in altri centri di questa provincia: penso soprattutto a quelle della ceramica di Grottaglie.
Grande è stato il merito dei vostri padri, che hanno saputo custodire e coltivare i boschi, arricchire la terra di vigne ed ulivi, piegare la durezza della pietra e costruire i bianchi tipici “trulli”.
Altrettanto degna di ammirazione è la loro fede operosa, che ha costellato il territorio di cappelle, santuari e chiese, fra cui primeggia l’insigne collegiata di san Martino. Tutto questo testimonia un’antica, feconda comunione tra religione e lavoro, tra fatica e croce, tra sudore e preghiera, tra creatività e redenzione (cf. Laborem Exercens, 27).
2. Oggi, lo sappiamo, l’economia di questo territorio non è priva di difficoltà, al punto che le piccole aziende agricole a conduzione familiare cercano l’integrazione con altre attività, artigianali e non. L’agricoltura e l’artigianato vivono una complessa evoluzione, non solo e non tanto per le strutture e per i metodi di produzione, quanto piuttosto per il rapporto di dipendenza fra domanda e offerta, che impone limiti alla quantità e condizioni sempre più esigenti alla qualità e novità dei prodotti. Nessun settore produttivo può dirsi a sé stante.
Nella catena agro–industriale e agro–alimentare, l’agricoltura è anello del sistema economico del paese e specchio – con l’artigianato – di una interdipendenza sempre più marcata nello sviluppo. Proprio per questo anche il vostro lavoro è esposto al rischio di una nuova schiavitù imposta dal datore di lavoro “indiretto”. Ne ho parlato nella Laborem Exercens, mettendo in guardia contro una politica del lavoro non corretta dal punto di vista etico, proprio perché trascura un tale sistema di condizionamenti, gestito a volte dallo Stato stesso (cf. Laborem Exercens, 17). Sono qui ad incoraggiare e sollecitare sforzi di politica economica volti alla salvaguardia di diritti specifici dei lavoratori, particolarmente del sud.
La urgente diversificazione dell’economia ionica esige che l’agricoltura di tutta la provincia sia sostenuta con processi cooperativistici coordinati e corretti insieme con poli agro–industriali integrati; esige anche che l’artigianato non sia condizionato ad una sopravvivenza elitaria e volontaristica, ma incoraggiato con l’applicazione delle leggi di settore. La crisi mondiale dell’acciaio chiede che il bene comune sia perseguito attraverso una nuova, giusta e solidale regolazione dei rapporti fra le diverse economie.
3. Ho parlato di solidarietà. Essa è insieme sorgente e frutto della pace con Dio e con tutto il creato. Essa fonda ed alimenta quel rapporto sereno ed armonico degli uomini fra di loro e con le realtà del cosmo, che è stata tradizione feconda della civiltà rurale, come pure della cultura delle botteghe, vere e proprie scuole di vita.
Non posso fare a meno di consegnare a voi, martinesi, la mia sollecitudine per una delle sfide più pressanti della nostra generazione: come conciliare l’economia dello sviluppo con l’ecologia umana, con la qualità della vita.
Ricerche scientifiche, proposte ed iniziative di associazioni professionali e, soprattutto, la responsabilità degli operatori economici, devono stabilire la compatibilità “umana” fra le tecniche di produzione, trasformazione e commercio e il rispetto degli equilibri ambientali. “Nei confronti della natura visibile siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire” (Sollicitudo Rei Socialis, 34). Un compito, questo, che impegna ogni cittadino.
In questa vostra terra ancora relativamente immune dagli inquinamenti delle grandi aree urbane ed industriali, il Papa vi esorta alla lungimiranza di fronte a beni come l’aria pura e l’acqua limpida, i boschi verdi e le terre coltivate. Solo così consegnerete integro alle generazioni future il patrimonio di queste vostre ricchezze naturali, insieme con l’antico spirito di accoglienza operosa, cordiale ed esigente dei vostri padri. Solo così trasmetterete il senso genuino del creato e della fraternità ai vostri discendenti e a quanti abiteranno, domani, questa terra che vi è cara.
4. La qualità della vita non è solo il risultato di un ambiente sano e pulito, ma il frutto della promozione globale dei valori economici, culturali e morali di un popolo.
Tanti valori devono essere sempre riproposti, redenti e resi armonici mediante la sapienza evangelica.
In particolare, la qualità della vita morale e religiosa, che da sempre è anima e fermento della vostra civiltà, vi impegna tutti in un’opera di generosa rivitalizzazione. Le espressioni originali di religiosità popolare e di impegno sociale, che caratterizzano la vostra storia, vi stimolano in questa stagione ad una nuova semina, ovunque sia possibile: nelle associazioni di culto e nei luoghi di formazione, nell’apostolato della carità, nelle confraternite e nelle altre organizzazioni. Sapendo che “a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12, 7), siate “operai della vigna”, gioiosi e laboriosi, affinché Martina Franca – che ha fornito uomini di genio e di cultura, Vescovi e sacerdoti, religiosi e laici, benemeriti della società e della Chiesa – continui a portare abbondanti frutti di cooperazione e solidarietà anche ai nostri giorni.
Popolo diletto di Martina Franca, accogli le tue nuove generazioni con costante e coraggioso amore alla vita, nel fiducioso ascolto della Parola di Dio. Saprai così resistere alla tentazione del consumismo e alla seduzione del secolarismo.
Aziende agricole e botteghe artigianali, ditte tessili e imprese edili, voi tutte espressioni del lavoro commerciale e delle attività culturali, artistiche e sportive di questo popolo tenace di Martina Franca, possiate proseguire verso nuovi traguardi di convivenza civica e di progresso sociale e spirituale. Vi animi l’amore alla vostra terra e all’unità delle vostre famiglie, vi orientino l’insegnamento della Chiesa e il richiamo della santità cristiana.
Con l’intercessione del celeste patrono san Martino, a tutti imparto la mia paterna benedizione.
(foto: fonte lazionauta.it)