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G7, cosa sarà Il vertice di Fasano

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Di Agostino Convertino:

Sta per Group of Seven, letteralmente il Gruppo dei Sette, composto dai leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. È il G7. La somma dei rispettivi PIL supera, abbondantemente, la metà complessiva delle risorse economiche mondiali ma, stranamente, la statistica non rispecchia la speciale classifica del PIL nominale pro-capite che annovera paesi diversi. Lussemburgo, Liechtenstein, Macao o Qatar, solo per citarne alcune, sono le superstar del settore.

Nella realtà, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale raccontano un’economia globale con gerarchie ben diverse in cui la Cina si avvicina a grandi passi all’economia americana e supera agevolmente Eurolandia, l’India esorcizza il suo passato coloniale tallonando il Regno Unito, il Dollaro di Hong-Kong è l’ottava valuta più scambiata al mondo, la Russia se la gioca con la Corea del Sud per stare nella classifica top ten, le prime dieci economie.

Pure il quadro demografico complessivo conferma la volatilità di certi antichi equilibri: il famigerato Impero di Cindia (cfr. F. Rampini), ovvero Cina+India, conta tre miliardi e mezzo di anime; i paesi del BRIC, l’altra faccia del mondo cui aderiscono Brasile, Russia, India e Cina, tentano di polarizzare l’attenzione arruolando nuove forze: Arabia Saudita, Egitto, Argentina, Iran e molti paesi africani che vorrebbero aderire.  Chiedono il riconoscimento di un nuovo, ennesimo ordine mondiale. In realtà è solo una mossa per uscire dall’isolamento.

E allora quale può essere, oggi, il  vero ruolo di un organismo tecnicamente spontaneo e sostanzialmente informale? Qual è il suo reale peso politico in un pianeta la cui metà degli abitanti – nel 2024 – è chiamato alle urne secondo modalità e situazioni disparate e talvolta pure disperate? Ma soprattutto: a chi sta parlando il gruppo dei Sette in un’epoca attraversata da venti di guerra che tengono in bilico gli assetti del mondo? Ed infine: i singoli individui del mondo possono recepirne il messaggio?

Parte della risposta risiede proprio nella natura aperta del G7. Sono invitati volti noti e familiari  all’opinione pubblica mondiale: Papa Francesco, il presidente ucraino Zelensky, la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. L’Unione Europea sta per rinnovare le sinottiche del potere partecipativo – dopo il recente voto – in una fase interna delicatissima sia per la Francia che per la Germania ancorché tutta l’Europa è attraversata da preoccupanti derive nazionaliste e sovraniste. Sul Vecchio Continente spirano venti tesi e forti  di un populismo che potrebbe individuare nel revanscismo bellicista russo un forte elemento catalizzatore.

Borgo Egnatia è l’uscita di sicurezza delle democrazie alleate da un temibile tunnel reazionario di cui non si può indovinare il fondo. Il G7 deve rendere chiara la percezione di essere il frutto spontaneo del riconoscimento reciproco di donne e uomini liberi. Questi grandi leader devono testimoniare la volontà delle rispettive comunità di essere presenti, e possibilmente più determinati, anche il prossimo anno. I governi cambiano, il G7 resta.

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