Nei giorni scorsi un sacerdote di Ostuni, Francesco Legrottaglie, 67enne, fu arrestato. Secondo l’accusa, aveva il computer pieno di immagini pedopornografiche, con tanto di nomi di santi dati alle cartelle contenenti tali immagini. Di seguito il testo del documento indirizzato dal gruppo Manifesto4Ottobre all’arcivescovo di Brindisi-Ostuni, Domenico Caliandro, documento indirizzato anche a papa Francesco e al segretario generale della Conferenza episcopale italiana, Nunzio Galantino:
Gent.mo Arcivescovo,
nel maggio scorso, qualche giorno dopo l’arresto di un parroco nella città capoluogo con l’accusa di violenza sessuale su minori di 14 anni con l’aggravante dell’abuso di autorità, Le indirizzammo una lettera* a conclusione della quale chiedevamo di istituire una commissione di inchiesta come avevano fatto due diocesi italiane, Verona e Bressanone.
Purtroppo a pochi mesi di distanza apprendiamo dalla stampa che un altro prete è stato ristretto ai domiciliari in questi giorni con l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico; mentre per il prete arrestato nel maggio scorso la pubblica accusa ha chiesto il rinvio a giudizio sul quale il giudice delle indagini preliminari deciderà il prossimo 12 dicembre.
Leggiamo anche una Sua dichiarazione secondo la quale “per il sacerdote (arrestato ndr) si determina da subito la limitazione di qualsiasi atto di ministero pubblico fino a nuova disposizione” e “tuttavia da anni non ha alcun incarico e non svolge alcun ruolo in diocesi”.
I giornali parlano di una Sua dichiarazione secondo la quale il sacerdote arrestato “potrà celebrare solo privatamente”. Un passaggio, quest’ultimo, originato, forse, da un difetto di comunicazione o refuso, che richiederebbe qualche parola chiarificatrice del Suo pensiero dal momento che, per come lo si legge, appare avulso dal senso profondo dell’Eucarestia, fonte e culmine della vita comunitaria, che non potrebbe essere ridotta a pia pratica di pietà individuale.
I fatti corroborano il nostro convincimento che il problema della pedofilia nel clero non possa continuare ad essere affrontato in maniera episodica e con dichiarazioni rassicuranti verso le comunità e l’opinione pubblica, sempre più insofferenti nei riguardi di questi comportamenti che, secondo Benedetto XVI, “oscurano la luce del Vangelo a un punto a cui non erano giunti neppure secoli di persecuzioni”. Non si tratta di punire e reprimere, ma di avviare una profonda revisione dei metodi di selezione e formazione dei presbiteri, troppo lontani e separati dalla vita quotidiana e dalle comunità. E si tratta anche di promuovere una verifica, libera e sincera, degli stili di vita di tutti.
Ci chiediamo, allora, se a fronte di certi comportamenti sia sufficiente l’allontanamento dal ministero pubblico dei presbiteri coinvolti o se, invece, nel dare segnali chiari e rigorosi di riprovazione, non sia giusto procedere, rapidamente, dopo le prescritte verifiche, alla sospensione da qualsiasi funzione pastorale e sacramentale in pubblico e in privato (“sospensione a divinis”), almeno fino a quando non risultasse l’innocenza degli accusati.
Con riferimento all’ultimo arresto ci chiediamo, inoltre, se non sarebbe stato doveroso, dopo la precedente condanna negli anni ’90 per abusi su minori, non permettere all’interessato la prosecuzione del ministero presbiteriale. Per molto meno, e cioè perché il loro amore non rientra nel canone ecclesiastico, non si permette a uomini e donne l’accesso ai sacramenti!
Torniamo perciò a chiedere di istituire la già proposta commissione diocesana di inchiesta e di procedere alla “sospensione a divinis” dei preti che sono incorsi e che incorreranno in comportamenti che arrecano danno alla libertà ed alla dignità dei minori, al fine sia di assumere conseguenti e più efficaci decisioni preventive e sia per prendere in considerazione comportamenti che possono nuocere più in generale al bene della collettività.
Offriamo le considerazioni che precedono alla Sua attenzione, restando a disposizione per ogni colloquio, chiarimento e correzione.