Capire e far capire. Con queste parole, Anna Maria Tarantola presidente della Rai ha concluso il suo intervento per il conferimento del premio “Donato Menichella” (presieduto proprio da Anna Maria Tarantola) a Salvatore Rossi. Una cosa fortemente pugliese, perché la fondazione Nuove proposte organizza il premio, intitolato a un economista pugliese di mezzo secolo fa, famoso nel mondo, e premio conferito quest’anno al barese che è direttore generale della Banca d’Italia. Nei giorni scorsi questo blog ha pubblicato l’intervento di Francesco Lenoci, economista di Martina Franca, che è segretario generale del premio “Donato Menichella”. Va aggiunto che nella cerimonia di Roma sono state anche premiate alcune banche italiane, fra cui il credito cooperativo di San Marzano di San Giuseppe che, sottolinea Lenoci, è all’avanguardia a livello mondiale nella presentazione del bilancio.
Ora che è disponibile l’intervento di Anna Maria Tarantola per la laudatio di Salvatore Rossi, questo blog lo pubblca integralmente, come già fatto con l’intervento di Lenoci:
È davvero un piacere, per me, essere chiamata a presentare oggi Salvatore Rossi, cui è stata assegnata la quattordicesima edizione del Premio Donato Menichella, per gli studi socio-economici. A Salvatore mi lega una lunga consuetudine di lavoro in Banca d’Italia, come avrò modo di ricordare.
La finalità del Premio – come sapete – è di onorare, nel ricordo e nella tradizione di Donato Menichella, studiosi impegnati sui temi della crescita economica del nostro paese. Due cose accomunano Salvatore Rossi con Donato Menichella: Salvatore ricopre oggi la carica di Direttore generale della Banca d’Italia, la stessa cui Menichella fu chiamato nel 1946 dal Governatore Einaudi; entrambi sono pugliesi: Rossi della provincia di Bari e Menichella di quella di Foggia.
Se per un protagonista dell’intervento pubblico nell’economia come Menichella fu coniata la definizione di “liberista per disperazione”, un quotidiano ha definito Rossi “un liberista senza complessi”. Non saprei dire quanto questa definizione gli si attagli; osservo però che nel suo modo di concepire i problemi dell’economia italiana vi è una duplice consapevolezza. Da una parte, di come sia indispensabile delimitare il campo oltre il quale è inutile e dannoso che la mano pubblica si estenda; dall’altra, la coscienza che esistono servizi che per loro natura solo lo Stato può fornire e che, in casi importanti, questi servizi sono indispensabili per lo stesso buon funzionamento del mercato. Sotto entrambi i profili, le ragioni della «disperazione» di Menichella non sono estranee alle riflessioni di Salvatore sull’economia italiana. Ma su questo tornerò alla fine.
Salvatore Rossi è nato a Bari il 6 gennaio 1949. Si è laureato in Matematica, con il massimo dei voti, presso l’Ateneo della sua città, nel 1974, con una tesi in Fisica matematica, avendo come relatore il Prof. Aldo Belleni Morante. Scomparso nel 2009, Belleni Morante è stato un esperto a livello mondiale nel campo della teoria dei semigruppi di operatori. La sua influenza mi sembra che si mostri chiaramente – se non mi sbaglio – nell’impianto matematico della prima pubblicazione di Rossi, Strutture logiche nei metodi contabili, uscita nel 1980, quando già lavorava in Banca d’Italia.
Il suo ingresso in Banca risale al 1976. Fui fra coloro che lo accolsero quando compì il brusco salto dalle aule di matematica agli uffici della vigilanza bancaria e finanziaria, proprio in quella sede di Milano ove ho percorso un lungo tratto della mia vita professionale in Banca d’Italia. La sua permanenza a Milano, al contrario, fu relativamente breve.
