Di Franco Presicci:
La notizia me l’ha data Piero Colaprico. Poche parole su whats App per dirmi che Nino D’Amato se n’era appena andato. Un pugno al cuore e un flusso inarrestabile di ricordi. Ho postato una foto su facebook e le si sono accodati messaggi da ogni parte d’Italia: Lucia Ziliotto, che anni fa è stata capo della sezione antirapine a Milano, ha scritto da Padova; Alberto Berticelli, già brillante cronista del “Corriere della Sera”, non so da dove: l’ispettore capo Ugo Brignoli da Pavia (“Nino D’Amato era un galantuomo, una persona esemplare); il suo collega Alberto Maria Sala, ai tempi spesso investigatore con l’Fbi e con la Dea (“Indimenticabile”); Luigi Pagano, già direttore del carcere di San Vittore e poi elevato a incarichi più importanti e oggi scrittore egregio (“L’ho conosciuto, era una brava persona”); il vicequestore Edmondo Capecelatro, che lasciò il servizio, dopo aver diretto vari commissariati, per poter dedicare più tempo alla sua attività di attore e di scrittore di testi teatrali, si è commosso.
Lo stimavano tutti, Nino, per il carattere gioviale e per la bravura professionale. Accoglieva ogni mattina i cronisti con il sorriso o con la battuta di spirito; e se c’erano particolari da fornire su un’investigazione, non si tirava indietro.
Nino D’Amato era nato a Taranto nel ‘50, ma non gli sfuggiva mai una parola in dialetto. Con noi, di pugliesi c’era solo Piero Colaprico, di Putignano, il paese del carnevale.
Quando il mattino alle 11 cominciavamo il giro nei vari uffici della questura, lo concludevamo nell’anticamera della Mobile, dove il piantone Fina, e dopo di lui Fassito, ci annunciava, e noi alla vista di D’Amato lo salutavamo tra sorrisi e battute sulle spalle. E cominciava la batteria delle domande. Nino non faceva giochi di prestigio per dare più spessore alle notizie con lo scopo di avere più spazio sui giornali. Era serio, affidabile, schietto. Un signore. Riceveva i “segugi” sempre volentieri. Ed era generoso. “Uno dei primi che ho conosciuto arrivando in questura. Umano, accogliente. Mi ha anche passato lo smoking, che non gli entrava più”, mi ha detto Luca Fazzo, che allora lavorava a “L’Unità”, passando poi a “Repubblica”.
Da Fazzo a Colaprico – da sempre al quotidiano di Scalfari come cronista dal fiuto lungo, inviato e poi fino alla pensione direttore della sede milanese, oltre che scrittore – una folla di ricordi e di elogi dell’uomo venuto dal Sud. Già ai miei tempi ci incontravamo in sala stampa e poi tutti insieme prima alle Volanti, dove facevano un cordiale cenno di saluto al commissario Silvano Gattari, sempre al telefono con le Volanti, e poi dal direttore dei Servizi Generali, il compianto Paolo Scarpis (promosso poi questore e successivamente prefetto). Da lui pescavamo i fatti rilevanti della notte precedente. Ultima meta, la Mobile, dove spesso montavano un lungo tavolo cosparso di pistole, mitra, denaro, ricetrasmittenti…, frutto di una consistente operazione con relativi arresti di “boss”, gregari, soldati.
Nino D’Amato spiegava ai cronisti le fasi dei colpi, lasciando qualche vuoto, se le indagini proseguivano; e allora i “marciatori” quel vuoto dovevamo cercare di colmarlo, andando a bussare ad altre porte, spesso fuori da via Fatebenefratelli, diventando a loro volta investigatori. Non di rado sulle mie strade m’imbattevo in Piero Colaprico, che non risparmiava mai le sue scarpe.
Nino era buono, disponibile, buontempone, ma non era prodigo di dettagli, se il suo lavoro imponeva il silenzio. Quindi in quei casi era inutile girargli attorno: alle suppliche rispondeva con quel suo sorriso amabile, che voleva dire: “Ragazzi, non mi mettete in croce, non posso”. Bastava una parola di troppo per far saltare un lavoro di mesi. Ma Nino non appariva mai infastidito: capiva le nostre esigenze e si dispiaceva nel vederci con il piatto mezzo vuoto.
Ai tempi in cui era vice, alla Mobile riportarono molti successi memorabili, fra droga e omicidi. “Se penso a Nino mi vengono in mente il suo faccione e il suo sorriso. Sempre accogliente, sempre disponibile – dice Alberto Berticelli – sempre educato. Ed era umile quasi defilato. Sempre al suo posto. Non sgomitava per fare carriera come altri. A Piacenza fu accolto con tutti gli onori e trovò un po’ di pace dopo gli anni frenetici della squadra Mobile di Milano”. Poi zac! Commenti caustici contro chi sgambettava per avanzare (Alberto non le ha mai mandata a dire). E ancora: “Ultimamente ho parlato con un funzionario di quegli anni, che mi ha detto senza giri di parole che è stato un grande investigatore… ”. Berticelli lo sentiva spesso e ricorda una telefonata di quando era questore di Crotone, verso il 2009. “Mi raccontò che aveva fatto una grossa operazione contro la ‘ndrangheta, ma che aveva dovuto chiedere aiuto a Roma, perché la sua questura non aveva forze sufficienti”. In quell’occasione Nino confidò: “Qui un questore è solo”. Alberto conclude che D’Amato era molto altro. Teneva tanto alla sua famiglia. Lascia un ricordo indelebile. Ciao, Nino”.
