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Paolo La Forgia, da Molfetta a Milano ai gradi di generale dei carabinieri Ricordi

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Di Franco Presicci:

Non lo sentivo da tanto tempo. Quando ha preso casa a Roma e io sono andato in pensione, lui è stato promosso generale, ha lasciato a malincuore il servizio e ogni mese torna a Molfetta, la sua città natale, e rimane una settimana e a volte anche di più. Nella città immersa nel verde della campagna, con il profumo del mare sempre gremito di barche che scaricano pesce in vendita al dettaglio e all’ingrosso; s’incontra con gli amici dell’adolescenza riuniti a una tavola nte imbandita alla pugliese. Lo ritrovo, il generale dei carabinieri Paolo La Forgia, oggi settantunenne, dopo almeno 40 anni. Sempre gentile e disponibile, i sentimenti duraturi, i ricordi limpidi e scorrevoli, aperto al racconto. Lo risento grazie al maresciallo Pino Lato, che sta ad Assisi e ha nel taccuino della memoria appuntati, brigadieri, tenenti, capitani, colonnelli, generali della Legione dei Cc di via Moscova, a Milano, che a suo tempo ebbe come pilota anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Ripescare un vecchio amico è sempre un regalo del destino, o della forza di volontà che fa immediatamente resuscitare ore, giorni, mesi, anni volati via come il vento. Con Paolo La Forgia ci vedevamo quasi ogni giorni, negli anni passati. Quando i carabinieri ci convocavano per una conferenza-stampa, lui, allora capitano, al termine mi invitava nel suo ufficio con la scusa di farmi vedere qualcosa e invece tirava fuori dal cassetto una scatola di sigari toscani e ne sfilava due, trasformando il suo ufficio in una fumea.
ll telefono si è scaldato per il tempo in cui l’abbiamo adoperato. “Ricordi questo?”. “E tu, hai memoria di quest’altro”. Una gara improvvisata vinta da tutt’e due. Lui comincia da Rho, o adagiato a pochi chilometri dal capoluogo lombardo. Gliene ha dati di problemi, questo centro, dove allora alloggiavano tante aggregazioni di rapinatori, trafficanti, ladri di ogni tipo, come a Milano e altrove; e i carabinieri sempre all’erta, sempre pronti a intervenire per mandarli al gabbio. Qualche operazione si è conclusa con furibonde sparatorie. Le “binde”, assalti a mano armata, a banche e ad altri luoghi apetiti, erano all’ordine del giorno, e non facevano soltanto rumore. “Ti ricordi l’operazione che si concluse in zona Niguarda, con i carabinieri in elicottero, scaglionati sulle scale di uno stabile in cui, in un appartamento, si erano rifugiati i “duristi”. Bastava poco per scatenare l’inferno; “e invece noi li prendemmo mentre uscivano e sequestrammo l’arsenale, tra cui le mitragliette che avevano sottratto in una Gazzella dei carabinieri nel corso dell’operazione. Ricordi?”. “Io c’ero dall’alba. Ricordo il colonnello Tommaso Vitagliano sotto l’ombrello per difendersi dalla pioggia furiosa” . La Forgia continua: “La Compagnia di Rho faceva mille arresti all’anno. Era una vita frenetica, notti insonni passate in strada. In auto ero con la testa fuori del finestrino per evitare che l’autista deviasse per la nebbia fitta”. Entusiasma quando racconta. “Avevo collaboratori eccezionali che davano l’anima al servizio, da Giuliano Meloni all’appuntato Carta, ai marescialli Gallone e Lucchelli. Nel ‘95 ci fu un sequestro-lampo di persona e nell’operazione per la liberazione della vittima intervenne anche il Gis (le teste di cuoio). Dopo aver localizzato il covo, mi trovai nel turbinio dei fln il ragazzo fra le braccia. Piangeva, per l’emozione e per la paura. Che momenti! “Arrestammo tre uomini e una donna.
La Compagnia – dice – gli ha dato molte soddisfazioni. La Forgia e i suoi uomini hanno fatto imprese memorabili, fra cui quelle per arginare gli scontri fra i tifosi che mettevano a ferro e fuoco la città. Ricorda piazza Duomo e dintorni arroventate, con gruppi di facinorosi appostati sul monumento a Vittorio Emanuele. Durante i suoi 40 anni di carriera ha sempre comandato reparti investigativi, con tutti i rischi che quel comando, come gli altri, comporta. Nel ‘94 sequestrarono 5 mila chili e 500 grammi di cocaina proveniente dalla Colombia. Individuarono i “container” parcheggiati nel porto di Genova, li aprirono, ma trovavano soltanto scarpe e tomaie. “Guardate meglio, approfondite”, diceva La Forgia. Era notte e i segugi si liberarono delle scatole di scatrpe e sotto scoprirono i panetti di droga. La Forgia chiamò il Comando generale a Roma, e poi ricevette per telefono ricevette gli elogi del presidente della Repubblica Scalfaro. E non fu la sola volta che un’autorità così in alto chiamasse per fare congratularsi. La fatica, il coraggio, la bravura, la scaltrezza di quegli uomini era nota. E noi giornalisti davamo spazio non soltanto in cronaca.
