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Il talento culturale poliedrico di Alessandro Caroli Ricordo

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Di Franco Presicci:

Era un pomeriggio di agosto, tanti anni fa, quando, mentre osservava il figlio Leonardo giocare a bocce con un amico sul campo subito a sinistra del cancello della sua campagna sulla via per Ceglie, Franco Carrozzo, mio coetaneo e amico da sempre, mi parlò a lungo di Alessandro Caroli e della sua partenza definitiva per l’Australia. Mi regalò anche una una foto che li ritraeva insieme. Il racconto di Franco era così intenso che mi ispirò il desiderio di conoscerlo, questo signore ricco di virtù umane e intellettuali.

La sorte volle che un anno o due dopo lo incontrassi in via Roma, vicino all’edicola di Paolo. Andava verso il ringo con passo svelto. Allungai il mio, lo raggiunsi e gli chiesi se avesse due minuti per me. Rallentò e mi offrì il piacere di seguirlo fino alla piazza in cui si erge la Basilica di San Martino, dove doveva sbrigare un’incombenza: “Durante il percorso parliamo”. Quando capì che volevo intervistarlo anche sulla sua vita all’estero, con una cortesia poco intercettabile oggi fra gli umani, mi dette appuntamento al giorno dopo alle 11 al bar che sta a sinistra della Porta che dà sullo stradone.
Lo anticipai di cinque minuti, ci sedemmo, ordinò due caffè, mi domandò delle mie giornate a Martina e cominciai a “interrogarlo”, ottenendo risposte puntuali e sempre garbate. Non accennammo al Festival, perché io volevo conoscere le sue esperienze, i suoi successi, le sue nostalgie, i suoi rimpianti, se ne aveva, nei giorni, nei mesi, negli anni trascorsi lontano dal l’Italia. Alessandro Caroli aveva scritto libri, avuto consensi, fondato una televisione, e ne aveva, di cose da dire a un impiccione di cronista come me, curioso di apprendere come si vive in una terra così diversa, con usi e costumi diversi dalle nostre, con il dingo che fa la guerra al suo simile ed è uno spettacolo vedere sgambettare il canguro, magari con il suo neonato nel marsupio. Concludendo il discorso, il mio cortese interlocutore mi promise di farmi avere un suo libro, senza chiedermi di recensirlo.

Quando lo ricevetti lo aprii subito e passando da una pagina all’altra il mio interesse, la mia attenzione, la mia gioia crescevano, sempre più, attirati dal succo e dallo stile, accurato, scorrevole, senza ricami, senza enfasi: pagine preziose, in cui c’era di tutto: filosofia, musica, letteratura… tutto un mondo che faceva parte della cultura sconfinata. dell’autore.
Una mattina a Milano, con una pioggia che infuriava e dalla finestra vedevo ombrelli che si sbrindellavano e gente esposta al diluvio, la signora addetta alla portineria mi citofonò per dirmi che il giorno prima, lei assente, era arrivato un pacchetto: era un libro accompagnato da un biglietto in cui Caroli mi chiedeva di scrivere la prefazione: era di un suo amico alla prima impresa. Un improvviso malessere mi costringeva all’inerzia preoccupandomi e mi scusai. Quel no mi pesa ancora.
Dopo qualche anno nella mia casa nel centro storico di Martina un pomeriggio ricevetti la visita di Vito Santoro, giudice di pace e conoscitore di musica lirica. Lo conoscevo bene, conservavo anche una piccola raccolta di suoi articoli. Parlammo della città dalle case perennemente imbiancate, del borgo antico con le donne che sferruzzano sulla soglia e dei vecchietti che intrecciano discorsi nei vicoli e poi di Alessandro Caroli e della sua altezza intellettuale. Vito si alzò all’improvviso e mi ordinò: “Andiamo a trovarlo!”. “Così, senza una telefonata, forse sarebbe meglio domani”. Niente da fare, un salto in macchina ed eccoci di fronte alla chiesa del Carmine, sotto l’abitazione dello scrittore. Quando entrammo il padrone di casa rimasse seduto senza un sorriso e con la mano ci invitò ad accomodarci. Era forse stanco, certo appesantito dall’età, ma sempre un signore dalle parole misurate, attente, appropriate. Le poche che pronunciò, anche se lieto della visita inaspettata.