Proprio come matematico, auspice Rainer Masera, fu chiamato nel 1979 a Roma, al Servizio Studi, con l’idea che il contributo di matematici fosse necessario per futuri aggiornamenti e sviluppi del modello econometrico della Banca d’Italia. Da allora, fino al 2011, la sua carriera si è svolta tutta all’interno del Servizio Studi, di cui assumerà la responsabilità nel 2000, e dell’Area Ricerca economica e relazioni internazionali, di cui sarà nominato Direttore centrale nel 2007.
Sbaglierebbe, tuttavia, chi volesse catalogare il suo percorso professionale sotto l’etichetta, esteriormente attraente, di “un matematico al Servizio Studi della Banca d’Italia”. Non solo perché le cose andarono poi un po’ diversamente, ma soprattutto per una ragione più di sostanza. Nonostante la sua formazione iniziale, o forse proprio grazie ad essa, Salvatore Rossi infatti non è fra coloro che concepiscono l’economia come una branca della matematica applicata. E neppure fra quelli che non sanno spiegarla se non facendo ricorso a simboli o formule matematiche (al contrario!). E infine, non è fra chi considera la politica economica “quasi si tratti di un problema di controllo ingegneristico”. Il suo approccio è sostenuto da una profonda attenzione per gli aspetti istituzionali, storici e socio-culturali dell’economia. Sono sicura che anche la sua odierna lectio magistralis ne darà testimonianza.
Nel cercare di dar conto dei suoi contributi all’analisi dei temi della crescita economica del nostro paese, è inevitabile per me far riferimento ai problemi che la nostra banca centrale si è trovata a fronteggiare negli ultimi 35 anni. Resta sempre valido, infatti, quanto Paolo Baffi scrisse di se stesso nel 1965, nel presentare i saggi raccolti negli Studi sulla moneta, quando parlò di «ricerche compiute intorno a problemi i quali non sono stati tanto da me scelti, quanto imposti alla mia attenzione dall’esercizio di responsabilità, di studio [prima], indi operative, nell’ambito del nostro istituto di emissione».
La prima assegnazione di Salvatore al Servizio Studi, nel 1979, fu nell’Ufficio Economia internazionale. Lo scenario economico mondiale era segnato dalla seconda crisi petrolifera, che farà aumentare il prezzo del greggio del 150 per cento in dollari e del 230 per cento in lire, contribuendo a spingere l’inflazione in Italia oltre il 21 per cento nel 1980. Sono i primi anni del governatorato di Carlo Azeglio Ciampi, anni nei quali si realizza – come Rossi ricostruirà in un saggio del 2004, con Eugenio Gaiotti – una vera e propria «svolta» nella politica monetaria italiana.
Capisaldi di quel «cambio di regime» furono – come è noto – l’adesione al Sistema monetario europeo, nel 1979, e la decisione di celebrare, nel 1981, un consensuale «divorzio» fra Banca d’Italia e Tesoro nel collocamento dei titoli del debito pubblico. Strumento fondamentale sarà l’adozione di una politica del cambio «non accomodante», con la scelta di compensare solo parzialmente, in occasione dei periodici riallineamenti all’interno dello SME, i differenziali di inflazione rispetto ai paesi partner.
È in questi frangenti e di fronte a questi problemi, possiamo dire, che si realizza la “formazione” (o la “trasformazione”) di Salvatore Rossi come economista. In un ambiente intellettuale, il Servizio Studi della Banca d’Italia di allora, in cui spiccano personalità – le cito volutamente in ordine alfabetico – come quelle di Pierluigi Ciocca, Antonio Fazio, Rainer Masera, Tommaso Padoa Schioppa, Ignazio Visco. In questi anni Rossi compie inoltre soggiorni di studio presso il Fondo monetario internazionale e il Massachusetts Institute of Technology.
