Sono Valeria. Ai poliziotti che otto anni fa gli chiesero le generalità per un controllo a Lecce, l’ora trentenne di Taurisano disse che si chiamava Valeria. In questura confermò di chiamarsi Valeria. Però, documenti alla mano, di Gino si trattava. E così, a conclusione del processo di primo grado, il giudice monocratico di Lecce ha condannato a un anno il transessuale, nome all’anagrafe Gino. L’avvocato ha preannunciato ricorso in appello. La tesi di Valeria è quella di aver comunicato l’identità che sentiva di vivere, non quella scritta sulla carta. In primo grado non è valsa.