Screenshot 20250216 060013Avevo letto più volte anche “Musica in Valle d’Itria – Cone nasce un Festival”, prefazione di Giuseppe Giacovazzo, Schena Editore, in copertina l’immagine di Magda Olivero in “Adriama Lecouvreur”. Leggevo sempre volentieri, Giacovazzo, sul quotidiano di Bari, che dirigeva; in “Puglia il suo cuore”, che una sera fu presentato nella masseria Conti Del Duca di Crispiano; e lo lessi nella prefazione al volumetto di Caroli, che “all’indomani della inaugurazione del Festival di Martina Franca. XXV edizione, per il quale avevo scritto un articolo su ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’”, gli aveva portato il libro ancora in bozze, in campagna, a Locorotondo.
Giacovazzo ricordava Caroli come il “creatore e realizzatore delle prime difficili edizioni” della rassegna, non avendo il favore della “capricciosa dea Fortuna”… “Dovette accettare un immeritato esilio, evitò la bancarotta e partì senza un soldo”. In Australia, dove ebbe prestigiosissimi riconoscimenti e premi, rimase vent’anni. Laureato in Legge, cultore di musica, lettere e filosofia, era stato un alto dirigente della RaiTv e fu al vertice della Radiotelevisione Special Broad Casting Service australiana. Giacovazzo, in questo opuscolo traccia un brevissimo ritratto di Caroli: “Ha l’aspetto mite e il sorriso di un attempato signore, non rassegnato all’età incombente…”.
Quel giorno, strappato dal silenzio e dalla tranquillità di via Alfieri, fui felice di rivederlo. Mi fece alcune domande sul mio lavoro in redazione, ma ebbi l’impressione che fosse stanco. Sul tavolo c’era una tazza di caffè vuota ancora calda e qualche briciola di biscotto. Vito, uomo dinamico e ordinato, entusiasta della sua toga e della sua missione, liberò il tavolo, mise su un angolo le carte e Caroli seguiva con gli occhi ogni suo movimento anche un po’ divertito e contento della nostra presenza. Sembrava un vecchio saggio, un docente illuminato che sta per tenere una lezione su Aristotele, credo il suo filosofo. Avrei voluto chiedergli della sua attività di scrittore molto apprezzato e delle sue giornate a Martina, nella Valle d’Itria, che aveva definito benedetta da Dio, ma mi trattenni. Esortato più volte da Santoro, ricordò alcuni cantanti arrivati al Festival nella sua epoca, e accennò a Magda Olivero, a Renata Tebaldi, quindi a Paolo Grassi. Le avevo viste, le due dive, la prima in televisione e a una presentazione del Festival presentata a Milano al Piccolo Teatro; la seconda non so più dove. Pensando alle volte in cui avrei potuto chiamarlo provai dispiacere.
Poi una mattina a Martina, nello stesso punto in cui lo avevo incontrato, mentre i turisti a frotte attraversavano piazza Roma diretti al ringo sotto un caldo torrido, un amico mi venne incontro, mi salutò e tra una parola e l’altra mi disse che Alessandro Caroli non c’era più. Mi si velarono gli occhi. Mi accade spesso, quando una persona che ho stimato se ne va. La memoria aprì la chiusa: e riecco il pomeriggio in cui con Franco Carrozzo assistetti alla partita a bocce del figlio, mentre le rondini scendevano a picchiata, sfioravano l’acqua della piscina e riprendevano il volo; Vito Santoro che dalla tonaca era passato alla toga; le telefonate di Caroli, la nostra visita a casa sua, che più che una visita era stata un’irruzione…
Il principe dei fotografi di Martina e dintorni, Benvenuto Messia, così descrive Caroli: “Un signore, un gentiluomo che mi aveva scelto come fotografo ufficiale del Festival e lo feci per un anno, perché non potevo stare tutto il giorno nel suo ufficio per fotografare Luciano Pavarotti e tutte le altre celebrità che arrivavano continuamente. Lo accontentai per alcuni mesi, ma poi dovetti abbandonare l’incarico”. Gentile come sempre, Benvenuto mi ha subito inviato una foto dell’inaugurazione del Festival, dove sono visibili Paolo Grassi, Guido Le Noci e lo stesso Caroli in abito bianco; e due di Vito Santoro, oggi 96 anni.
Scrivendo, ho voluto rendere omaggio ad un uomo geniale, a distanza di anni dalla sua scomparsa, per ricordarlo a me stesso e agli amici che lo hanno frequentato e come me stimato. Rileggendo ancora le sue testimonianze in “Musica in Valle d’Itrua”, ritrovo nelle ultime righe un pensiero a Franco Punzi, che “si valse della collaborazione di persone molto competenti in musica, che conoscevano più che bene le mie direttive artistico-musicali e il Festival continuò il suo corso; oggi è arrivato alla venticinquesima edizione. Ormai la ghianda posta nella zolla non considerata fertile, pur se la pioggia con gelo e grandine aveva minacciato all’inizio di non farle avere vita, per le comprensioni e ostilità, si era trasformata in una quercia che dava ombra e ristoro anche a coloro che non la vollero…”.
Non da oggi del Festival della Valle d’Itria si parla ovunque nel mondo. Per vederlo gli appassionati di musica vengono anche dal Giappone e da altri Paesi lontani. Franco Punzi, deceduto anche lui, ne era orgoglioso.

(foto: home page, Alessandro Caroli intervista Luciano Pavarotti; interna, Alessandro Caroli al centro e alla sua sinistra Paolo Grassi)

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