Delle due grandi branche dell’economia internazionale, quella che studia gli scambi commerciali e quella che si occupa invece degli aspetti monetari e finanziari, è sulla seconda che la sua attività si è inizialmente concentrata, con lavori sull’integrazione monetaria europea, sulla bilancia dei pagamenti italiana, sul mercato dei cambi, sui movimenti dei capitali, sui controlli valutari e dei flussi finanziari. Tutti questi temi confluiranno in seguito nell’ampio manuale, scritto in collaborazione con Rainer Masera, su La bilancia dei pagamenti, uno dei testi che formano il Trattato di statistica economica diretto da Antonino Giannone.
Tra il 1980 e il 1987 l’inflazione in Italia viene gradualmente piegata. Seppure in misura contenuta, resta tuttavia più elevata rispetto ai paesi partner. Il sistema produttivo italiano – che aveva attraversato negli anni Ottanta un’importante fase di ristrutturazione – deve affrontare le sfide dettate dalla partecipazione italiana al progetto di completamento del mercato interno europeo. È su questi temi che si sposta l’attenzione di Rossi, dal 1990 a capo della Direzione Economia reale e bilancia dei pagamenti del Servizio Studi. Il progetto di ricerca che sfocia nel libro del 1993, Competere in Europa, mette in risalto i rischi di un progressivo accumularsi di svantaggi competitivi di natura strutturale nel nostro paese.
La convergenza nei tassi d’inflazione con i partner europei viene ottenuta solo negli anni successivi al 1994, dopo che la lira avrà dovuto abbandonare il meccanismo di cambio dello SME. Si realizza in un quadro di ulteriore trasformazione degli assetti istituzionali e delle procedure operative della politica monetaria. Il completamento del processo di disinflazione contribuisce a permettere la partecipazione dell’Italia all’Unione monetaria europea, ma lo sforzo di risanamento dei conti pubblici intrapreso per rispettare i criteri d’ingresso – centrato com’è sull’aumento della pressione fiscale – impone all’economia italiana un inevitabile prezzo e finisce per pesare su una struttura produttiva già in affanno. A chiarire le vicende della politica economica italiana Rossi dedicherà nel 1998 un libro, La politica economica italiana: 1968-1998, la cui fortuna editoriale è testimoniata dalle edizioni aggiornate uscite nel 2000, nel 2003 e nel 2007.
Se dopo la crisi valutaria del settembre 1992 si realizza un ampio aggiustamento della bilancia commerciale italiana, già nel 1996 – analizzandone le caratteristiche – Rossi segnala «un possibile rischio»:
che il sistema industriale italiano abbia, nella sua generalità, accumulato negli anni svantaggi competitivi di tipo “non di prezzo”, che gli ampi margini di manovra offerti dal cambio dopo il 1992 avrebbero occultato, ma che potrebbero tornare a farsi evidenti una volta che siano state stabilmente riassorbite le punte di sottovalutazione della lira degli scorsi anni.
Purtroppo questo rischio si dimostrerà reale negli anni seguenti.
Fra le cause principali vi era il ritardo con cui l’economia italiana si era confrontata con il nuovo paradigma delle tecnologie digitali. Su questo tema si incentra il libro La Nuova Economia: i fatti dietro il mito, pubblicato nel 2003. Molte delle analisi allora proposte fanno ormai parte del senso comune, ma quando quella ricerca fu realizzata, non erano pochi quelli che ritenevano che la nuova economia fosse solo una moda o uno dei venti di follia che periodicamente percorrono i mercati di borsa. Quel libro contribuì a diffondere la consapevolezza che si trattava invece di una nuova rivoluzione industriale, caratterizzata da una tecnologia pervasiva, destinata a modificare profondamente l’intera economia e i vantaggi competitivi d’imprese e nazioni.
Una rivoluzione industriale che per realizzarsi richiedeva però profonde trasformazioni, e condizioni di contesto adeguate. Questa convinzione Salvatore Rossi l’ha portata anche nel suo ruolo di dirigente della nostra banca centrale (è stato Segretario generale dal 2011 e membro del Direttorio dal 2012), richiamando con forza e costanza la necessità dell’innovazione tecnologica e organizzativa in Banca d’Italia.
