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Festival della valle d’Itria, 40 edizioni. Bari: stasera “I pagliacci” di Leoncavallo, regia di Marco Bellocchio Oggi presentata l'edizione 2014: "La donna serpente" e "Armida" le opere. Inaugurazione il 18 luglio

festival 2014

Barocco e modernità per il festival della valle d’Itria 2014. L’edizione numero 40 è stata presentata al Piccolo teatro di Milano, dal presidente Franco Punzi e dal direttore artistico Alberto Triola. A inizio agosto sarà realizzato uno spettacolo “riassuntivo” dei quarant’anni della manifestazione, che verrà inaigurata il 18 luglio. Le opere principali “La donna serpente” e “Armida”.

Per gli amanti della lirica, in attesa della rassegna estiva, stasera un appuntamento importante al teatro Petruzzelli di Bari: “I pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, regia di Marco Bellocchio. Stasera è la prima dello spettacolo.

 

Di seguito il comunicato ufficiale con cui il direttore artistico Alberto Triola racconta il programma del festival 2014 e, a seguire, il manifesto della quarantesima edizione:

Il Festival della Valle d’Itria, giunto alla sua quarantesima edizione, è riuscito negli anni a mantener fede alle proprie radici, forgiandosi un’identità che è tra i più indiscussi punti di forza del suo valore; non ha altresì mai rinunciato a rinnovarsi costantemente, cambiando via via aspetto e forme, proprio come la donna raffigurata nel manifesto di Francesca Cosanti, giovane e affermata illustratrice di Martina Franca. Attenta alle sollecitazioni dei tempi che mutano, dei gusti che evolvono, ma da sempre insensibile alle mode – effimere per definizione – l’anima del Festival ha dimostrato di saper sacrificare la pelle vecchia a vantaggio della nuova, con spirito sempre fedele a se stesso: semper idem.

La donna serpente sembra una buona metafora per raccontare questa splendida, matura giovinezza, in grado di gettare uno sguardo rinnovato e lucido sui tempi attuali: a inaugurare l’edizione 2014 del Festival della Valle d’Itria è come sempre un titolo “riscoperto”, al quale è richiesto innanzitutto pregio musicale e drammaturgico, con la speranza di restituirne i valori a una più diffusa circuitazione (proprio ciò che è avvenuto con Napoli milionaria di Nino Rota). Coerentemente con una delle più recenti direzioni programmatiche del Festival, la scelta è caduta ancora su un’opera moderna, frutto di una delle menti musicali più ammirate del Novecento italiano, Alfredo Casella, autore tenuto in somma considerazione, tra gli altri, da Stravinsky e Bartòk.

La donna serpente è tratta dall’omonimo dramma di Carlo Gozzi, autore a cui il genere operistico deve capolavori come Turandot e L’amore delle tre melarance, entrambe opere assai vicine – per spirito e temperatura drammatica – alla Donna serpente.

Il talento di Casella si manifesta qui in una maestria compositiva in grado di distillare ricercatezze timbriche, arditezze armoniche e travolgente ritmo teatrale, trovando nell’immaginario teatrale di Gozzi il contraltare ideale al suo programma. La prodigiosa alchimia che ne deriva si allontana anni luce dalle derive veriste e post-veriste della Giovane Scuola italiana, che elevano a territorio espressivo e poetico d’elezione gli eccessi, spesso cruenti, del materiale cronachistico da un lato, e gli estremismi espressivi del declamato drammatico, dall’altro.

Casella e Gozzi riportano l’opera italiana nel regno della più assoluta libertà creativa, emancipando l’ispirazione da vincoli e costrizioni di maniera; il risultato è tutto in una limpidezza esemplare, che rimanda al nitore degli albori del melodramma, al gusto del “recitar cantando”, alla sapienza della scrittura vocale, che gioca con la tecnica dell’abbellimento e della variazione. Nella Donna serpente l’elemento fiabesco convive con la Commedia dell’Arte, il divertissement di ascendenza rossiniana con l’elemento solenne e sacrale caro al melodramma italiano ottocentesco, mentre la struttura ricercata e complessa di alcune scene riporta alle spericolate architetture barocche, progenitura dichiarata per l’elemento fantasmagorico essenziale nell’opera.

In altri termini, Casella si dichiara erede della grande e plurisecolare tradizione musicale italiana e ne distilla una sintesi che genera elementi creativi pienamente autonomi e originali. Si è detto “tradizione musicale”, e non “melodrammatica”, in quanto – proprio come in Rossini, e in genere in tutto il Belcanto italiano – protagonista assoluta in Casella resta la componente musicale, ponendosi dichiaratamente il dramma e i personaggi – frutto di irrefrenabile fantasia – al servizio della stessa.

Una brillantissima fantasmagoria musicale, quindi, che ben si presta a segnare i festeggiamenti – simbolici e non – di un Festival che al Belcanto italiano si è da sempre votato.

