Di Franco Presicci:
Ci sono intellettuali che hanno realizzato importanti imprese e hanno lasciato traccia nel cuore della gente. Il ricordo che si continua ad avere di loro è limpido: le opere da loro compiute appartengono non a tanti anni fa, ma all’altro ieri. E indimenticabile è il nome di Giuseppe Francobandiera, che per anni ha pilotato in modo eccellente il Circolo Culturale Italsider, acquartierato nella masseria Vaccarella, a Taranto.
Stavo sfogliando un poderoso e bellissimo libro edito dalla casa editrice Mandese, “Taranto da una guerra all’altra”, e tra i nomi di Piero Mandrillo, Roberto Nistri, Cesare Giulio Viola… ho ritrovato quello di Giuseppe Francobandiera in calce ad un intervento che ho avuto gran piacere a rileggere. E come ogni volta che ho letto e riletto quelle pagine mi sono subito appassionato anche per lo stile nobile, affascinante: “Il misterioso fluire delle storie private nel fiume grande della storia. Il rapporto stretto, l’intreccio di episodi, di ‘eventi’. Il susseguirsi degli avvenimenti fatali: fascismo, guerrra, armistizio, liberazione e le ripercussioni nelle case della gente, più che negli echi delle piazze. L’apparente occasionalità dei giorni, la trama fitta del quotidiano; tutto questo ci interessa di più che coniugare il tempo con le date e tentare di spiegarlo”. E’ solo l’inizio del testo di “una storia di Taranto origliata dai buchi delle serrature, guardata dal piano terra delle botteghe, dalle edicole dei giornali, dalle strade; ricostruiti dagli annunci economici, le canzoni, i giornali, le cronache nere e rosa, le locandine del cinema e del teatro; le divise e gli abiti, le foto familiari, le cartoline coi saluti, i ricordi di chi c’era. Questo tenteremo di raccontare, facendo ricorso a quei materiali minuti che gli storici veri lasciano agli scrittori di costume: una tessera annonaria, ad esempio, per quel tanto di vita ‘normale’ che le è passata sopra possiede più potere di evocazione di un dettagliato rapporto sui disagi alimentari patiti durante la guerra: più presa che non le reliquie di Serajevo”. E continua con l’affermarsi della dittatura e con tutto ciò che l’ha seguita. Un racconto, il suo, ricco di fatti, con il manganello che colpiva anche un respiro male interpretato, gli inni, i simboli, le architetture colossali, emblemi del potere. Ricordi che fanno sussultare ancora.
Leggendo Francobandiera si rivivono quei giorni funesti. E’ come stappare una bottiglia di gazosa con la pallina di vetro. E’ stato davvero un personaggio di grande rilievo, non soltanto come scrittore. Nel giugno 2024 Alberto Altamura su “Taranto Sera” ha scritto che “Peppino è stato un validissimo operatore culturale, anzi uno stratega culturale che si è adoperato tanto per svecchiare la cultura locale e promuovere quel salto di qualità che facesse di Taranto una città moderna, aperta alle novità e sensibile. Il suo merito è stato quello di guardare alla cultura in maniera globale, mostrando interesse per l’arte, il teatro, la musica, la letteratura, lo sport…”.
Peppino Francobandiera aveva origini potentine e non solo a Taranto godeva di grandissima stima. Piero Mandrillo, il giornalista Vincenzo Petrocelli, il professor Franco Zoppo, di cultura sconfinata, abile narratore (“Belmonte” e altro) e conferenziere di profonda esperienza, lo apprezzavano moltissimo. Quando Peppino morì Franco mi confidò che la città aveva perso un ottimo possibile sindaco. E con le sue idee, le sue capacità organizzative, la sua abilità nel far funzionare il motore, Giuseppe avrebbe saputo davvero guidare la città, facendola migliore.
Nonostante il suo enorme patrimonio culturale, le sue virtù di narratore attento e scrupoloso, Giuseppe era un uomo alla mano, simpatico, schietto. I suoi discorsi, sempre ricchi di contenuti, si dipanavano con una sveltezza mai dilagante. Me lo presentò una sera al “Corriere del Giorno”, al primo piano di uno stabile in via Di Palma, sul Teatro Odeon, tantissimi anni fa, Vincenzo Petrocelli, che al giornale curava la pagina letteraria. Mi chiese se potevo fare da tramite con Morando Morandini, critico cinematografico del quotidiano “Il Giorno”, dove lavoravo, e gli risposi di sì. Giuseppe lo voleva per una conferenza. Aveva già avuto Gianni Brera, che gustò poi squisite orecchiette preparate dalla moglie del custode della stessa masseria. In seguito andai a far visita a Peppino nel suo ufficio e mi invitò a pranzo, ma avevo un impegno che non potevo rimandare.
L’ho incontrato spesso a Figazzano, a un tiro di fionda da Martina Franca, nel palazzetto del pittore Filippo Alto, che aveva spesso ospiti illustri, tra cui il critico d’arte e docente all’Accademia di Brera Raffaele De Grada. Nel cortile che fascia parte della sua casa ogni anno Filippo organizzava una serata culturale, a cui a volte prendevano parte Giuseppe Giacovazzo, il poeta Egidio Pane, Vernola e tante altre personalità… Non ricordo il tema della serata in cui incontrai Peppino Francobandiera e la moglie Marisa, docente di chimica.
