Di Franco Presicci:
Quando Mimmo Dabbrescia approdò a Milano, appena fuori dai binari si fermò ad osservare, nella Galleria del Transatlantico, la sagoma bella, elegante, maestosa di una delle signore del mare: la Michelangelo, riprodotta nei minimi particolari con oblò, scialuppe, ponti, cabine illuminate, plancia…. I treni allora erano stracolmi e trovare un posto era un miracolo. Qualche viaggiatore entrava dal finestrino, risolvendo il problema delle piattaforme, quasi intasate. Per la cronaca chi andava alla stazione Centrale per accompagnare o ricevere qualcuno che arrivava dava un’indicazione precisa: “Ci vediamo alla nave”. Poi quel riferimento venne rimosso e nessuno più ricorda neppure gli esemplari che solcavano le acque.
Mimmo arrivò con la famiglia a Milano negli anni ‘50. Era già giunto in città, il 7 gennaio del ‘55, come nuovo arcivescovo, Giovanni Battista Montini, bresciano di Concesio, e in Comune era esposto il plastico della metropolitana, prossima ad essere realizzata. Il giovane Dabbrescia nella monumentale galleria metallica si sentì spaesato: era lontano anni-luce dalla sua Barletta, la citttà delle chiese e della leggendaria disfida.
Bravissimo ragazzo di Puglia, cominciò dopo qualche giorno a guardarsi intorno per cercare qualche lavoretto momentaneo, sognando un posto migliore. Gli si affacciò la passione per la fotografia, ed entrò nello studio di un maestro dell’obiettivo che collaborava con “Il Corriere della Sera”, e in seguito egli stesso fece il suo ingresso nel tempio del giornalismo in via Solferino. Aveva fiuto, talento e tanta voglia di affermarsi; e il giornale lo assunse, facendogli girare il mondo.
Ma Mimmo voleva essere autonomo e così aprì una sua agenzia fotogiornalistica. Era sempre più apprezzato e sempre più conosciuto. Dette vita a un periodico a colori dedicato agli artisti più consacrati: Alfieri, Kodra, Brindisi, Treccani, Dova… E poi ancora grandi libri con pagine su Pietro Annigoni, Dino Buzzati, Nino Caffè, Cappello, Salvator Dalì, Domenico Purificato, Roberto Crippa, Salvatore Fiume, Mario Cortiello, il pittore dei Pulcinella, dei paesaggi brillanti, delle scene di vita quotidiana. Li coglieva in vari momenti della loro giornata, in strada, al mare, nello studio al lavoro, rivolgeva loro domande. Giuseppe Migneco lo ricevette a Forte dei Marmi: “Ci vengo ogni volta che posso. C’è la mia casa, con un piccolo giardino e il campo per il gioco delle bocce e una pianta di fichi che si comporta bene…”. Ed eccolo, Migneco, ancora, seduto su una panchina, sotto l’albero preferito, al porto di Viareggio, su una barca…
Dino Buzzati Dabbrescia l’aveva incontrato alla “Domenica del Corriere” e lo raggiunse a San Pellegrino di Belluno e poi sul set del film “Un amore” tratto dal suo libro. Gli chiese di fotografargli una patata, da un lato, in modo da farne vedere il sesso. Mimmo lo immortalò anche con il burattinaio Colla. Un libro prezioso, realizzato con tanta cura. Nino Caffè lo sorprese mentre correva in sella al suo motorino con il cestino della spesa. Il titolo dell’opera è “Obiettivo sull’arte”. Ogni tanto lo sfoglio, mi soffermo di più sulle immagini e ho l’impressione di essere lì con lui fra le quinte di un teatro.
In un altro libro, che conservo gelosamente, il primo personaggio che mi trovo di fronte è Raffaele Carrieri, poeta e critico d’arte. Tarantino salito nel ‘30 a Milano, era una gloria della sua città, che quasi lo ha dimenticato, ignorando le sue doti di critico d’arte e poeta. Era riservato, accoglieva in casa quasi soltanto Piero Mandrillo. “Il mio rifugio è dalle parti di Lucca – disse a Dabbrescia – ma l’indirizzo non lo dò a nessuno” . Subito dopo, compare il sorriso di Raffaele De Grada, che si lascia riprendere con la sua compagna a Brera con Domenico Purificato. Ed Eugenio Montale, che abitava in via Bigli. Genovese, conobbe a Parma Sergio Solmi e a Torino fondò la rivista “Primo Tempo”, con lo stesso Solmi e dietro incoraggiamento di Giacomo Debenedetti. Premio Nobel, grandissimo poeta, era gentile. Quando un giornalista lo chiamava al telefono per chiedergli un giudizio su un evento rispondeva con molta disponibilità e non dava mai il sospetto di voler chiudere in fretta.
