Di Martino Abbracciavento:
Arriva la sentenza del Tribunale civile di Trani a dieci anni dalla scoperta della storia di due bambine di Canosa di Puglia, Lorena e Antonella, partorite il 22 giugno 1989 e poi affidate per errore a due madri che non erano quelle naturali. Una delle due, Antonella, ora 33enne, aveva deciso di fare causa alla Regione Puglia.
La vicenda è stata definita in primo grado dal Tribunale civile di Trani, e otterrà con la sua vera famiglia un maxi risarcimento di circa un milione di euro.
Una di loro, Caterina, che credeva di aver partorito la bimba chiamata Lorena e invece era la mamma di Antonella, dovrà essere risarcita per 215mila euro, così come il marito, mentre 81mila euro andranno all’altro figlio, “per non aver potuto vivere compiutamente la relazione parentale”. Ad Antonella, invece, la Regione pagherà circa mezzo milione, anche se nessuna cifra potrà mai restituirle la vita mancata.
Secondo le ricostruzioni, Antonella era stata abbandonata da piccola dalla madre, in più aveva subito maltrattamenti da parte del padre al punto da farla finire in orfanotrofio e poi in adozione.
Meno disastrosa, ma comunque non serena, la vita dell’altra bambina, Lorena, caratterizzata da un rapporto difficile con i genitori.
La scoperta della loro vera identità risale al 2012, guardando delle foto su Facebook e notando delle somiglianze tra donne che non avevano alcun legame. I sospetti vengono confermati l’anno successivo con il test del dna che rivela che Antonella è figlia di Caterina e Lorena di Loreta.
Questa scoperta, si è tradotta in due richieste di risarcimento milionarie alla Regione, tramite le cause avviate davanti ai Tribunali di Bari e Trani. La seconda è stata intentata da Antonella e dai suoi veri genitori contro la Regione e le Asl Bari e Bat, che però non sono state ritenute legittimate a risarcire eventuali danni. L’unica responsabile, alla fine, sarebbe dunque la Regione, poiché ad essa faceva capo l’ospedale di Canosa nel quale avvenne lo scambio.
L’episodio sarebbe avvenuto dopo il parto, quando le neonate sono state portate al nido, dove a nessuna delle due fu applicato il braccialetto identificativo.
Nella sentenza si legge che: “In tal modo le mamme non ebbero modo di accorgersi dell’errore, anche se da quel momento cominciò a concretizzarsi il danno. Il personale ospedaliero, ha infatti l’obbligo di operare perché il parto e le successive cure avvengano senza danni ma anche di consegnare alla madre il neonato che ha partorito. Tale inadempimento contrattuale da parte della struttura avrebbe determinato un enorme danno per tutte le persone coinvolte nella vicenda”.
La Regione ha provato a giocare la carta della prescrizione, puntando sul fatto che il presunto danno dovrebbe essere calcolato a partire dal momento della nascita. Ma secondo il tribunale il danno è da conteggiarsi da quando i protagonisti della vicenda hanno avuto cognizione dello scambio, quindi dal 2012, il che elimina ogni ipotesi di prescrizione.