Di seguito una lettera inviata al rettore della basilica di San Martino (il quale propose giorni fa al sindaco di candidare Martina Franca a capitale italiana della cultura) da Giuseppe Ancona, dell’associazione Taranto laica:
Egregio Don Franco,
Leggo con interesse sulla stampa la Sua lettera aperta al Sindaco in cui lo invita a mettersi in cammino al suo fianco (o forse intendeva dire un passo indietro?) nel progetto per fare di Martina la prossima “capitale italiana della cultura”.
Fatta eccezione per il tono leggermente paterno e confidenziale che utilizza con il nostro primo cittadino (ma Lei è comunque un prete e quindi padre) ho apprezzato e condiviso tutto o quasi: sono completamente d’accordo con Lei ad esempio sul fatto che Martina merita di porsi alla ribalta nazionale per le sue eccellenze professionali, artistiche e per le bellezze architettoniche e ambientali.
Tuttavia ritengo che non sia Lei la figura più adatta nella città per lanciare un simile appello e porsi come capofila dell’iniziativa.
Non che Le manchino capacità organizzative e progettuali o le giuste conoscenze; tutt’altro visti i successi che ha dimostrato di saper raggiungere con le sue eclettiche iniziative.
Ma se intende fare qualcosa per la Città, offra semplicemente, alla pari degli altri, la propria disponibilità e non detti regole e modi a tutti i possibili protagonisti: associazioni, artisti, intellettuali, imprenditori, sindaco incluso.
La cultura è principalmente apertura verso idee diverse dalle proprie, comprensione dei differenti modi di concepire la vita, libertà di pensiero.
Per spiccare il volo e uscire dalla dimensione di paese di provincia, Martina deve aprirsi al nuovo cominciando dal passo più difficile: il riconoscimento dei diritti civili, come è stato con l’elezione del consigliere comunale per gli extracomunitari, o per l’annunciata creazione di un registro delle coppie di fatto o del registro dei testamenti biologici, iniziative sulle quali non mi pare di averla vista sostenitore sulle prime pagine dei giornali. C’è da lavorare per una città attenta ai diritti di tutti a cominciare da quelli delle donne, che per contraccezione d’emergenza e aborto ad esempio devono poter disporre di un ospedale cittadino che non sia occupato da medici obiettori di coscienza. Ma anche su questo non credo che Lei sarà d’accordo. La città ha bisogno di momenti di festa e di incontro realmente laici e aperti, come la ricorrenza in agosto della fondazione della città, senza obbligatoria genuflessione al parroco di turno.
La Città che Lei rappresenta invece, grazie anche ai suoi colleghi, è quella chiusa nei confini della propria ritualità pagana, che vorrebbe portare i bambini delle scuole alle processioni dietro una reliquia; la città delle statue di santi di pessima fattura che deturpano piazzette storiche, delle congreghe e confraternite religiose centro di potere e di consensi elettorali, della rivalità tra parroci su chi abbellisce di più la propria chiesa con musei, campane, mosaici d’oro.
Martina è tante cose, tanti talenti e intelligenze, ma le menti hanno bisogno di spazi liberi per dare il meglio, non di pastori che le conducano.
caro sig. giuseppe ancora,
leggo la sua lettera e penso che sia stata creata solo per fare una opposione a priori, senza contenuti e senza progetti.
Il mero tentativo, assai tiepido direi, di portare e/o creare ombre su una legittima richiesta quantomeno piena di significati, è evidente e non ha spiegazioni se non quelle tipiche di chi ha dei modelli e degli stereotipi.
Credo che se legge attentamente quello che ha scritto converrà con me che la sua laicità è si un circuito chiuso.
E’ evidente per tabulas, che tutte le iniziative poste in essere da qualsiasi centro parrochiale sono meritevoli di pregio come quelle analoghe poste in essere da pensatori non cattolici o credenti.
Il motivo della mia doglianza consiste nel fatto che il suo modo di approcciare la realtà sfugge dalla stessa, non avendo alcun progetto concreto se non quello di obiettare a priori.
lieto dell’incontro sono disponibile ad un confronto sulle idee e sui progetti concreti.
cordialità
Gentilissimo,
vedo che ritiene la mia lettera frutto di una preconcetta ostilità e opposizione al parroco, priva di progetti e contenuti.
