Di seguito l’articolo inviatoci da Vito Piepoli:
Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, ha trascorso quasi trent’anni della sua vita sacerdotale ed episcopale in Brasile. Nel 2007 partecipò alla Conferenza di Aparecida, dove collaborò col cardinale Bergoglio, l’attuale Papa Francesco, nella commissione di redazione del Documento finale Discepoli e Missionari di Gesù Cristo, affinché in Lui abbiano vita. Ora papa Francesco sta riproponendo a tutta la Chiesa i frutti di quell’evento: la fede destata dalla attrazione per Gesù e la necessità di concentrarsi sull’essenziale dell’annuncio cristiano per comunicarlo con stile evangelico. Per questo occorre recuperare la via della bellezza, perché la Chiesa si sviluppa non per proselitismo, ma per “attrazione”. Il contributo che Monsignor Filippo Santoro dà con questo libro, “permette di comprendere meglio il pontificato di papa Francesco e potrà divenire un valido strumento pastorale per le nostre realtà diocesane, per rilanciare le nostre comunità formando discepoli missionari attratti dalla bellezza del Signore Risorto” scrive Marc Ouellet nella prefazione. “In questo libro ho avuto tre punti di riferimento, ha precisato l’arcivescovo di Taranto alla sua presentazione avvenuta qualche giorno fa nell’aula Magna Giovanni Paolo II, innanzitutto la Conferenza di Aparecida, il Magistero di Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco e poi la nostra situazione di Taranto, cioè quello che viviamo concretamente ogni giorno”. Ma sono state proprio le sfide quotidiane a indurlo a cercare da dove può venire una risposta, una luce per le circostanze che viviamo. Ha ricordato a tal proposito di aver realizzato a Taranto, proprio dietro questa spinta, uno dei passi più significativi. Quello dello scorso anno, quello del 7 novembre, quando “abbiamo tenuto un incontro su ambiente, salute e lavoro, invitando due ministri della repubblica, gli ambientalisti, la magistratura, i sindacati, in un dialogo favorito e possibile in un evento che ha toccato i problemi vivi della nostra terra, della nostra città; un problema che mi sono trovato che non conoscevo e che ho imparato a conoscere, standoci dentro – sono le sue parole – e sono contento della circostanza con tutti i problemi che ci sono insomma, ed è come nel matrimonio, che non è che si conosce tutto all’inizio, ma si va conoscendo poco a poco, e poi si vede però che è proprio questo il luogo in cui il Signore ti chiama.” Siamo chiamati ad accettare la realtà, a starci dentro ed anche a voler bene alle difficoltà, ai problemi, alle sfide che ci sono. Lui ha sentito immediatamente sin dal primo giorno, una accoglienza più bella e più grande di quella che poteva immaginare, da parte di tutta la città, della comunità e della diocesi, ma anche tutte le sfide, visitando subito gli ammalati, i carcerati, e poi i ragazzi delle scuole, l’Ilva e così via, quindi le varie situazioni emergenziali della nostra terra, e non si è sottratto a queste. Ha incontrato i movimenti ecclesiali, i gruppi, le associazioni. Ha avuto un seguito di incontri ininterrotto e ogni incontro è come una grande sfida, a comunicare sempre qualcosa, che ci tocca, che ci ferisce.
E la Grazia che il Signore fa è quella che in nessun incontro possiamo essere banali, in nessun incontro possiamo essere scontati, perché ognuno propone un problema diverso ed una domanda diversa. Un problema diverso e una circostanza diversa. Anche se il desiderio di voler incontrare ci porta a sentire e ad accettare la sfida delle circostanze più difficili.
Per esempio un’altra grande questione è quella della Cittadella della Carità che è come non facesse più parte della Diocesi di Taranto. “Ed invece è successo che mi è stata riconsegnata – ha riferito – e poi vedendo la possibilità della disponibilità ad offrire a ciascuno, ognuno viene a trovarti…e quindi altri incontri si susseguono….una delegazione di operai, ed altre persone e così via. E in ciò è evidente che c’è una richiesta di risolvere il problema immediato, ma c’è una domanda più profonda che è quella di una accoglienza, di un incontro, di una amicizia. Varie persone mi vengono a trovare e alla fine mi dicono grazie eccellenza per avermi ascoltato, so che il problema che vi ho posto lei non può risolverlo, ma la cosa più bella è che lei mi ha ascoltato.”
E la cosa più immediata del rapporto,dell’incontro è proprio l’affetto. E stabilire con le persone un rapporto e un incontro è proprio la cosa più bella, alla luce della massima bellezza che è il Signore che si dona a noi sulla croce e ci dà il dono della vita.
