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Max e la città della cultura Taranto: il cane di quartiere e due randagi senza nome curati da cittadini nel quartiere Paolo VI

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Di Augusto Ressa*:

La storia di Max mi ha ricordato un racconto di Goffredo Parise dei “Sillabari”, a mio avviso uno dei libri più belli del ‘900. Si intitola “Anima” e narra di un cane randagio e del suo rapporto con gli uomini e con la città. L’immagine circolata in questi giorni, per me più evocativa, e che mi ha più colpito e intenerito, è quella di Max composto e a suo modo “sull’attenti” insieme al sindaco e alle massime autorità civili, militari e religiose di fronte al monumento ai caduti. La storia è nota: questo cane che si aggira da tempo nel Borgo di Taranto, partecipando alla vita degli umani secondo il suo estro, giocando con i bambini (belle le sue foto sulla spiaggia del Lungomare), ritagliandosi però i suoi spazi di solitudine, è stato catturato e portato al canile municipale a seguito di una segnalazione alla ASL fatta da un cittadino che era stato oggetto di una sua, diciamo così, intemperanza, come reazione a quella che probabilmente il nostro Max avrà ritenuto fosse una insopportabile provocazione. Ne è sorta una mobilitazione popolare con una petizione con migliaia di firme, che ha infine spinto il sindaco, con un bellissimo gesto, a liberare l’amato randagio, e a nominarlo ufficialmente “cane di quartiere” con collare e custodi che d’ora in poi se ne prenderanno cura. Questa storia a lieto fine, che in un mondo dominato dalla prosa, segna un momento poetico a favore della nostra città, mi porta a pensare ai tanti randagi che frequentano i nostri quartieri, amici discreti dei quali non conosciamo il nome e la storia, e che non godono, come Max, della luce dei riflettori e della notorietà sui social. Per un anno ho frequentato il quartiere Paolo VI, con ufficio in Piazza Pertini. Qui vivono la loro vita randagia due cani arruffati, con un’aria bonaria, che amano prendere il sole d’inverno, e che durante l’estate si stendono all’ombra nei pressi del bar Girasole. Non sono due tipi esuberanti come Max, sono tipi discreti, modesti, schivi, cani di periferia, ma ricordano a tutti quelli che li osservano che la vita è bella anche con poco e che noi umani siamo così stupidi a crearci quotidianamente problemi apparentemente insormontabili che ci procurano ansia e malessere. Qualcuno se ne prende cura, senza clamore, e li vedi che i due sono in buona salute e a loro modo, si direbbe, felici. Da un po’ di tempo c’è chi ha collocato per loro due belle cucce con coperte in un’aiuola nel loro territorio, nei pressi del bar, sotto due alberi dalle grandi chiome. Vorrei dire grazie a queste anonime belle persone che coltivano sentimenti così nobili, e che con questo solo gesto hanno pervaso di bellezza quell’immenso falansterio, pomposamente denominato Centro direzionale Paolo VI. Basterebbe la storia di Max e dei due randagi senza nome con le loro cucce ad attribuire a Taranto il titolo di Città della Cultura.

*architetto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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