Quando i carabinieri ci chiamavano e noi ci presentavamo puntuali in sala-stampa non smettevamo di fare domande. Io del “Giorno”; Piero Colaprico o Lorenza Pleuteri di “Repubblica”; Paolo Longanesi del “Giornale”, Elio Spada o Giovanni Calabrò dell’”Unità”; e avevamo l’occasione di salutare i colonnelli Tommaso Vitagliano, Emanuele Garelli. Elio Toscano, Morini, Martorana, Gebbia. Umberto Massolo e altri. E dopo al bar interno aperto sulla piazza d’armi a bere una bibita o un caffè, con l’ordine di non fare nomi, mai: l’ordine era che gli uomini dovessero operare nel silenzio. Quando nell’85 scrissi una serie di articoli sui racconti della polizia e dei carabinieri fui invitato a non fare cenno alle generalità degli intervistati. Non potetti neppure dire che il colonnello Vitagliano realizzava quadri con protagonisti i carabinieri a cavallo su sfondo azzurro.
Per anni ho frequentato via Moscova, dove conoscevo tutti. Una volta mi fu consentio di trascorrere una notte in giro per la città su un’auto del 113. La notte Milano ha un suo fascino particolare. Il buio interrotto dalle luci dei lampioni e dai lampeggianti di “volanti” e “gazzelle” e spesso il silenzio dalle sirene. Ricordo anche le voci, gli schiamazzi delle bische clandestine all’aperto, con qualche giocatore che riceveva denaro dalle mani di una falena, che aveva appena finito di sgambettare sulla strada. Di notte Milano ha le sue insidie. Una volta con un trattore sradicarono la macchina del bancomat di un istituto di credito. Le bande erano sempre in agguato, come quella del buco e quella che con la carotatrice in un “weeK end” sfondò un muro per arrivare al caveau” di una banca in piazza Diaz. “Ricordi, Paolo?”.
Paolo La Forgia ricorda tutto. La sua memoria è fertile. Non gli ho chiesto se durante i pranzi con gli amici a Molfetta parla non soltanto della gente che viene anche dai paesi vicini e lontani per acquistare orate, sarde, gamberetti, triglie… e magari anche anche qualche ostrica o cozza pelosa, volando poi alle giornate e alle nottate vissute nelle vie di Milano per arricchire le indagini che hanno come obiettivo finale gli arresti, Quando si ritorna alla “culla” si recuperano gli amic ie si ha anche voglia di vedere le bellezze, i panorami, le chiese, ovunque soffino aliti di vita.
La Forgia Molfetta ce l’ha nel cuore. La lasciò nel ‘77 per il corso allievi ufficiali a Roma. Entrò nell’Arma e fu destinato a Palermo, “dove mi trovai benissimo”; poi a Messina; poi ancora a Brindisi, alla tenenza dell’aeroporto; quindi alla Compagnia di Rho. Dopo tutti questi giri arrivò alla Compagnia Duomo di Milano, dove rimase dall’87 al ‘91; dal ‘92 al ‘96 al Nucleo investigativo di Milano; dal ‘96 al 2000 al Nucleo investigativo di Roma. Sempre come comandante. Non è finita. E’ stato capocentro della Dia della Capitale; poi alla guida del Comando nazionale dei carabinieri ispettori del lavoro per poi passare come referente dei Cc alla Commissione parlamentare antimafia per la XVII legislatura. Nel 2018 viene promosso generale. “Milano – dice – è stato per me un periodo bellissimo, nonostante le continue telefonate dalla centrale operativa e le incalzanti operazioni contro una malavita sempre più agguerrita, decisa a colpire senza esitazione per farla franca o per realizzare un colpo. E a Milano le bande sono state numerose, da quella della dolce vita a quella dei rapinatori del lunedì (gli altri giorni fingevano di essere impiegati, uscendo dalla tana nell’ora in cui escono chi va davvero a lavorare); la banda del cinese, dei Tir e via dicendo. Senza trascurare i grossi nomi della mala, che si sentivano i padroni della città. Per l’impegno nell’Arma dei carabinieri il Comune di Molfetta a suo tempo ha invitato il generale La Forgia a tenere una conferenza nell’aula consiliare e gli ha consegnato una targa di cittadino che ha onorato la sua città.

 

 

 


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