La corte d’appello di Lecce, sezione di Taranto, ha ragionato in questi termini: il tribunale dei minori non può decidere per un (futuro) venticinquenne.
Così il provvedimento del tribunale minorile di Taranto è stato rivisto, in appello, e il minorenne di Martina Franca, prossimo ai 18 anni, verrà liberato dalla permanenza in una struttura sanitaria a regime residenziale. Vi si trova da più di un anno “per pregresse problematiche psichiche ma è in via di comprovata stabilizzazione della sua condizione psicologica” dice Maria D’Arcangelo, l’avvocatessa che ha assistito i familiari tutt’altro che intenzionati a vedere il loro figlio rinchiuso per altri sette anni lì.
“Infatti, con decreto del 30 maggio 2019 il Tribunale per i Minorenni di Taranto – sulla base della relazione della Neuropsichiatria infantile di Taranto e delle informative dei Servizi Sociali di Martina Franca – aveva disposto, ben sette mesi prima del raggiungimento della maggiore età da parte del minore, che il suo collocamento in comunità si protraesse “fino al compimento del venticinquesimo anno di età, ai sensi dell’art. 48 Reg. Reg. n. 4/2007… attesi i progressi finora realizzati sul piano delle relativa condizione psicologica”.
Continua l’avvocatessa: “tra le altre cose il minore non era stato preventivamente ascoltato, pur essendo prossimo alla maggiore età; non erano stati ascoltati neppure i genitori, persone pienamente capaci di svolgere le funzioni genitoriali, anche nel momento in cui il figlio avesse raggiunto la maggiore età”. Il provvedimento del tribunale dei minori, insomma, ai familiari e al legale “appariva fortemente limitativo della libertà personale di un cittadino italiano. Oltre che abnorme e nullo. Eppure, in origine vi è un genitore che si era rivolto ai servizi sociali non già per abdicare al suo ruolo di genitore, ma per ottenere supporto”. E ha avuto la prospettiva di vedere il figlio chiuso otto anni in una struttura.
Senonché la corte d’appello “configurando un difetto di competenza del tribunale per i minorenni per il tempo successivo al compimento della maggiore età, statuisce che ‘la permanenza del minore all’interno della suddetta comunità può essere imposta soltanto fino al’ (omissis) raggiungimento della maggiore età, essendo la protrazione rimessa alla sua personale valutazione”.
Il punto della questione è: come sta realmente quel ragazzo? Di cosa ha bisogno? Lo squilibrio fra le due decisioni della magistratura è l’unica certezza finora.