In realtà credo che non ne abbia colto il senso e la invito a rileggerla con più attenzione.
Come recita la massima attribuita a Voltaire, sul frontespizio di questo blog che gentilmente ci ospita, “disapprovo quello che dici, ma lotterò fino alla morte perchè tu possa dirlo”.
Ecco: nulla in contrario a che il monsignore scriva pubblicamente, parli e comunichi, e che si offra di lavorare per la crescita di Martina ( il primo a riconoscergli capacità organizzative e intuito sono io nella lettera).
il mio invito era a farlo sì, ma con maggiore umiltà, perchè Martina è una città Franca che non necessita di guide carismatiche.
Nella lettera invito il parroco ( provocatoriamente, lo ammetto) a mettere a frutto le sue doti e capacità per rendere Martina una città civile e aperta: e citavo il tema dei diritti civili, facendo esempi concreti, sul quale non lo vedo altrettanto attivo per ovvie ragioni ideologiche, in quanto toccano quei ” valori non negoziabili” sui quali la Chiesa Cattolica basa la sua identità millenaria
Lo invitavo inoltre a prodigarsi per il rispetto del principio costituzionale di laicità delle istituzioni, che la categoria del clero martinese cui lui appartiene con un ruolo di risalto, spesso bistratta, prevaricando senza freno nella vita collettiva ( e citavo anche qui gli esempi delle processioni di reliquie in giro per scuole e uffici pubblici).
Non dubito che le parrocchie svolgano attività utili, come ad esempio la distribuzione di generi alimentari ai cittadini bisognosi. Anche se ho delle idee, immagino diverse dalle sue, in proposito, e ritengo infatti che l’assistenzialismo caritatevole in una società moderna non debba sostituirsi alla assenza dei pubblici poteri, che sono obbligati a rimuovere le cause del bisogno e dell’indigenza. Ma è un altro discorso.
La ringrazio in ogni caso dell’attenzione, sperando di poter in seguito avere altri scambi di idee.
Giuseppe Ancona
Direttore lei da spazio veramente a tutti. Compresi quelli che parlano da solo cioè a se stessi.
Io sono con don Franco che ha avuto il coraggio di lanciare una pietra nello stagno della sinistra al potere.
Quando sui giornali è stata pubblicata la lettera di don Franco il mio pensiero è corso ad uno dei principi più belli che entrato a far parte anche della nostra dimensione giuridica. Quello della sussidiarietà: “l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa é quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle”…Aiutiamoci, diamoci una mano, teniamoci insieme. Il contrario di quella deriva individualistica e nichilistica che nella risposta sopra riportata è scambiata per diritti civili (i diritti civili sono altri). Oggettivamente sfugge il collegamento con l’iniziativa governativa che Don Franco ha garbatamente illustrato: una opportunità condivisibile trasversalmente dalla comunità, cattolica e non, a fronte della quale questo intervento mi sembra una improduttiva strumentalizzazione, non dettata da sano laicità ma da fanatico laicismo. D’altronde non comprendo come chi ritenga che esistano dei valori non negoziabili (e della loro difesa abbia fatto la sua scelta di vita) possa mobilitarsi per favorire l’aborto (ad es.). Ma, abituata a cercare il buono in ogni cosa, non posso che evincere da questa lettera una richiesta di attenzione che suona quasi come una conferma della necessità di sussidiarietà di cui la nostra comunità ha sete.
gentilissima Marika Franchini,
quando cita dovrebbe per onestà intellettuale indicare la fonte. A maggior ragione quando parlando di un principio giuridico riporta le parole non di giuristi o dei padri costituenti ma di un papa, Pio XI e l’enciclica Quadragesimo Anno (1931) “…siccome non é lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le loro forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così é ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ne deriverebbe un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società” poiché “l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa é quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle.”
Ma il senso delle sue parole era comunque chiaro.
Continui a cercare il buono in ogni cosa, ottimo esercizio per aprire la propria mente.