Di seguito un comunicato diffuso da Legambiente Taranto:
Legambiente Puglia ha organizzato un Flash Mob presso il sito ex Cemerad a Statte (Ta), per riportare in primo piano, con la nuova campagna nazionale itinerante #liberidaiveleni giunta ieri alla sua quinta tappa, le ferite ambientali croniche su cui si aspettano da anni interventi concreti.
In Italia ci sono vertenze ambientali tuttora irrisolte, sulle quali è urgente intervenire e che non devono essere dimenticate dal PNRR. Ferite ancora aperte che continuano a causare danni all’ambiente, alla salute dei cittadini e all’economia sana della nostra penisola.
Una di queste è proprio l’ex impianto Cemerad che ha ospitato e continua ad ospitare fusti radioattivi provenienti da attività sanitarie, fusti contenenti filtri di impianti di condizionamento contaminati derivanti da Chernobyl e fusti contenenti strutture radioattive. Attualmente, secondo l’ultima relazione del commissario di Governo datata 27 novembre 2020, sono presenti ancora, in un deposito totalmente inadatto ed insicuro, 3.074 fusti contenenti materiale radioattivo, rispetto all’inventario iniziale che segnalava 16.500 fusti totali (3.401 radioattivi, 13.020 potenzialmente decaduti e 79 contenenti filtri e sorgenti contaminati da evento Chernobyl).
“Con questo flash mob vogliamo riportare l’attenzione a livello regionale e nazionale sull’esigenza e sull’urgenza di mettere in sicurezza un territorio che da troppi anni sta aspettano la fine di un incubo. – ha commentato Ruggero Ronzulli, presidente di Legambiente Puglia – È fondamentale ed urgente stanziare i fondi necessari per portare via i 3 mila fusti restanti, conservati in un sito totalmente inidoneo, e liberare da questi veleni la città di Statte, l’intera provincia di Taranto e la Puglia. Non c’è più tempo di attendere, perché il tempo è ORA!”.
Il flash mob si è svolto alla presenza di Francesco Andrioli, sindaco di Statte, Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, Ruggero Ronzulli, presidente di Legambiente Puglia, Daniela Salzedo, direttrice regionale dell’associazione, e i circoli di Legambiente della provincia di Taranto.
“Sono trascorsi esattamente 35 anni dal disastro di Chernobyl, il più grave incidente nella storia del nucleare civile insieme a Fukushima: la sua onda lunga, come ben sappiamo e abbiamo documentato, produce effetti devastanti sull’ambiente e sulla salute di milioni di persone ancora oggi, e non conosce frontiere. E il deposito di Statte conosce molto bene questa parte della storia, avendo anche ospitato in questo impianto i filtri contaminanti. È un monito per l’Europa e l’Italia che hanno il dovere e la responsabilità di chiudere in sicurezza con il nucleare e la sua pericolosa eredità, e di contrastare lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi, ancora oggi ricorrenti nel nostro Paese come descriviamo ogni anno nel Rapporto Ecomafia. – ha sottolineato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Per questo è ancor più urgente e fondamentale l’individuazione di un Deposito Nazionale per i rifiuti a media e bassa attività, mentre quelli ad alta radioattività dovranno essere ospitati nel deposito internazionale previsto dalla direttiva europea sul tema. Abbiamo inviato alla Sogin nei giorni scorsi le nostre osservazioni sulla CNAPI, Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee. Ora però chiediamo la massima trasparenza e partecipazione e il pieno coinvolgimento dei cittadini e dei territori in ogni fase dell’iter per chiudere una volta per tutte questa brutta pagina della storia energetica del nostro Paese, chiusa grazie alla nostra vittoria ai referendum del 1986 e del 2011. Una prima risposta la attendiamo con la presenza della ministra Carfagna, l’8 luglio a Taranto in occasione della riconvocazione del tavolo istituzionale permanente”.
La necessità di reinfustaggio di un maggior numero di fusti deteriorati rispetto a quanto fosse prevedibile in fase iniziale, considerato lo scarso spazio presente tra le varie pile di bidoni (48% effettivo contro il 15% ipotizzato), ha comportato un aumento del numero di trasporti necessario per portarli in luoghi adatti. I rifiuti rimossi sono stati stoccati all’estero in siti specializzati con una procedura seguita dalla Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attività industriali. Un intervento costato finora 10 milioni di euro.Lo stesso commissario straordinario, dott.ssa Vera Corbelli, si è vista costretta a scrivere e a ricordare al nuovo governo Draghi quale sia la situazione e il pericolo che ne consegue con una lettera al ministero della Transizione ecologica e a Stefano Vignaroli, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.
Nel frattempo, i rifiuti rimangono senza vigilanza, come lo furono per molti anni prima dell’intervento della magistratura, rappresentando un pericolo potenziale per la collettività e il territorio.
L’impianto Cemerad (Statte, TA)
La zona Pip del Comune di Statte (TA) sorge su una vecchia cava degli anni ’70 colmata a discarica nei primi anni ’90. La presenza di rifiuti industriali nel terreno, senza alcun presidio, costituisce sorgente di contaminazione del suolo della falda idrica sotterranea, del tipo profondo, che seguendo il naturale deflusso verso il mare, trasporta con sé il carico inquinante secondo un modello concettuale preliminare che vede come bersagli diretti le matrici ambientali suolo, sottosuolo, acque sotterranee e superficiali.
Il sito non è adeguato allo stoccaggio di materiale e rifiuti nucleari perché:
– è alla distanza di meno di 5 km dalla linea di costa attuale oppure ubicate a distanza maggiore ma ad altitudine minore di 20 m s.l.m (circa 4 km dalla costa);
– non è a un’adeguata distanza dai centri abitati;
– si trova a distanza inferiore a 1 km da autostrade e strade extraurbane principali e da linee ferroviarie;
– è area fondamentale e complementare;
– è caratterizzata dalla presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante (D.Lgs. n.334/99), dighe e sbarramenti idraulici artificiali, aeroporti o poligoni di tiro militari operativi (Area ex-ILVA).