Filippo mi parlava tanto di Giuseppe; e anche Piero Mandrillo. Quando il pulsanese geniale ribattezzato tarantino, il saggio conduttore di rubriche letterarie su un’antenna locale, Piero appunto, veniva a Milano, andavo a prelevarlo alla stazione Centrale, lo portavo a pranzo a casa mia e poi a Monza, dove viveva e insegnava Maria Teresa, la figlia: “Ho grande rispetto per Francobandiera, non soltanto per tutte le iniziative di altissimo livello che allestisce, facendo del Circolo un serbatoio di cultura; ma anche per la sua profonda cultura”. E mi raccontava un episodio dietro l’altro. Così io ricevevo ventate della mia città.
Peppino Francobandiera organizzò anche il “Teatro sull’erba” e io assistetti a uno spettacolo di Luca De Filippo, figlio di Eduardo, su un palcoscenico allestito su una distesa di verde formicolante di spettatori. Non mi pesò rimanere in piedi dall’apertura del sipario alla chiusura finale. Ero arrivato in ritardo per un imprevisto sulla strada da Martina a Taranto e ogni posto era già occupato. Un conoscente voleva cedermi il suo, ma cortesemente rifiutai.
E i concerti nelle chiese? E le mostre degli artisti più consacrati? Ad esempio, Domenico Cantatore, residente a Milano, ma radici a Ruvo di Puglia, dove nel ‘76 Giuseppe Giacovazzo lo colse e intervistò passeggiando sotto gli ulivi nel primo documentario a colori della televisione nazionale. I nomi più importanti dell’arte italiana passarono dal Circolo condotto da Giuseppe Francobandiera. Giò Pomodoro, tra questi. Anche i poeti approdarono in questo fabbricato rurale, che a suo tempo fu fulcro del lavoro contadino. Ricordo Alfonso Gatto, di cui lessi pagine toccanti su Milano, “dove venni da ragazzo con un libretto di versi in tasca, con due lettere, una per Zavattini, una per il povero e caro Titta Rosa e solo a piedi – mi dicevo con il mio entusiasmo imparerò la città – riuscii a trovare piazza Carlo Erba e la Rizzoli dove lavorava Zavattini…”.
Peppino Francobandiera conosceva tanti principi della tavolozza e della penna e tutti accettavano i suoi inviti. Di Filippo Alto, di cui si erano occupati i critici Mario Lepore, Sebastiano Grasso, Mario De Micheli, era amico… E Filippo nella masseria fece una delle sue mostre più appassionanti, con quadri che esprimevano tutto il suo attaccamento alla Puglia. La coglieva attraversando tratturi che ricordano D’Annunzio, osservando muri a secco rosicchiati e trulli, “casedde”, fichi, viti, querce e ulivi, che impreziosiscono la terra rossa. A Francobandiera, che aveva fantasia, cuore, sensibilità, intuito, ricchezza di idee, piaceva questa pittura.
L’ultima volta che incontrai questo messaggero di cultura fu ancora a Figazzano, nuovamente da Filippo Alto, che aveva dato il microfono a un contadino quasi ottantenne, don Oronzo, che aveva una casa incappucciata biancolatte accanto alla sua. La “performance” si concluse con applausi infervorati, perchè don Oronzo con il suo italiano farcito di dialetto e la “verve” scenica aveva calamitato l’attenzione e divertito, raccontando la campagna di una volta, le vendemmie, in cui a volte fiorivano amori duraturi, le raccolte degli ulivi, gli attrezzi, storie succose, che avevano suscitato l’ilarità continua del pubblico. Al termine Peppino, Filippo e il sottoscritto uscimmo su quella che una volta deve essere stata l’aia e tra l’altro commentammo la storia di don Oronzo e il suo carattere deciso e intransigente.
Un giorno seppi che Peppino Francobandiera era deceduto. Non ci volevo credere, era giovane, pieno di energie, ricco di voglia di fare, non poteva essersene andato così bruscamente. Così pensai per l’ammirazione che avevo per lui.
Adesso lo ricorda anche un premio letterario dedicato a lui. Si dovrebbe fare di più. Per tutto quello che Giuseppe Francobandiera ha dato a Taranto e alla cultura e non solo, una via dovrebbe portare il suo nome. Intanto la mia amica Wilma Laghezza, che ha insegnato storia e filosofia, mi ha inviato un video di un’intervista in cui Giuseppe tra l’altro dice: “… Noi non cerchiamo di far venire a Taranto personaggi noti, come i ‘The Blues Brothers’, ma anche altri non comuni, che ci vengono segnalati dagli amici. E non insistiamo sempre sugli stessi temi”. Il fotografo Carmine La Fratta a sua volta mi ha fatto avere immagini sceniche de “La Gatta Cenerentola” di Roberto De Simone, con Peppe Barra e Fausta Vetere. E Antonio De Florio, comandate di “Foto Taranto com’era” su “Facebook” un bella immagine di Francobandiera presa della sua collezione.