“La bellezza non è l’estetismo vuoto, la bellezza è il dono di sé, e proprio questo dono di sé, fedele fino alla vita è quello che attira, quello che attrae. È il dono di sé senza misura, e allora uno dice che Cristo che si è donato a me, mi ha accolto, mi ha abbracciato, perciò in ogni incontro, accade proprio questo, accade la comunicazione di un affetto, la comunicazione di un rapporto” – sono ancora le parole dell’arcivescovo. Perciò, ha ricordato, l’inizio di questi quasi tre anni, che è a Taranto, è stato tutto uno svolgimento, di problemi grandi e piccoli, e intanto vivere un rapporto. L’immagine che più lo affascina è quella di costruire ponti, di costruire legami, rapporti, con le persone, di rispondere ad un invito, e di non lasciarne cadere nemmeno uno. Ed è bello perché si vedono in questo, tutti i tipi di bisogni, ma sostanzialmente l’esigenza di un rapporto, di un camminare insieme, di non essere soli. E questo è proprio quello che il Santo Padre ci dice, fa osservare Monsignor Santoro,….della chiesa d’uscita, della chiesa che cammina, del “consumare la suola delle scarpe”. Rispondiamo poi alle circostanze che uno non si va a cercare, perché il Signore ci parla attraverso queste, anche quelle più difficili. Il Signore non ci vuole opprimere attraverso le circostanze difficili, ma ci vuole chiamare, ci interpella e ci dice “io sono qui”. E se quella circostanza è vissuta a partire da un incontro fatto con Lui, è un segno della Sua presenza, non è fatta per schiacciarci, ma per farci crescere ancora di più. Anche quelle che noi non vorremmo, sono tante provocazioni, e le circostanze vengono nella comunità ecclesiale. Ma vengono soprattutto nella comunità civile nella vita pubblica e sono legate al quotidiano. Uno si misura sui problemi reali, non si misura sulle parole, non si misura sui discorsi religiosi, ma rispondendo alle sfide. “Perciò vivendo nella città vecchia, tutte le domande della città vecchia me le sento addosso e fino a proporre un assemblea col popolo – ha ricordato l’arcivescovo – per mettere in dialogo le persone che non sapevano da chi andare, con le autorità, cioè facilitare questo compito, di farle incontrare” . All’origine c’è questa percezione della bellezza, come accoglienza e come dono di sé. “Il mio cammino, il mio sforzo è stato di coinvolgere in questa esperienza i sacerdoti, da un lato, le autorità dall’altro e tutta la comunità, perché non può essere una persona che risolve la situazione, è una comunità , una comunione, la bellezza del popolo cristiano che dentro la società permette l’unità” ha continuato Monsignor Santoro. Quindi l’origine di queste esperienze è proprio qualcosa che lo ha toccato sin da quando, prima, ha incontrato don Giussani, ma poi una maniera più caratteristica ancora, ha accettato una sfida senza battere ciglio, dopo aver trovato sistemazione a 12 anni di sacerdozio, quella di andare in Brasile. E noi non cresciamo per una strategia ma rispondendo alle sfide. E uno sente che è in casa e che il signore si fa sentire attraverso una fraternità, nell’esperienza del partire come sacrificio e del ritorno come gratitudine, in una accoglienza strepitosa che non si aspettava.
C’è anche un capitolo sull’educazione, nel libro. In contatto con la gente, quindi, ma anche con una posizione chiara, educativa, di portare le persone ad un Incontro. La bellezza si sviluppa dentro un’opera educativa. Come una bella musica, se uno è educato la capisce, la coglie. Ci vuole il maestro, ci vuole colui che ti educa, il grande compito di un padre che ti manda come educatore.
Uno si muove solo per la forza di un fascino, un qualcosa di bello che ti attrae, allora non si ferma davanti ai problemi che si hanno perché in questo cammino siamo in buona compagnia. “Il Mistero non si è dimenticato di noi ci è venuto vicino e poi questo dono straordinario del carisma di Papa Francesco che ci prende per mano e ci conduce ogni giorno e ci lancia in missione facendoci protagonisti nella vita pubblica della città perché è giustissimo tutto il lavoro ecclesiale che facciamo però questo è per dare vita, per dare coraggio a tutto il nostro territorio – sono le sue ultime parole – la testimonianza è una testimonianza pubblica, è quella di una speranza per tutti quanti non fatta di parole ma di vicinanza, di condivisione, di abbraccio. La speranza che viene da Cristo, il fascino che attira, la bellezza che conquista e che trasforma la vita”.