Il professor Gianfranco Megna, già ordinario di Medicina Fisica e Riabilitativa all’Università di Bari, pioniere della riabilitazione in Puglia e in Italia, è venuto a mancare nei giorni scorsi. Il dottor Piero Achille, specialista in Neurologia, Fisiatria e Farmacologia clinica, suo allievo e autore con lui d’una storia della riabilitazione, lo ricorda in questo scritto.
Di Piero Achille:
Ho sentito parlare per la prima volta il professore Gianfranco Megna a un convegno a Bisceglie presso l’Hotel Villa, alla fine degli anni Settanta, quando andavo cercando la verità sulle possibilità intentate e inesplorate nella cura della mia genitrice, uccisa da un ictus in un ospedale di provincia. Il professore Megna parlò per ultimo, alla fine della giornata, perché la Riabilitazione, concettualmente, viene dopo il processo diagnostico e terapeutico di branca. Fui colpito dalla chiarezza della sua oratoria forbita e dalla verve della sua personalità, arricchita dalla vivacità del mimo, capaci di risvegliare l’uditorio ormai stanco.
Poi cominciai con l’incontrarlo nella Clinica Neurologica: con aria compita e festosa, la voce
altisonante e il fare cortese dei signori, lo vedevo accompagnare verso l’atrio d’ingresso i personaggi e i suoi colleghi di riguardo che venivano a trovarlo, distinti dai tanti che puntualmente affollavano il disimpegno di accesso al suo studio e che, comunque, immancabilmente corrispondeva dopo gli adempimenti istituzionali di cui si portava a casa i faldoni nella borsa ricolma. E così nel corso degli anni. Tanti.
Dopo il direttore, era il professore Megna il più ricercato e rappresentativo con l’esprit de rôle che lo portava a sentirsi ed essere riconosciuto come il Professore, del cui ruolo accademico sentiva la responsabilità e che lo portava a non accomunarsi e a non riuscire banale nella conversazione. Era tracimante e contagiante nella messe di iniziative scientifiche di aggiornamento che andava sollecitando o di cui si assumeva personalmente l’onere nel vorticoso giro di impegni che scorreva sulla sua agendina. Signore della parola, aveva tutto un suo vocabolario di locuzioni originali per spiegare e riprendere secondo lettura riabilitativa le basi anatomiche e funzionali del sistema nervoso, esplorate nelle mille possibilità produttive di recupero che lui intravedeva e che, negli interventi congressuali, pretendeva non venissero contraddette, uniche occasioni che lo portavano a esprimersi con severità o franca censura dell’altro.
Egli perviene nell’Università di Bari al seguito del professore Eugenio Ferrari, che ha rispettosamente riconosciuto suo Maestro anche quando Maestro è diventato anche lui, introducendo in epoca pioneristica il progetto della Neuroriabilitazione, il percorso della speranza del paziente neurologico devastato dalla disabilità motoria e cognitiva della malattia, che sviluppa nella Clinica e diffonde nel territorio, anche extra-regionale, di cui diventa riferimento assoluto, conquistando prestissimo ruoli egemoni nell’ambito dell’audience e delle Società scientifiche nazionali. Perciò, inseguendo l’esigenza di accompagnare il paziente oltre l’incendio della acuzie, dopo quella in Neurologia chiedo al professore Megna di ammettermi nella sua Scuola, avviando un lungo rapporto scientifico e umano che ci ha visti insieme anche dopo il suo subìto e sofferto pensionamento. Già all’epoca della preparazione della tesi di specializzazione egli mi propose di ricostruire la storia della Riabilitazione pugliese, che volle allargare, poi, alla stesura a quattro mani di una prima e di una seconda edizione di un ponderoso volume da collezione, Storia della Medicina Fisica e Riabilitazione, che si è compiaciuto di presentare per il mondo, mostrandomene gli attestati di apprezzamento riscossi ovunque.
Da allora mi ha concesso di essere allievo devoto e poi collega alla pari, stringendo anche rapporti
di amicizia familiare. E negli anni di mie difficoltà carrieristiche è stato l’unico cattedratico che ha resistito alle voci della zizzania attivandosi generosamente per collocazioni ritenute consone alla mia preparazione, senza mai sottrarsi a presiedere e benedire le diecine di occasioni scientifiche propostegli, per le quali trovava sempre uno spunto nuovo e aggregazioni per me insperate, a Bari come a Lecce, a Vieste come a Cosenza, grazie alla sua rete di collegamenti intessuti per ogni dove e il garbo del suo stile disponibile e coinvolgente che me lo hanno visto accogliere calorosamente ovunque lo abbia seguito.
Egli è appartenuto a un’aristocrazia del sapere di Maestri in una stagione magica di tumultuoso
sviluppo delle neuroscienze che ho avuto il privilegio di vivere. Tuttavia, anche tra essi è risultato figura preminente, ineguagliato e ineguagliabile, capace di entusiasmare e forse anche di infatuare, a cui obbligatoriamente e sempre dare del Lei per come, da par suo, faceva a sua volta, mantenendosi vigili all’ascolto, in quanto arricchimento per l’emisfero sinistro e diletto per quello destro. Per dirla con Pascal, una commistione di esprit de geometrie e di esprit de finesse che si acquietava solo quando, esausto, a ora avanzata tendeva talora ad assopirsi durante le cene post convegnistiche.
Egli ha lasciato una eredità difficile o impossibile da amministrare, disgregata già subito dopo il suo
pensionamento da successori inadeguati o sprovveduti e, ancor più, quando si consideri l’inverno dello spirito dell’ingratitudine dei troppi che gli hanno fatto corona e che a lui devono il loro avvenire. Parafrasando Tomasi di Lampedusa: «Ci furono i Gattopardi, i leoni; quelli che li hanno sostituiti sono gli sciacalletti e le iene». Un augurio particolare a sua figlia Marisa, da poco ordinario come lui in Medicina Fisica e Riabilitativa e da alcune settimane direttore pro tempore dell’Unità operativa complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione e Unità spinale unipolare del Policlinico di Bari. A lei, ai medici e al personale di tale struttura il gravoso compito di riorganizzarla affinché possa riaffermarsi per come era stata ideata dal professore Megna.
A noi mancherà la prosodia della sua voce con cui non si peritava di telefonare presentandosi: «Sono Gianfranco Megna». La sensibilità di rispondere agli auguri di fine anno, insieme all’inseparabile signora Rosalba. La raffinatezza dei modi e, per quel che mi riguarda, l’affettuosità che mi ha sempre riservato, la cui assenza mi fa sentire orfano.
Addio, Professore!