Di Angela Maria Centrone
Tra le molteplici situazioni di disagio causate dalla quarantena indetta dal D.P.C.M. dello scorso marzo, sicuramente si annovera quella di chi esercita la prostituzione.
Che si tratti di donne, transessuali, ragazzini, dove sono? Come mangiano? Qualcuno sta facendo loro del male?
Per rispondere a queste domande abbiamo contattato la dott.ssa Angela Di Liso di Giraffa Onlus, associazione che si occupa per la Regione Puglia di aiutare le vittime di tratta.
“Purtroppo con la pandemia la nostra attività sul territorio pugliese è pressoché bloccata, perché al momento dobbiamo tutelare le ospiti già presenti nelle nostre case rifugio. Contestualmente abbiamo chiesto alla Regione – la quale si è dimostrata immediatamente disponibile – di individuare delle strutture di ricovero per quelle donne che ci stanno contattando per essere liberate dai loro aguzzini e che ancora non possiamo aiutare. Infatti, abbiamo necessità di ulteriori spazi per isolare le nuove arrivate, non possiamo esporre tutti gli altri al rischio di contrarre il coronavirus. La nostra domanda è in lavorazione e speriamo di riprendere al più presto le nostre attività. Per ora, coloro che ci chiamano per necessità primarie, cerchiamo di aiutarli fornendo direttamente viveri e generi di prima necessità o indicando loro le CARITAS alle quali rivolgersi.” Ha raccontato la dott.ssa Di Liso, aggiungendo: “Ciò che vorremmo è poter prendere in carico le chiamate delle vittime di tratta che continuano ad arrivarci e che speriamo di tornare a salvare il prima possibile”.
La tratta degli essere umani a scopo di sfruttamento della prostituzione (che include in primis donne provenienti dalla Nigeria) è una piaga sociale enorme e in un’ottica di rinnovamento delle priorità e delle politiche di questo Paese, come ha dichiarato il Presidente del Consiglio Conte nell’ultimo discorso dello scorso 26 aprile, forse sarebbe necessario ripensare alla categorie più fragili. Potrebbe essere la legalizzazione della prostituzione, o meglio l’abolizione del reato di sfruttamento della prostituzione, uno strumento per debellare le organizzazioni criminali?
La dott.ssa Di Liso ci assicura di no, perché ciò che farebbero queste organizzazioni sarebbe solo sfruttare le leggi vigenti a proprio favore: “queste donne vengono prelevate da villaggi poverissimi della Nigeria e, completamente ignare, vengono praticamente deportate in Europa. Non hanno istruzione e non hanno idea dell’Inferno che le aspetta. In questo non c’è una scelta. Restituire loro la libertà vuol dire guardarle come persone e non come numeri, ognuna con una storia unica e speciale da raccontare.”
Sul tema abbiamo sentito anche l’avvocato penalista Francesco Zaccaria, il quale per esperienza professionale conosce piuttosto bene l’argomento sia dal punto di vista legislativo che umano: “Sicuramente, considerata l’emergenza coronavirus, la cosiddetta domanda sarà drasticamente diminuita e le mere leggi del mercato ci insegnano che al calare della domanda si riduce anche l’offerta. Forse nel periodo successivo, dato che si rivelerà infruttuoso come affare, lo sfruttamento della prostituzione diminuirà, così come le tratte perpetrate allo scopo. Ma dall’altro lato resta l’isolamento attuale delle vittime, spesso senza fissa dimora e costrette alla solitudine, perché i loro sfruttatori fanno in modo che non stringano legami neanche tra loro, onde evitare rivendicazioni e fughe. Probabilmente continuano a subire abusi e sono costrette ad andare sulla strada a racimolare qualcosa per poter continuare a pagare quel famigerato debito contratto partendo dai loro Paesi, un debito infame che ora le espone anche al rischio di covid-19″.
Anche all’avvocato Zaccaria abbiamo domandato cosa pensasse della legalizzazione e molto sinceramente ci ha detto che fino ad un anno fa avrebbe sicuramente risposto di essere favorevole. Ad oggi, alla luce di un’esperienza più ravvicinata con questa realtà, non la vede come una possibile soluzione. E a sostegno di ciò ha citato una sentenza del 7 giugno 2019 espressa dalla Corte Costituzionale: “Anche quando la scelta di prostituirsi appare, almeno inizialmente, una scelta libera, ad essere tutelati sono i soggetti vulnerabili e la dignità umana, visti i numerosi pericoli insiti nella prostituzione stessa, pericoli collegati all’ingresso in un circolo dal quale sarà difficile uscirne volontariamente, subendo così rischi per l’integrità fisica e la salute cui ci si espone durante l’attività di meretricio.” Facendoci notare la modernità di tale sentenza, che scevra di toni paternalistici, mette al centro la dignità umana.
Allora, forse, il cambiamento vero, quello che ci si auspica nel post-pandemia non deve essere legislativo, ma culturale. Forse bisognerebbe smettere di stigmatizzare la prostituzione, ma allo stesso tempo offrire a tutti un riscatto sociale possibile (a questo proposito la citazione nell’immagine in evidenza al film Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, ndr). Forse bisognerebbe andare a modificare radicalmente un pensiero che da millenni accompagna e influenza la nostra società, che ci tiene incatenati a degli stereotipi di genere. Se desideriamo un’evoluzione è indispensabile una riprogrammazione che tenga conto della complessità del mondo: dati qualitativi e non solo quantitativi, storie personali e non solo statistiche, essere umani prima che donne e uomini.
Dovevano e devono aprire la rispettiva Partita IVA (art. 36 comma 34bis Legge 248/2006, Sentenza Corte Costituzionale n. 141/2019).