Nino aveva una moglie, Anna, e due figli, Marina e Matteo. In polizia entrò nel ‘76, alla questura di Reggio Calabria; poi fu trasferito a Roma, a Piacenza. Lavorò anche alla Direzione Interregionale Lombardia ed Emilia Romagna. Fu nominato questore di Crotone, quindi di La Spezia, dando sempre il meglio di sé.
Piero Colaprico: “Per molti cronisti Nino D’Amato era l’incarnazione del funzionario che non fa mai fumo, ma solo ‘arrosto’. Anzi, più volte, di fronte all’irruenza di alcuni, protestava: ‘Se siete voi giornalisti che andate in giro a fare domande, rischiate soprattutto di mettere in allarme i responsabili
dei reati’. Lo credeva davvero, ma mai una volta ha alzato il tono di voce o ha provato a bloccare qualcuno. Forse il suo tratto distintivo era il rispetto: rispetto del lavoro proprio e altrui, rispetto dei diritti e doveri del cittadino, rispetto anche dei ruoli. Come capo della squadra Mobile ha coordinato molte inchieste, ma ricordo la sua soddisfazione una volta che scattò l’allarme rosso per una violenza carnale nella metropolitana. Lui controllò orari, possibili testimoni e poi chiamò la ragazza che aveva denunciato lo stupro e, paternamente, le mostrò la situazione. Lei aveva inventato tutto e D’Amato, dispiaciutissimo, spiegò che era una ragazza che aveva bisogno di aiuto, da parte di tutti. Compresi i giornalisti: quando avrebbero scritto la verità, avrebbero dovuto ‘mettersi una mano sulla coscienza’. Solitario e affabile, simpatico e riservato, D’Amato è stato quello che si dice un professionista. Senza mai perdere la gentilezza”.
Dopo quello di Piero, mi è arrivato un pensiero di Edmondo Capecelatro. E’ una lettera a Nino: “… Ma ieri sera no! Quando Franco mi ha detto che Nino D’Amato non c’era più, che ci aveva lasciato per sempre, non gli ho creduto, non ho voluto credergli. Già, perchè la morte non esiste! La parte più importante di noi, il ricordo, resta qui. E chi potrebbe mai rimuovere il ricordo di Nino, non un semplice collega, ma molto di più, un amico, il bene più grande che uno possa avere. E i ricordi mai muoiono. Il ricordo non si tocca, ma ci tocca, è il campanello che ci fa richiamare e custodire la memoria di un fatto. Chi di noi non ricorda quando, in un momento di difficoltà, o di smarrimento, una parola o anche solo un gesto, di Nino, abbia saputo darci coraggio. Ricordi, Nino, abbiamo cominciato insieme la faticosa, ma entusiasmante salita della vita. Talvolta ci sarebbe venuta la voglia di fermarci, di rallentare, ma poi qualcun altro ci ha presi per mano e ci ha trascinati verso su. E certamente uno di questi fosti tu. Poi Paolo, Tommaso, Giuseppe, e ancora ancora. Oggi tu! Ma tutti voi vivete nei nostri ricordi e allora è chi resta che muore veramente”.
Chi potrà dimenticare quest’uomo autentico, magnanimo? Questo poliziotto impegnato, preparato, capacissimo? Non certo l’ispettore Ugo Brignoli, abituato a dire pane al pane e vino al vino, e aveva una grande considerazione di Nino D’Amato come uomo e come poliziotto: “Più che alla carriera teneva al rispetto”.
Non potrò più prendere il caffè con lui nel bar di fronte alla questura, con Berticelli o con Albero Sala o con Colaprico. Ma lo ricorderò sempre, Nino; racconterò la sua semplicità, il suo amore per gli altri.
Franco Presicci
Un altro gentiluomo se n’é andato
IL QUESTORE NINO D’AMATO
CHE FU A CROTONE E A LA SPEZIA
Nato a Taranto, passò parte della sua
vita a Milano, come vice, quindi come
capo della squadra Mobile. Era stimato
e amato, da cronisti e poliziotti di ogni
grado. Ai funerali c’erano quasi tutti, ha
scritto Michele Focarete, Anna, la moglie,
lo ha ricordato come marito e padre, attento presente, amorevole.
(foto: home page-Nino D’Amato, Vito Platone, l’attrice Annamaria Rizzoli; interna-Presicci, D’Amato, Fazzo, Colaprico, Cisani)