Di Nino Sangerardi:
Camminando oltre il possente e magnifico Palazzo Lanfranchi(costruito nel 1668, stile barocco, nel 1864, dopo l’Unità d’Italia, ospitò fino al 1967 il Liceo Ginnasio statale Emanuele Duni dove insegnò Giovanni Pascoli, da pochi anni sede del Museo nazionale d’arte medioevale e moderna della Basilicata) si giunge in Via Casalnuovo.
Dopo aver percorso cinquanta metri ci si imbatte in Vico San Leonardo. Pochi passi e si ammira l’incredibile paesaggio del Parco delle Chiese Rupestri.
Svoltando a sinistra, tramite gradini, ecco la meravigliosa prospettiva fotografica dei Rioni Sassi immortalata in bianconero, anno 1948, da David Seymour(Varsavia 1911-Canale di Suez 1956).
Fotografo interprete anche di un giornalismo “sempre partecipe dei drammi della realtà fotografata”, durante il 1947 insieme a Henri Cartier Bresson, Robert Capa e George Rodger creò la società Magnum Photos, sede in Parigi, una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo.
La prospettiva fotografica può essere definita come la rappresentazione di profondità, delle relazioni speciali tra gli oggetti e il rapporto delle loro dimensioni rispetto al punto di vista di chi le osserva(obiettivo della fotocamera o di spettatore).
Pertanto scattare frontalmente rende una visione diretta e certa del soggetto, senza distinzioni. Una prospettiva utile nel comunicare semplicità, chiarezza nonché atto di memoria storica antropologica e culturale.
Le foto di Seymour e di altri notevoli fotografi italiani e internazionali che negli Sessanta e Settanta sono stati a Matera e in Lucania, evidenziano la ricchezza e unicità dei punti panoramici del Sasso Caveoso : Rione che offre un affaccio eccezionale sulla Murgia situata dalla parte diametralmente opposta.
Altro esempio di prospettiva fotografica si trova in Via Purgatorio Vecchio : vicinato rupestre eternato dalle raffinate immagini di Henri Cartier Bresson, fine 1951.
Nel dagherrotipo si rileva la struttura geometrica del bianco e nero in cui è racchiuso il momento decisivo, la triste e depressa vita quotidiana di donne e bambini incuriositi dalla presenza di quest’uomo che imbraccia con discrezione la mitica Leica M3.
Scatto epocale che narra un mondo sommerso e senza identità, entrato nel cuore e negli occhi di generazioni vecchie e contemporanee. L’istantanea di Bresson disegna uno spazio preciso, un tempo e una circostanza, il ricordo di vite piegate dalla rassegnazione; cattura l’essenza degli altri attraverso il loro sguardo e rimarca la capacità narrativa che sprigionano questi luoghi del Sasso Caveoso.
“Per dare un senso al mondo—scrive l’inimitabile fotografo francese—bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino, tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale e sensibilità. Per me la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento di supporto dell’intuito e della sensibilità…”.
In conclusione, il regista Luchino Visconti tra gli anni 1959-1960 realizza, insieme al direttore della fotografia Giuseppe Rotunno e al fotografo di scena Paul Roland, un viaggio in Basilicata.
Scattano 236 fotografie nei Rioni Sassi, Matera e Pisticci.
Visconti cerca volti, paesaggi, arredi, case, vicoli, usanze, fisionomie, linguaggi, architetture, quadri e movimenti di abitudini giornaliere.
Un’esperienza diretta da riversare nella preparazione del capolavoro cinematografico “Rocco e i suoi fratelli” che per la prima volta nella storia del cinema valorizza i rapporti tra le diverse culture e sistemi di vita: quella lucana, del sud Italia e l’emigrazione che insegue disperatamente il miracolo economico e industriale del nord Italia.
Tra le sequenze visive l’occhio di Visconti e dei suoi collaboratori consacra anche in prospettiva fotografica quanto segue : un macello di carne equina in Via delle Beccherie, piazza Vittorio Veneto, Via Bruno Buozzi, Chiesa Madonna dell’Idris, la Rupe del Monterrone, squarci dei Rioni Sassi con cortili e vicinati.
In merito al viaggio straordinario(e fotografico) in Basilicata, Luchino Visconti scrive:”L’esperienza fatta mi ha soprattutto insegnato che il peso dell’essere umano, la sua presenza, è la sola “cosa” che veramente colmi il fotogramma; che l’ambiente è da lui creato, dalla sua vivente presenza, e che dalle passioni che lo agitano questo acquista verità e rilevo; mentre anche la sua momentanea assenza dal rettangolo luminoso ricondurrà ogni cosa a un aspetto di non animata natura. Il più umile gesto dell’uomo, il suo passo, le sue esitazioni e i suoi impulsi da soli danno poesia e vibrazioni alle cose che li circondano e nelle quali si inquadrano. Ogni diversa soluzione del problema mi sembrerà sempre un attentato alla realtà cos come essa si svolge dinanzi ai nostri occhi : fatta dagli uomini e da essa modificata continuamente”.