Di seguito un comunicato diffuso dallo Sportello dei diritti:
Avevano ritenuto ingiusta la sentenza del Tribunale di Lecce che aveva limitato la condanna del responsabile della morte del proprio anziano padre a seguito di un sinistro stradale a soli 46.500 euro per i danni non patrimoniali come richiesto nell’atto introduttivo del giudizio e si erano, quindi, rivolti allo “Sportello dei Diritti” per lamentare l’erronea netta cesura decisa dal giudice di prime cure che aveva ritenuto doversi limitare la domanda risarcitoria solo a quanto indicato in prima istanza nel lontano 2009 ritenendo mere clausole di stile le formule “…oltre a quelle somme che saranno ritenute eque dal giudice dito o che risulteranno all’esito dell’istruttoria”. La Corte d’Appello di Lecce con la significativa sentenza n. 380/2018 pubblicata il 29 marzo scorso, ha ritenuto fondato l’appello proposto dall’avvocato Francesco Toto e ha condannato il responsabile del sinistro nonché la compagnia assicurativa che garantiva l’autovettura dallo stesso condotta al risarcimento integrale dei danni non patrimoniali richiesti dalle figlie dell’anziano genitore che era deceduto a seguito delle lesioni riportate in conseguenza dell’incidente stradale avvenuto nell’anno 2009. In particolare nel riconoscere il diritto al risarcimento integrale di quanto emerso a seguito del giudizio di primo grado e quantificato quasi in 200mila euro tra sorte capitale e interessi per ciascuno dei prossimi congiunti, la corte territoriale ha ricordato che già la Cassazione con sentenza n. 20330/2017 ha statuito il principio di diritto secondo cui: “In tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, la quantificazione dell’importo della liquidazione accompagnato dalla clausola di salvaguardia della “eventuale maggiore misura” rispetto alla somma indicata in citazione, si giustifica nella originaria ed oggettiva incertezza del “quantum” da commisurarsi; tale incertezza non viene meno neppure a seguito dell’istruttoria, che consente di individuare ed accertare i fatti rilevanti ai fini della “aestimatio” del danno, ma non fornisce anche specifiche indicazioni sulla quantificazione dello stesso, con la conseguenza che il richiamo alla formula utilizzata in citazione, effettuato in sede di precisazioni delle conclusioni in primo grado, si risolve in una mera forma stilistica volta a consentire al giudice di procedere alla valutazione estimatoria senza vincoli limitativi… “. Alla luce di tali principio i magistrati leccesi hanno rilevato che «Nel caso di specie, in applicazione del suddetto principio di diritto, la quantificazione del danno non patrimoniale effettuata dalle ricorrenti nel ricorso introduttivo accompagnata dalla seguente clausola: “Salve, in ogni caso quelle somme maggiori o minori che saranno ritenute dal giudice adito o che risulteranno dovute a ciascuno dei congiunti della vittima all’esito dell’istruzione della causa e/o a seguito delle ridette consulenze tecniche invocate” è giustificata dall’originaria incertezza del quantum risarcitorio, a titolo di danno non patrimoniale. Inoltre nell’atto di citazione di primo grado vi era espressa richiesta di attribuzione delle somme maggiori eventualmente dovute». Pertanto, sottolineano i giudici di secondo grado «la clausola de qua non è una mera clausola di stile. Infatti in corso di causa è stata anche espletata CTU medico legale finalizzata ad accertare il danno biologico. Trattandosi di danno non patrimoniale, la cui valutazione preventiva è di difficile quantificazione, può affermarsi che la domanda è stata formulata in termine tali da consentire al Giudice l’attribuzione di quanto richiesto». Insomma, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, si tratta di un’importante decisione che nell’evidenziare che è pressochè impossibile determinare sin dall’inizio di una causa finalizzata al risarcimento del danno non patrimoniale il suo esatto ammontare, bacchetta anche la compagnia assicurativa che si era ostinata a voler riconoscere solo e soltanto il modesto importo riconosciuto dal giudice di primo grado che era manifestamente troppo riduttivo nella liquidazione dei danni derivanti dalla perdita della scomparsa di un prossimo congiunto padre e seppure in età avanzata.