Di seguito l’intervento dell’economista Giampietro Comolli:
Le più grandi saline marine d’Europa di Margherita di Savoia in Puglia sono passate in mano alla multinazionale francese Salins spa, leader europea e co-leader mondiale nella commercializzazione di sale industriale, sale stradale e sale alimentare. Una asta di vendita del credito gestito da Monte Paschi Siena, banca finanziata dallo Stato e dal Governo Renzi, in assoluta forma riservata e a chiamata, ha assegnato a Salins spa tramite la controllata Cis oltre 500 ettari di sale marino italiano, collegati a 4000 ettari di parco, in zona altamente turistica. I sindacati dei lavoratori, gli ex titolare di Atisale-Salapia Sale spa detentori della concessione Demaniale fino al 2029 e autori del forte crack debitorio che ha portato l’impresa al concordato, alla cessione del 100% pacchetto azionario, al pegno fideiussorio delle azioni e alla garanzia delle proprietà personali dei soci, sono scesi in piazza e hanno scritto lettere di fuoco. Come Ceves – che sta facendo ricerche tecniche-scientifiche-economiche sul #saleitaliano per valorizzarlo rispetto ad altri sali mondiali – chiediamo al Governo, al Demanio, alla Regione Puglia, al Comune di Margherita, a Coldiretti di attivare un controllo affinchè il #saleitaliano non faccia la fine dello #zuccheroitaliano che negli anni ’80-’90 passò di mano non con una cessione di impresa, ma anche in quel caso per necessità, interessi solo finanziari in un gioco di scalate, debiti e crediti. Sollecitiamo quindi che un bene collettivo dello Stato italiano non sia ceduto a chi ha una leadership che potrebbe inficiare la “italianità”, l’origine e la provenienza del sale marino tricolore, oltre ad interessi legati anche ad altre saline di salgemma nelle miniere di Volterra. Anche attraverso il #saleitaliano può passare la valorizzazione dell’agroalimentare e del made in Italy dell’enogastronomia per tutti i risvolti culinari, ricette, cucina che implica, come segnalano già i più importanti chef e cuochi italiani all’estero e in Italia, spessissimo sempre costretti ad acquistare sali di altri paesi per la forte pubblicità e forte tutela delle caratteristiche alimentari, cosmetiche, salutari che il sale dimostra sempre più nelle ricerche scientifiche e universitarie. Il sale non è un nemico della salute se consumato con misura, con dosi e in modi corretti essendo sia un condimento a tavola ma anche un coadiuvante terapeutico per certe cure dell’organismo umano, dallo stress alla salute dermatologica, dalle vie respiratorie alla stanchezza congenita. Il recente DL del Sanato a tutela dell’agroalimentare italiano dovrebbe interessarsi anche del #saleitaliano non come prodotto industriale, come pure le norme di qualità e qualificazione del sale per consumo umano devono essere aggiornate rispetto a quando era un monopolio di Stato per poter operare sul mercato interno e mondiale ad armi pari con i concorrenti. Non è possibile che nei supermercati italiani ed europei ci siano sali confezionati e commercializzati integrali-grezzi a disposizione di un consumatore spesso non informato provenienti da altri continenti, sia marini che di miniera, con il 93% di purezza tecnica quando le norme di produzione nazionale prevedono un minimo del 97%. Inoltre perché il sale purissimo , bianco, grosso a fiocchi o a chicchi made in Italy ha un prezzo medio al consumo da 2-3 euro al chilo nei migliori casi e tutti i sali di importazione partano da 5 euro e fino a 40 euro al chilo? E’ evidente che non si vuole limitare il libero mercato, ma lo stesso vale anche nella leale concorrenza, a difesa dell’antitrust e sulla corretta informazione al consumatore. Come Ceves chiediamo anche una “etichetta parlante” sulle confezioni, un trattamento normativo fra sala nazionale e sale estero, oltre a vedere su è possibile identificare, tracciare e certificare altri siti produttivi nazionali meritevoli del riconoscimento Dop o Igp o di Presidio come già avviene per due sole parti ristrette delle saline di Trapani e di Cervia. Come Ceves abbiamo valutato tutte le saline attive in Italia e si potrebbero riconoscere, con un grande valore aggiunto anche per il territorio locale come parchi, ambiente, paesaggio, terme, musei e altre attività agricole almeno altri 10 siti meritevoli di una Igp all’interno anche di più grandi saline marine e minerarie. L’auspicio è che si intervenga prima possibile per salvare il #saleitaliano prima che finisca , anche svenduto, in mani straniere (800.000 ton/anno di estrazione potenziali di Atisale-Salapia sale spa su un totale nazionale di 2,2 mio/ton/anno è una bella fetta) che non garantirebbero gli attuali posti di lavoro, il valore aggiunto territoriale, una libera concorrenza, la certezza dell’origine italiana del sale nelle confezioni commercializzate con marchio italiano, ma di contenuto assai dubbio e proveniente da chissà quale luogo magari anche più inqyuinato e meno controllato di quello delle coste italiane, del mar Mediterraneo. Il messaggio è anche indirizzato a Coldiretti e Slow Food notoriamente paladini di queste realtà produttive di nicchia: un valore aggiunto che deve restare al made in Italy anche per il “sale da cucina” come chiedono i ristoratori italiani.