Intrecciata a quella delle nuove tecnologie digitali, un’altra sfida si parava di fronte all’economia italiana: la crescente integrazione internazionale, con l’ingresso sui mercati mondiali di grandi paesi emergenti. Che queste trasformazioni fossero una causa di declino per l’Italia oppure una nuova opportunità di crescita, sarebbe dipeso dalle reazioni delle imprese, ma anche dal funzionamento delle istituzioni, che disegnano l’ambiente e le regole del gioco entro cui le imprese operano. Su questi due fronti, di conseguenza, Rossi ha indirizzato e guidato l’attività di analisi e di ricerca economica nella Banca d’Italia. Assumendosi il compito, inoltre, di diffonderne i risultati non solo tra gli economisti di professione, ma presso un’opinione pubblica ben più vasta. Perché, come ha scritto Marco Onado, Rossi «non è solo un raffinato economista, ma anche un brillante narratore». Si è così ritagliato il tempo, fra i suoi impegni, per svolgere un’utile e importante opera di divulgazione economica.
Il primo di questi libri ha vinto nel 2006 il premio Capalbio e nel 2007 il premio Canova. S’intitola La Regina e il Cavallo: quattro mosse contro il declino. Mi fa piacere ricordarlo perché della sua genesi sono stata partecipe e testimone. Paragonandole a mosse del gioco degli scacchi, il libro studia le risposte delle imprese alle grandi trasformazioni che ho prima ricordato, aiutandoci – per usare di nuovo le parole di Onado – «a guardare al di là dei preoccupanti dati aggregati per cogliere il pulsare della vita reale delle imprese e il fermento di iniziative e di scelte strategiche».
Il libro le illustra attraverso il racconto di storie esemplari, tratte da un gruppo di casi aziendali studiati nel corso di un’indagine sul campo svolta nella provincia di Brescia. «Per raccoglierle – ha sottolineato Rossi – si è utilizzato uno strumento d’indagine molto più potente del solito questionario: sono stati effettuati colloqui lunghi, approfonditi e informali con le figure aziendali più rappresentative». Era una scelta dettata dalla convinzione che le interviste con gli imprenditori – insieme agli strumenti più tradizionali dell’analisi economica – potessero permettere di affinare e irrobustire ipotesi e interpretazioni, suggerirne di nuove, segnalare questioni trascurate.
Questa tecnica è stata in seguito utilizzata di nuovo ed estesa per il Rapporto sulle tendenze nel sistema produttivo italiano, di cui Rossi ha dato conto nel suo nuovo libro del 2009. Affinché non sembri che l’amicizia mi faccia velo, preferisco riportare il giudizio di Michele Salvati, che così ne ha scritto:
A chi, economista o non economista, volesse farsi un’idea d’insieme del male oscuro che affligge il nostro Paese non saprei consigliare lettura più illuminante del recente libro di Salvatore Rossi, Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale. Non soltanto perché l’autore […] dispone del miglior apparato di dati e ricerche oggi disponibile nel nostro Paese, ricerche che egli stesso ha contribuito a promuovere e dirigere. Ma soprattutto perché sa utilizzare questi strumenti con mano sicura ed equilibrata, e sa esporre l’interpretazione che ne trae in un ottimo italiano, in uno stile privo di gergo, con accorgimenti illustrativi molto attraenti. Due delle «cause» che, secondo l’autore, stanno all’origine dei sintomi [del male oscuro del nostro Paese] – l’inadeguatezza delle politiche sindacali e la cultura giuridica del nostro Paese – sono illustrate attraverso due racconti con protagonisti di fantasia ma straordinariamente verosimili, letti i quali è difficile dubitare che quelle «cause» non abbiano un peso significativo nello spiegare i sintomi di difficoltà e fatica dell’intero sistema.
