Il “fatto non sussiste” perché all’epoca degli eventi il reato di schiavitù non era ancora in vigore: è questo quanto stabilito dai giudici della Corte d’Appello, a Lecce, che, con un colpo a sorpresa, ha ribaltato l’esito del primo grado nel processo “Sabr” sul caporalato nel Salento e sui braccianti-schiavi, impegnati nella raccolta di pomodori e angurie.
La rivolta di “Boncuri” capeggiata da Yvan Sagnet aveva portato allo storico processo, che nel 2017, solo due anni fa, aveva condannato in primo grado tredici, tra caporali e imprenditori locali, con pene tra i sette e gli undici anni in virtù dell’accusa di aver messo in piedi una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù dei lavoratori.
La svolta che arriva dal processo di secondo grado cancella quella sentenza, di fatto assolvendo tutti gli imputati, ritenuti responsabili di sfruttamento nei confronti dei raccoglitori stagionali di angurie e pomodori, nelle campagne di Nardò, tra il 2008 e il 2011.
È stata, pertanto, accolta la tesi del collegio difensivo, fondata sul presupposto che il reato di schiavitù non fosse ancora entrato in vigore all’epoca degli accadimenti: il fatto, dunque, non sussisterebbe, e comporta come conseguenza l’assoluzione dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù degli imputati.
La seconda conseguenza di questa decisione è l’annullamento di buona parte dei risarcimenti disposti in primo grado, fra i quali quelli ai sette braccianti costituitisi nel processo, guidati proprio da Yvan Sagnet, che capeggiò la rivolta. Gli imputati sono difesi rispettivamente dagli avvocati Luigi Corvaglia, Fabio Corvino, Vincenzo Perrone, Antonio Palumbo, Francesco Galluccio Mezio, Giuseppe Cozza, Valerio Spigarelli, Nuzzo, Anna Sabato ed Amilcare Tana. (leccesette.it)