Di seguito il comunicato:
«Un convegno significativo – ha commentato il monsignor Savino, vescovo di Cassano allo lonio e vicepresidente CEl – che ha posto come tema il superamento di una visione economica e di sviluppo che genera disuguaglianze. Mai come in questo momento – ha continuato – è necessario e urgente un cambiamento di paradigma economico e culturale per evitare che le disparità crescano sempre più. C’è bisogno di un sistema circolare di economia civile che consente di dare a tutti le stesse opportunità e di porre al centro la persona con i suoi diritti e i suoi doveri.»
È questo uno degli interventi che hanno arricchito il convegno dal titolo “ll ruolo dell’impresa dinontorganica, per un nuovo modello di sviluppo”, organizzato da Happy Network (www.happy-network.eu) – la rete di circa 20 imprese fondata nel 2014 -, l’associazione Nuova Costruttività, l’ente ecclesiastico Ospedale Generale Regionale Miulli di Acquaviva delle Fonti, il Club delle Imprese per la Cultura e Confindustria Bari e BAT, con il patrocinio del Comune di Gioia del Colle.
«Credo che oggi – ha detto nei saluti iniziali il sindaco di Gioia del Colle, Giovanni Mastrangelo – la nostra società abbia la necessità di fermarsi un po’ e comprendere quello che può essere l’attività di impresa coniugata con la crescita del territorio, lo sviluppo umano, oltre che imprenditoriale, con la capacità di distribuire ciò che l’impresa è in grado di produrre, non soltanto in termini di fatturato, ma anche di crescita di capitale umano.»
Sono seguiti i saluti della coordinatrice del Club delle Imprese per la Cultura di Confindustria Bari – BAT, Maddalena Milone, che ha evidenziato l’importanza degli eventi culturali organizzati sul territorio da aziende locali come Happy Network. «Convegni come questi – ha detto – soddisfano il “cliente interno” all’impresa, rappresentato dai collaboratori e dipendenti, che poi concretizzano il loro impatto sul territorio.»
Il microfono è passato poi al padrone di casa, Leonardo Campanella, presidente di Happy Network, che, rivolgendosi a una folta platea di imprenditori e rappresentati delle istituzioni del territorio, ha posto delle domande di riflessione. «Da imprenditore – ha detto – quale futuro stiamo costruendo? Nell’agire dell’impresa, quanto incide concretamente sul territorio in cui opera? In funzione di cosa opera l’impresa? È sempre più difficile per un imprenditore – ha continuato – cogliere nella realtà la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male. Per questo penso che queste domande ci possano aiutare a capire se ci sono delle strade alternative e nascoste di imboccare per cercare di dare un contributo più attivo alla realtà e per cercare di cambiarla.»
A tentare di dare delle risposte è stato il professore ordinario di Sociologia generale presso l’Università Cattolica Milano, Mauro Magatti che ha parlato dell’importanza di un nuovo modello di sviluppo. «Siamo in mezzo – ha dichiarato – a una grande crisi ecologica, sociale e politica. Il modello di sviluppo individualistico o quantitativo della globalizzazione finanziaria ha generato crescita ma anche una serie di problemi, quindi bisogna cambiare schema. In che direzione? In quella che la realtà ci indica: non è possibile immaginare degli individui, delle industrie, degli stati che operino in maniera indipendente pensando ognuno per sé. Occorre la consapevolezza che tutto è in relazione. Quindi, essere liberi significa preoccuparsi di ciò che viene prima, dopo, e di ciò che sta intorno e questo nuovo sguardo può aiutarci a costruire un futuro migliore».
La parola è, poi, passata a Riccardo Lufrani, docente di Teologia presso la LUMSA di Roma, che ha parlato dell’urgenza di concentrarsi teologicamente sull’azienda. «Noi tendenzialmente – ha detto – costruiamo la Civiltà dell’Amore perché siamo creati da Dio che è Amore per Dio che è Amore, la legge fondamentale che porta tutte le altre passioni. Dobbiamo iniziare a riconoscere ciò che già facciamo e farlo in maniera più efficace e creare una vera e propria ideoprassi dinontorganica di costruzione dell’amore e della pace.»
Nella seconda parte, si sono alternati imprenditori locali che si sono confrontati sulle modalità di fare impresa. «Utilizzare il cuore e il cervello – ha commentato il direttore generale Megamark, Francesco Pomarico – è la strategia migliore e, comunque, ogni azienda ha un suo modello. Ciò che importa è che l’imprenditore sia ispirato dagli organi principali del suo organismo, il cuore e il cervello.»
Ad avvalorare la centralità della persona è stato anche il contributo del direttore amministrativo dell’Ospedale Miulli, Nicola Messina. «Qualunque progetto imprenditoriale – ha commentato – deve avere come protagonista chi produce e l’utente finale che è sempre una persona. Il massimo comune multiplo è la vita di queste persone, di tutti quelli che sono i protagonisti di un modello che parte dall’impresa e arriva sul mercato. Credo che questo tipo di valorizzazione della Vita sia il succo principale di un cambio di mentalità imprenditoriale che si concentra sempre più non tanto sul benessere ma sullo sviluppo di una vita bella e gioiosa.»
Successivamente, Nicola Mele, presidente del comitato Etico Happy Network, ha riassunto in 10 azioni come fare impresa mettendo al centro la persona. «Ascoltare, appartenere, – ha dichiarato – collaborare, integrare, sincronizzare, sintonizzare, rischiare, fidarsi, sfidarsi e generare tante imprese dinontorganiche, cioè organiche con il territorio, le persone, i clienti, i fornitori, imprese essenzialmente dinamiche in grado di lasciarsi contaminare dalla realtà che li circonda e di produrre un nuovo modo di essere e di costruire umanità.»
A concludere i lavori, è stato l’intervento di Simone Tropea, filosofo, giornalista e scrittore, che ha moderato anche l’incontro. «Bisogna – ha detto – creare un modello di impresa che tenda a valorizzare la relazione, non soltanto a sfruttare le sue componenti, il capitale umano, tecnico e materiale in generale per il profitto, che diventa strumento e non fine per la costruttività stessa.»