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L’alternativa ecologica alla plastica: packaging nati dalle coltivazioni di banane

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Una coppia di ricercatori della University of New South Wales (UNSW Sydney) è riuscita a trovare il modo di creare packaging e sacchetti di “plastica” a partire dalle piantagioni di banano, risolvendo due problemi con un’unica soluzione: quello dell’inquinamento causato dalla plastica e quello dello spreco delle piantagioni di banano una volta che hanno dato frutto. Il Professor Jayashree Arcot e il Professor Martina Stenzel erano alla ricerca di un modo per convertire lo spreco agricolo in qualcosa che avrebbe giovato all’industria agricola stessa, ma facendolo sono riusciti a risolverne addirittura un altro. Un buon candidato a questo esperimento era la coltivazione di banane che, secondo il Prof. Arcot, produce quantità enormi di rifiuti organici: solo il 12% della pianta, ovvero il frutto, viene utilizzato per il prodotto finale. Il resto viene scartato dopo ogni raccolto.

“Ciò che rende inefficiente in termini di spreco l’industria di coltivazione delle banane in confronto ad altri frutti, è il fatto che la piantagione stessa muore dopo ciascun raccolto” — dichiara il Professor Arcot, della Scuola di Ingegneria Chimica della UNSW. “Eravamo particolarmente interessati allo pseudofusto, in pratica la sezione stratificata del tronco della pianta che viene tagliata dopo ciascun raccolto, di cui la maggior parte viene scartata. Alcuni di questi tronchi vengono usati nel settore tessile, alcuni come concime, ma tutto il resto risulta in un enorme spreco.”

I due scienziati hanno pensato che gli pseudofusti potessero divenire una fonte sostenibile di cellulosa — un importante componente strutturale delle pareti cellulari della pianta — che potrebbe essere utilizzata nel settore del packaging, dei prodotti in carta, in quelli tessili e persino per applicazioni mediche come la guarigione delle ferite e la consegna dei farmaci. Utilizzando una fonte affidabile come gli pseudofusti delle piantagioni di banano che crescono al Royal Botanic Garden di Sidney, i due si sono messi all’opera per estrarre la cellulosa e testare la sua funzionalità come packaging alternativo e sostenibile.

“Lo pseudofusto è composto al 90% di acqua, per cui il materiale solido finisce per ridursi intorno al 10%.” — Dichiara il Prof. Arcot. “Portiamo lo pseudofusto al laboratorio per tagliarlo in pezzi, essiccarlo a temperature molto basse per poi macinarlo e trasformarlo in una polvere molto sottile. Successivamente, questa polvere viene lavata attraverso un trattamento chimico molto delicato, che isola ciò che chiamiamo nanocellulosa, un materiale molto utile in un ampio spettro di utilizzi. Uno di quelli che ci interessano maggiormente è il packaging, in particolare quello monouso in ambito alimentare, che il più delle volte finisce nelle discariche.”

Una volta processato, il materiale ha una consistenza simile a quella della carta da forno. Per Arcot, a seconda dello spessore richiesto, il materiale può essere utilizzato in un diverso numero di formati per il packaging a uso alimentare: “Ci sono alcune possibilità giunti a questo punto, possiamo creare un sacchetto, ad esempio. Oppure, a seconda di come versiamo il materiale e quanto spesso lo vogliamo rendere, possiamo realizzare vassoi come quelli utilizzati per frutta e carne. Si tratta di materiale completamente atossico, biodegradabile e riciclabile”.

Arcot ha inoltre aggiunto che lei e il Prof. Stenzel hanno confermato tramite alcuni test che fogli fatti di questo materiale si disgregano organicamente una volta sotterrati per circa sei mesi. I risultati mostrano che i fogli di cellulosa erano sulla buona strada per la disgregazione nelle vaschette di terreno.

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“Questo materiale è anche riciclabile. Uno dei nostri dottorandi ha provato che possiamo riciclarlo per ben tre volte senza che cambi proprietà.” — Dichiara Arcot. Gli esperimenti col cibo, inoltre, hanno provato che non esistono rischi di contaminazione: “Abbiamo testato il materiale con alcuni esempi di cibo per vedere se vi era rischio di lisciviazione nelle cellule. Non è successo nulla di tutto ciò. Ho condotto esperimenti sulle cellule di mammifero, cellule tumorali e linfociti T e il materiale è risultato del tutto atossico. Quindi, se i linfociti T reagiscono bene — perché solitamente sono sensibili a qualsiasi cosa sia tossica — allora è decisamente benevolo.”

Ulteriori utilizzi degli scarti agricoli osservati dai due scienziati sono l’industria del cotone e della coltura del riso: hanno estratto la cellulosa da entrambi gli scarti di cotone raccolti dalle sgranatrici e i gusci di riso dalle risaie. “Teoricamente è possibile estrarre nanocellulosa da qualsiasi pianta, solo che alcune di esse sono meglio di altre perché ne contengono un maggior quantitativo.” — dice il Professor Stenzel. “Ciò che rende le piantagioni di banano così utili, oltre alla qualità della cellulosa estratta, è che si tratta di piantagioni che si rinnovano di anno in anno.”

I ricercatori dichiarano che gli pseudofusti dei banani sono una reale alternativa ai sacchetti di plastica e al packaging per uso alimentare, per questo motivo avrebbe molto senso per l’industria produttiva delle banane iniziare a processarli in polvere, in modo da poter vendere il materiale ai fornitori di packaging. “Se l’industria produttiva delle banane deciderà di adottare questa pratica, spingendo i propri coltivatori a rivendere la polvere di pseudofusti, ne verrà fuori un enorme vantaggio per loro e per noi.”

Dall’altro capo della catena di distribuzione, se le fabbriche di packaging aggiornano i loro macchinari divenendo in grado di impiegare le pellicole di nanocellulosa nei loro sacchetti e nei loro packaging alimentari, allora gli pseudofusti diventano una buona alternativa per rendere il packaging a uso alimentare maggiormente sostenibile.

“Ciò che vogliamo trovare in questa fase è un partner industriale che può aiutarci a capire come ingrandire il processo su larga scala e come renderlo economico. Penso che le compagnie produttrici di packaging e l’industria per la cartotecnica possano essere interessate a provare questo materiale, se lo stesso materiale fosse già pronto per l’utilizzo.”

Fonte: UNSW Newsroom


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