Dabbrescia ci ha fatto conoscere da vicino molte di queste personalità. Sapevo già di lui ai tempi della sua rivista. Poi aprì in via Carlo Poma lo spazio “Prospettive d’arte” e i nostri rapporti si intensificarono. Seguivo le mostre che ospitava, tutte di alto livello, e andai anche all’inaugurazione di quella di Don Lurio, il coreografo di RaiUno, di cui pochissimi sapevano l’attività di pittore. Lo intervistai una sera, al suo ritorno dal Festival di Sanremo, dove aveva collaborato con Fabio Fazio. Era influenzato, ma il malessere non aveva sconfitto la sua ironia. Dopo qualche settimana il gallerista mi chiese d’includerlo tra i relatori per la presentazione dei libri su Milano della Celip, la casa editrice del barese Nicola Partipilo, e sulla storia del calcio Bari. Il “buffet” era sempre offerto da Dabbrescia, persona generosa, affabile e rispettosa.
L’attività del gallerista barlettano mi vedeva spesso presente, per “Il Giorno” o come appassionato d’arte.
Ammiro questo figlio del Sud, che non ha usato parole retoriche negli accenni alla sua Barletta, dove è nato nel ‘38. Ho conosciuto vip dello spettacolo, della moda, oltre che dell’arte., anche grazie alle opere di Dabbrescia, metà anni 70, edizioni Brixia) Tra questi, a suo tempo, ho incontrato Marco Valsecchi, critico del “Giorno”, il poeta e critico Alberico Sala…
Quando con Filippo Alto istituimmo il Premio Milano di Giornalismo nel ristorante “La Porta Rossa” di Chechele Jacubino, pregai Mimmo di entrare in giuria. Lui accettò e la sera della riunione arrivava a passi felpati, si sedeva al suo posto e non alzava mai la voce, come faceva invece Paolo Mosca, che era direttore di “Playboy e “Novella 2000”. Anche Edoardo Raspelli, esperto di cibi e ristoranti, stimatissimo da Luigi Veronelli, che parlando con il sottoscritto lo indicò come il fondatore della critica gastronomica. Come Migneco e De Grada parlava soltanto per fare un nome e sostenerlo con pacatezza, mentre Chechele non si perdeva una parola stando comodo su una sedia con aria incantata.
In giuria c’era anche Giuseppe Giacovazzo, che veniva raramente, non come Baldassarre Molossi, direttore de “La Gazzetta di Parma”, il cui volante è poi passato al figlio Giuliano, che era il primo ad arrivare. Mimmo Dabbrescia non perdeva neppure lui un appuntamento.
Da tanto tempo non lo vedo, questo gentiluomo di antico stampo che ha sempre avuto rispetto di chiunque. Alle mie iniziative a “Prospettive d’arte”, vicino al Naviglio Grande, come moderatore sceglievo sempre Piero Colaprico di “Republica” e oggi direttore artistico del Teatro Gerolamo. Lui è di Putignano, un sorriso solare stampato sul volto.
A Dabbrescia fu assegnato il Premio Nuove Proposte di Elio Greco, di Martina Franca, e donò la minibiblioteca, dote del riconoscimento, al carcere di Opera, in una breve cerimonia a cui assistettero anche alcuni detenuti, oltre allo stesso direttore e al suo vice. Non so se abbia ricevuto l’Ambrogino d’oro, ma lo merita ampiamente. Nella sua galleria, premiammo il questore, allora di Livorno, Vito Plantone, alla presenza di Achille Serra, che era questore di Milano. A tenere la relazione fu il compianto Arnaldo Giuliani, già capocronista del “Corsera”, che stava attraversando un momento terribile. Presentammo anche i libri di Giuseppe Francobandiera, uomo di grandissima cultura, tra l’altro molto apprezzato anche dal professor Piero Mandrillo (tarantino di Pulsano), scrittore e conduttore di un’antenna della nostra città (insegnò anche all’università di Wellington).
La Galleria di Mimmo è stata tra le più prestigiose di Milano. Ad ogni manifestazione si presentavano personaggi come Antonio Velluto, caporedattore alla Rai milanese e all’epoca assessore all’Edilizia Popolare. Venne anche Giovanni Lodetti, già giocatore del Milan nel ruolo di centrocampista., campione europeo nella nazionale nel 1968. Era in programma l’adesione di Bearzot, ma il “mister” non potette aderire perchè ammalato. Tra il pubblico spiccavano due giocatori del Bari accompagnati da un loro dirigente: il giorno dopo la squadra avrebbe giocato contro il Milan. Una delle ultime volte che ho incontrato Dabbrescia è stato al Castello di Cereseto, dov’era in corso una personale di Filippo Alto.
(foto home page, Mimmo Dabbrescia; foto interna, Ibrahim Kodra e Filippo Alto)