La crisi mondiale – che ha colto l’economia italiana in “controtempo”, nel mezzo di un complesso processo di ristrutturazione – nasce com’è noto da una gravissima crisi finanziaria. A questa materia – «irta di tecnicismi», come avverte Rossi – è dedicato il suo libro più recente, Processo alla finanza. Mirando alla semplicità e rifuggendo dal semplicismo, il libro si rivolge a chi «desidera formarsi un’opinione su una questione che è al centro del dibattito pubblico in tutto il mondo da almeno cinque anni». Marco Onado l’ha recensito così:
L’impianto è quello di un’aula di tribunale. Ci sono capi di imputazione, un’accusa e una difesa. L’autore sembra riservarsi il ruolo di giudice di un rito anglosassone, che assicura la correttezza della fase dibattimentale, e alla fine formula raccomandazioni ai giurati, cioè ai lettori, perché emettano il verdetto. Un approccio molto equilibrato e molto coinvolgente perché chiede fin dalle prime pagine a chi legge di essere parte attiva. Nelle parole dell’autore, il libro «non è un attacco demagogico alla finanza e a chi vi lavora, ma neppure vuole essere una difesa d’ufficio. È un libro per cercare di capire, non per inveire contro gli uni o gli altri».
Mi avvio a concludere. Per completezza, dovrei elencare, oltre ai corsi e seminari tenuti da Rossi in varie sedi universitarie, i numerosi comitati e gruppi di lavoro presso istituzioni pubbliche e private e i principali organismi internazionali in cui egli rappresenta la Banca. Ricordo solo, per brevità, che come Direttore generale della Banca d’Italia presiede anche l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni.
Ma c’è una questione rimasta in sospeso. Salvatore Rossi apre Controtempo con una citazione. È presa da una lettera di Ernesto Rossi a Gaetano Salvemini. È del 1946, lo stesso anno in cui Menichella entrava in Banca d’Italia come Direttore generale. La citazione inizia: «In Italia non vedo alcuna politica ragionevole che sia praticamente attuabile». E prosegue con un’analisi impietosa delle disfunzioni dello Stato e della pubblica amministrazione, del sistema politico e, più in profondità, della mentalità dei nostri concittadini. Un’analisi che Salvatore commenta così:
La distanza che separa l’Italia di oggi da quella contro cui [Ernesto] Rossi scaglia la sua invettiva è grande. Conservo una vecchia fotografia in bianco e nero dei miei genitori, che risale all’estate del 1945. Sono appena sposati, il fotografo li ritrae mano nella mano in una strada cittadina assolata, sorridenti e … magri. Magri da far spavento (o invidia, se si riuscisse a prescindere dalle cause della loro magrezza). E magri, smunti, sono anche i passanti casualmente ritratti intorno a loro, frettolosi nei loro poveri traffici per la sopravvivenza.
L’Italia di oggi – non dimentichiamolo nel momento in cui attraversiamo quella che ci pare essere una crisi tremenda – è un paese ricco. […] Ma lo straordinario senso di attualità che promana dalla lettera di Ernesto Rossi fa riflettere. Il progresso fra i due momenti storici ha riguardato la sfera politica, dalla dittatura alla democrazia rappresentativa; quella civile, dalla guerra intestina a una sostanziale pace sociale; quella economica, dalla fame alle diete. Ma un tale multiforme e straordinario avanzamento non ha evidentemente aggredito certi vizi antichi, certi difetti fondamentali, la cui denuncia può essere formulata oggi quasi con le stesse parole di oltre sessant’anni fa.
Ho voluto chiudere con questa lunga citazione perché mi sembra che essa rappresenti bene l’animo con cui il «matematico» Salvatore Rossi ha affrontato e continua ad affrontare il tema delicato e complesso della crescita economica, e civile, del nostro paese.