Ha perso azienda agricola, azienda dei sistemi di sicurezza, una casa e ora, anche il rischio di perdere l’abitazione di Parma dove vive ora. Da 31 anni va avanti così, per una vicenda da cinquanta milioni di euro. Una procedura interminabile che, così com’è stata strutturata, non gli ha neanche dato modo di riabilitarsi come imprenditore. Roberto Di Taranto, imprenditore di Sava, come detto ora vive in Emilia ma è difficile risalire la china se non si riesce a chiudere con il passato. Fra le denunce sull’andamento delle cose nella sezione fallimentare del tribunale di Taranto, eccone dunque un’altra. Nell’intervista rilasciata al tgnorba l’imprenditore fa nomi (coperti dal bip) e denunce del sistema e, complessivamente, dice “non avevo preventivato l’ingiustizia della giustizia”. Dice, in sostanza: i procedimenti andrebbero chiusi entro cinque anni, io vado avanti da 31. E denuncia quelli che secondo lui sono interessi non esattamente chiari.
L’arma del silenzio continua. Non avevo previsto l’ingiustizia della “GIUSTIZIA”.
A cosa pensi oggi? Per paura di aprire le infinite cicatrici dopo 34 anni (procedura 3709/3710 del 05.05.1986 ancora oggi aperta) mi viene in mente un termine nuovo mai usato in precedenza: l’uomo che viene sepolto vivo dall’Ingiustizia della “GIUSTIZIA”. Invio un caro saluto a tutti i dottori della Legge soprattutto a quelli del foro del Tribunale di Taranto, in quanto, tutti hanno gli occhi per guardare, dico tutti meno (…) hanno una grave pecca, quella di non vedere.