Di Silvia Quero*:
Esattamente 80 anni fa, fra l’11 e il 12 novembre del 1940, Taranto visse la sua notte più lunga, con un lungo attacco aereo ad opera della Royal Navy britannica che decimò la flotta navale della Regia Marina Italiana. Siamo nel pieno del secondo conflitto bellico mondiale, Taranto è un porto strategico per la sua felice posizione che permetteva alle truppe italiane di avere parte del controllo del bacino del Mediterraneo, pertanto spina nel fianco soprattutto per la marina inglese, che aveva basi ad Alessandia di Egitto e Gibilterra. Ma Taranto è anche sede destinata alla riparazione delle unità danneggiate, grazie soprattutto alla disponibilità di grandi bacini di carenaggio, ed alla presenza nel suo arsenale di tutti i pezzi di ricambio per i macchinari e le armi. Per questo la così detta “Notte di Taranto” è stata tanto importante nel decidere le sorti della seconda guerra mondiale. L’attacco a Taranto faceva parte della vasta operazione “Judgement”, studiata dall’ammiraglio Andrew Cunningham sullo schema di un’operazione effettuata in Etiopia nel 1935. L’operazione “Judgement “iniziò il pomeriggio del 6 novembre 1940, facendo pian piano avvicinare le forze inglesi al bersaglio. Nel frattempo, diverse erano le ricognizioni aeree degli inglesi che si protrassero sino al tardo pomeriggio dell’11 novembre, le sirene antiaeree in città suonavano incessantemente, la popolazione si radunò tutta nei rifugi antiaerei. Quella notte, nelle due rade del porto di Taranto si erano riunite le navi da battaglia Andrea Doria, Caio Duilio, Conte di Cavour, Giulio Cesare, Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Bolzano, Fiume, Gorizia, Pola, Trento, Trieste e Zara, i due incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e vari cacciatorpediniere. Pare che lo stesso Cunningham, leggendo i rapporti delle ricognizioni, disse che “Tutti i fagiani erano nel nido”. L’attacco inizio poco prima delle 23.00, nei successivi 90 minuti, con tre attacchi aerei distinti, metà delle navi della flotta italiana era stata messa fuori combattimento. A poco valse l’inteso fuoco di sbarramento e non ci si potè rifare al sistema di 87 palloni di sbarramento pensato in caso di attacco, dato che per le avverse condizioni metereologiche dei giorni precedenti ne aveva squarciati 60 e la mancanza di idrogeno ne aveva impedito la sostituzione. Insomma, gli inglesi ebbero anche una discreta dose di fortuna. Il drammatico bilancio dell’attacco fu di 58 morti, 32 dei quali sul Littorio, e 581 feriti, sei navi da guerra danneggiate (3 corazzate, il Cavour in maniera tanto grave che non riprese più servizio, 1 incrociatore e 2 cacciatorpediniere), e diversi danni alle installazioni terrestri. La mattina successiva, in città c’era un silenzio assordante, i tarantini, usciti dai rifugi si erano accalcati sulla ringhiera in città vecchia e sul lungomare in quella nuova, la Cavour, semisommersa, era stata trascinata a riva, la Littorio galleggiava a malapena. I quartieri della città situati nei pressi dell’Arsenale e il lontano Rione Tamburi, furono bombardati dalle ondate degli aerei, dei bombardamenti risentirono anche alcune strutture antiche della Città Vecchia: le bombe distrussero diversi fabbricati e molta gente che non scese nei rifugi, rimase imprigionata sotto le macerie. In città vecchia le macerie furono così tante che vennero radunate in una piazza nei pressi del Duomo, a formare una sorta di montagna, che rimase lì per così tanto tempo che ancora oggi quell’area per molti è conosciuta come “rete ‘u monde” (dietro la montagna).
Quella mattina del 12 novembre giunse in città anche Mussolini per rendersi conto dell’entità dei danni. Ovviamente, di primo acchito, per ovvie ragioni strategiche, si tentò ridimensionare agli occhi esterni l’impatto gravissimo dell’attacco. Il bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940 riporta laconicamente: “Nelle prime ore della notte sul 12, aerei nemici hanno attaccato la base navale di Taranto. La difesa contraerea della piazza e delle navi alla fonda ha reagito vigorosamente. Solo un’unità è stata in modo grave colpita. Nessuna Vittima”. Sul Corriere della Sera, che ormai era stato trasformato in un quotidiano filogovernativo, cioè filofascista, venne scritto in prima pagina: “Strage di apparecchi nemici durante un’incursione a Taranto”. La propaganda fascista cercò poi di ridimensionare ulteriormente l’accaduto, quando, una settimana dopo Mussolini dichiaro: “Effettivamente tre navi sono state colpite, ma nessuna di esse è stata affondata. È falso, dico falso, che due altre navi da guerra siano state affondate o colpite, o comunque anche leggermente danneggiate”.
Fatto sta che, oltre ad essere stata dimezzata la flotta italiana, dimostrò l’efficacia dell’utilizzo delle portaerei nei conflitti in mare, dato che, non a caso, l’addetto militare presso l’ambasciata giapponese a Roma si recò sino a Taranto per poter raccogliere e trasmettere a Tokyo tutte le informazioni possibili sulle modalità e sull’efficacia del raid britannico. Non è un segreto che la “Notte di Taranto” fu ampiamente studiata dai giapponesi ed analizzata in tutte le sue sfaccettature nel momento in cui è stato pianificato l’attacco di Pearl Harbor.
Nel proseguo della guerra, Taranto divenne il centro delle retrovie, l’arsenale lavorò incessantemente, senza fermarsi nemmeno un giorno, dando un contributo enorme, che spesso però viene dimenticato.
*scrittrice
BIBLIOGRAFIA:
Brian Bethan Schofield. La notte di Taranto: 11 novembre 1940. Milano, Mursia, 1991. ISBN 9788842533924
Nino Bixio Lo Martire. La notte di Taranto (11 novembre 1940). Taranto, Schena Editore, 2000
Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mondiale (una storia di uomini) (Fabbri, Milano 1980)
(foto: tratta da Pet, piccola enciclopedia tarantina edita dal Corriere del Giorno di Puglia e Lucania)