di Angela Maria Centrone
Sono passati 30 anni da quando “Almeno tu nell’universo” gareggiava a Sanremo e martedì scorso, il 12 febbraio, proprio subito dopo la settimana dell’Ariston, è andata in onda su Raiuno “Io sono Mia”, la biopic con Serena Rossi dedicata a Mia Martini. A prescindere dalle polemiche sulla qualità del racconto, credo che il film abbia sollevato una questione che tuttora si potrebbe definire attuale: le donne indipendenti e di talento fanno paura.
Era il 1989 quando Mia Martini tornava a Sanremo dopo un lungo periodo di isolamento, interrotto solo da qualche tournée in paesi di provincia. Quell’anno Mimì, così come la chiamavano amici e familiari, si aggiudicò nuovamente il Premio della Critica, istituito per lei già nel 1982. Questo a riprova che il voto popolare non sempre riconosce il talento. “Almeno tu nell’universo”, canzone scritta da Bruno Lauzi, come tutti sappiamo, si è rivelata un enorme successo senza tempo. Come del resto l’intera carriera artistica di Mia Martini. Un’interprete raffinata, ma anche una musicista, la Martini fu una donna estremamente libera e passionale, che probabilmente non riuscì neanche a esprimersi totalmente, perché, in certi casi, incastrata in certi stereotipi. Se “Io sono Mia” – regia di Riccardo Donna – è servita a trasmettere questa immagine, questo concetto, poco importa se “la voce di Serena Rossi non è stata all’altezza”, se Ivano Fossati e Renato Zero non hanno voluto essere menzionati. Il messaggio importante è che Mimì è stata una combattente: ha scontato quattro mesi di carcere per una canna – sì esattamente uno spinello! – con tutte le ripercussioni; ha pagato una penale salatissima ad una casa discografica piuttosto che sottomettersi come artista; ha sfidato con coraggio le malelingue che la tacciavano di “portare jella”; ha saputo anche mettersi da parte con dignità quando, manco fossimo nel Medioevo, è stata letteralmente messa al bando e, last but not least, è ritornata a cantare dopo un importante intervento alle corde vocali. Mimi è giunta a quel Festival di Sanremo 1989 come una fenice che risorge dalle sue ceneri più splendente di prima, in barba all’invidia e alle malelingue. Anche se molto provata nell’animo, come si intende dalla sua voce, così “sporca” e sofferente, così meravigliosamente fragile, eppur potente. Ma la parte peggiore della storia è che quelle stupide maldicenze furono assecondate, invece di essere ignorate. Quel che fa riflettere di tutta la vicenda di Mia Martini è che in quegli anni, sul serio, qualcuno le ha sbattuto la porta in faccia per paura della sfortuna, o era semplicemente perché la Martini faceva paura come donna? Come le streghe durante l’inquisizione, come Billie Holiday perseguitata dall’FBI. In ogni caso, non ci si può credere e quasi si ringraziano questi tempi social, nei quali tutti dicono tutto, ma proprio per questo, forse, i “si dice” non contano più niente e baggianate come questa vengono prontamente demolite da chi, fortunatamente ancora un minimo di buon senso ce l’ha.