L’ingegnere sgozzato a Faggiano. Inizialmente una rapina finita male, l’assassinio di Cataldo Pignatale. Poi a Cosimo D’Aggiano, l’assassino reo confesso, non è stata contestata la rapina. Cos’è successo allora, nella vicenda che ha portato allo sgozzamento dell’ingegnere operante nel fotovoltaico e ritrovato solo con gli indumenti intimi, steso in terra, esanime, vicino a un campo di fotovoltaico? Le ricerche sono ancora apertissime per comporre un quadro ancora privo di particolari essenziali, a quanto sembra. Di sicuro c’è stata una lite. Di questo si occupa, nell’opinione che è di seguito, il direttore del Corriere del Giorno, Gianni Svaldi:
Due casi diversi, due finali di una rapina andata male, terminata con una morte. I nomi e le situazioni sono frutto di fantasia, le condanne provengono da storie vere.
Se un architetto uccide il proprio rapinatore
Cosa succede quando un architetto di 45anni uccide per difendersi. Carlo, l’architetto, viene interrogato dagli investigatori per 12ore: è frastornato, e si sente in colpa. Ha un mattone pesante sullo stomaco, “ho ucciso un uomo”, pensa mentre il pme gli investigatori gli fanno ripetere per decine di volte come è andata. Durante l’interrogatorio è indagato per omicidio. Tutti lo vorrebbero aiutare, “ma la legge è la legge” gli ripetono. Ora deve trovarsi un legale, uno bravo. Non sa chi chiamare, ricorda solo di avere un amico di infanziaavvocato ma è un civilista. Ci vuole un penalista.
Allora amici e parenti gliene cercano uno. A lui va bene chiunque, bastache lotiri fuori da questo incubo. È indagato Carlo. Passano i giorni, dorme poco. Sul lavoro pensa solo all’uomo che sale sulla sua macchina, al volto del tossico che gli vuole togliere auto e soldi, a come quasi per miracolo gli ha tolto il coltello di mano prima che raggiungesse il suo collo e di come lo hausato per difendersi dalla furia moltiplicata dalla cocaina.
Passano i mesi e la sua vita diventa un calvario in terra. La sua storia è la notizia dell’estate, tutti parlano di lui. Televisioni e giornali intervistano preti, politici e persino bagnanti: molti, tanti, pensano che avrebbe dovuto lasciarsi rapinare e poi ci avrebbero pensato le forze dell’ordine, e, ancora,grandi discorsi sulla vita umana e sulla redenzione.
C’è persino un’associazione di benpensanti da salotto che lo addita come il mostro che ha ucciso il povero derelitto della società, hatolto la vita all’emarginato tanto solo che doveva invece essere aiutato. La presidentessa va in tv, si fa fotografare insieme a politicie attori. “Se avesse bisogno di lavorare per vivere quella…”, pensa Carlo.
È inverno.
Il guplo rinvia a giudizio, non avrebbe dovuto uccidere per nonessere ucciso: l’accusa è omicidio volontario. E’ un assassino, presunto; la prima però fa più eco della seconda. Il lavoro diventa uno schifo. Manca per giorni dallo studio, non cura i clienti. Rischia di perdere tutto da un giorno all’altro. La sua famiglia glista vicino ma tutto il resto è ostile: sì, gli amici in privato gli stringono la mano, gli dicono bravo, ma a lui sembra che il mondo gli abbia voltato le spalle. L’avvocato ha bisogno di altri 2mila euro per andare avanti. La sua famiglia gliene aveva dati già mille a fine luglio “per i bolli”.
E’ passato un anno, tra un po’ inizia il processo. Ha paura, riceve chiamate anonime, non sa se sono scherzi stupidi o gli amici del tossico si vogliono vendicare. Si ripete sempre la stessa cosa, se avesse preso una strada diversa quel giorno, se non avesse incontrato il rapinatore, ora la sua vita nonsarebbe un calvario. Meglio: sarebbe vita, ora non lo è. Inizia il processo e il mondo si ricorda di lui, anche la presidentessa dell’associazione è in gran spolvero e ha conquistato un posticino semi fisso in un programma pomeridiano in una televisione nazionali. Ha ormai una frase ad effetto: “Voglio che tutti i tossicodipendenti mi considerino la loro mamma”, dice sentendosi come Gesù Cristo nel Tempio. Il pubblico applaude sempre. Carlo cambia canale. Il processo va avanti. Sono passati 1.300 giorni. Arriva il verdetto: un anno e 8mesi, il giudice è stato comprensivo e loha condannato per omicidio colposo e a 7mila euro per le spese di giudizio. Non va in carcere ma il processo gli è costato sinora 17mila euro e nonèfinita, il risarcimento ai familiari del morto sarà stabilito in un separato rito civile. Carlo si vende l’auto e la casa, “avrei fatto prima a dargli le chiavi di entrambe e magari chiedergli se volevaanche un caffè”, pensa e gli viene una risata strana. Sono passati quattro anni. L’avvocato al telefono preme per ricorrere in Appello. Ci vorranno altri quattro anni prima che venga emessa la sentenza definitiva, MaCarlo è stanco e solo sul balcone. È di nuovo estate. Si concede una birra. Guarda il delfino sull’etichetta e pensa che, alla fine, avrebbe fatto meglio a non difendersi, a farla entrare la lama nel suo collo. Sarebbe stato più veloce e anche piùindolore.
Quando il rapinatore uccide l’architetto
“Ho ucciso per rabbia ed ero sotto l’effetto della cocaina. Volevo solo la macchina e i soldi” confessa Pino agli inquirenti. Poi va in carcere ad attendere il processo. Sa chi chiamare; il suo avvocato è veloce, conosce il mestiere. Chiede il rito abbreviato e il suo assistito beneficia dello sconto di pena, ottiene 14 anni. I programmi televisivi del pomeriggio non danno molto peso alla notizia. Non è abbastanza morbosa. A dir il vero un giovane redattore ci prova a proporla, riceve in tutta risposta un “e chi se ne frega”.
E’ un detenuto modello Pino, guadagna uno sconto di pena di 45 giorni ogni sei mesi per buona condotta e tra articolo 21 e affidamento ai servizi sociali dopo 7 anni è libero. La presidentessa dell’associazione è contenta.
Gianni Svaldi
(foto home page: Cataldo Pignatale, fonte plus.google.com)