Oggi è la giornata mondiale del rifugiato. Sono circa cento milioni nel pianeta, numerosi anche in Italia.
Di seguito una storia in qualche modo legata alla ricorrenza, sia pure “semplicemente” legata alle migrazioni.
Indrit, trentadue anni, ha giurato una settimana fa ed è diventato cittadino italiano. Ha seguito la procedura, ha presentato l’istanza e, ai sensi di legge, nei giorni immediatamente precedenti il giuramento è arrivato il decreto del presidente della Repubblica. Da lì la comunicazione da parte del Comune di Martina Franca e, dunque, il giuramento di fedeltà alla Costituzione.
Tutto bene? Non tanto. Perché il giovane nativo di Valona, in Italia e specificamente, appunto, a Martina Franca, si trova da quando aveva tre anni, quando ci fu la migrazione di massa dall’Albania: tanto per intendersi, erano i tempi della Vlora, quando arrivavano dall’altra sponda dell’Adriatico a migliaia, decine di migliaia, ogni volta.
Quindi, Indrit ha compiuto tutto il ciclo scolastico in Italia, mentre i suoi genitori rappresentavano un nucleo familiare pienamente inserito nella comunità (anche dal punto fiscale). Ma non poteva ottenere la cittadinanza italiana. Era necessario che mettesse insieme tre dichiarazioni dei redditi consecutive, da maggiorenne, per dimostrare di produrre reddito e potere aspirare alla cittadinanza. Nel frattempo ha continuato a vivere, a studiare, ad integrarsi, a lavorare, ad essere di fatto un perfetto cittadino italiano, rispettoso della comunità. Ma per legge ha dovuto aspettare tutti questi anni. Un esempio recentissimo: non ha potuto eleggere il nuovo sindaco, né ovviamente i precedenti. Il caso di Indrit è uno dei tantissimi in tutta Italia: la questione dello ius soli, dello ius culturae, deve essere risolta subito per consentire ai tanti Indrit quello che è un loro diritto, essere cittadini italiani.