Il progetto culturale verrà valorizzato dalla presenza sul podio di un direttore della statura di Fabio Luisi, che ha accettato di celebrare l’importante anniversario del Festival onorandolo della sua presenza.

Lo spettacolo, in coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Torino, sarà affidato all’estro del regista Arturo Cirillo, tra i più ammirati talenti teatrali italiani di oggi, affiancato dai suoi collaboratori di sempre: Dario Gessati per le scene e Gianluca Falaschi per i costumi. Allo stesso collaudato team creativo il Festival deve uno degli spettacoli più riusciti degli ultimi anni, Napoli milionaria del 2010.

La lunga locandina prevede la partecipazione, a fianco dei protagonisti che dovranno garantire le necessarie doti vocali – e attoriali – richieste dalla complessa partitura (Angelo Villari, Zuzana Markovà, Vanessa Goikoetxea, Domenico Colaianni, Carmine Monaco), di diversi giovani talenti recentemente usciti dall’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, significativa testimonianza dell’importante lavoro fatto negli ultimi anni in termini di ricerca e investimento.

La seconda opera è ancora una fantasmagoria scenica, anzi una vera e propria “festa teatrale”, e segna un notevole ulteriore contributo del nostro Festival alla riscoperta e valorizzazione della grande scuola pugliese-napoletana. Si tratta di un progetto musicale di rilevanza internazionale, quello della prima riproposta in tempi moderni dell’Armida di Tommaso Traetta, declinazione italiana del monumentale capolavoro barocco francese di Quinault-Lully.

La musicologa Luisa Cosi, incaricata dal Festival di predisporre il materiale d’uso per questa prima rappresentazione in tempi moderni, illustra così il lavoro di Traetta: “Nel 1760, maestro di musica dei Borbone a Parma e in particolare della principessa Isabella, Traetta è all’apice della carriera: protetto dal primo ministro Du Tillot, il compositore pugliese è impegnato ad ‘accordare’ fra loro stile italiano e stile francese, come si conviene ad una corte che guarda a Parigi, pur amando à la folie il belcanto della tradizione napoletana. E quando in ottobre Isabella sposa Giuseppe II d’Asburgo Lorena, per Traetta si apre un ingaggio imperiale: il conte Durazzo, Generalspektakeldirektora Vienna, gli commissiona il rifacimento ‘italiano’ della forse più celebre opera del barocco francese, l’Armidedi Quinault-Lully.La riduzione a festa teatrale della monumentale tragédie en musique(cinque atti in origine) è dello stesso Durazzo, i versi sono del Migliavacca che, già collaboratore del Metastasio, trova così occasione per emanciparsi da quel rigido modello. Il risultato è un capolavoro di sintesi. Nel gennaio del 1761, l’antico amore di Armida e Rinaldo, cui nemmeno la magia può dar sollievo, rivive in moderne melodie, stupendamente spiegate (vertici virtuosistici per il soprano Gabrielli) e con un’orchestrazione suggestiva; effimere illusioni e ‘reali’ tormenti si sciolgono in arie con ‘da capo’ brevi o proprio assenti e per gran numero di recitativi strumentati; e poi, cori e balli che, pur corti, contribuiscono al gran dinamismo scenico. Grande successo anche a Napoli (1763) e a Venezia (1767), dove Armida approda solo in piccola parte riattata. La riforma di Gluck è alle porte: quelle che Traetta spalanca, offrendo ancor oggi con la ‘sua’ bella festa un’occasione di godimento e di riflessione estetica di straordinaria incisività.”

Per questo atteso ritorno del tardo barocco sul palcoscenico martinese, che – considerati i valori musicali rivelati già in fase di lavoro musicologico – non è difficile immaginare sorprendente, il Festival si è assicurato la presenza di uno dei più brillanti interpreti della scena internazionale, Diego Fasolis, tra gli artefici dell’assai celebrata Rodelinda del 2010.

Le due principali opere del cartellone sintetizzano così i tre elementi chiave della storia del Festival – belcanto, barocco, scuola pugliese-napoletana -, che escono ulteriormente valorizzati nell’accostamento a un ambito su cui il Valle d’Itria ha giocato le proprie scommesse più recenti: quello del negletto novecento italiano.

Armidadi Traetta è, come detto, una “festa teatrale”, in cui le componenti tipicamente celebrative – cori e balli – hanno una significativa incidenza. Di conseguenza, lo spettacolo – più che il reale spessore drammaturgico della nota vicenda degli amori di Armida e Rinaldo – deve saper rendere conto di quel mondo di suggestione, emozione e sfarzo immaginifico che l’Autore doveva aver ben presente nel momento creativo. Per questo motivo si è scelto di affidare la regia al talento della giovane ed esperta regista francese Juliette Deschamps. Facile immaginare che il suo estro creativo avrà buon gioco nel moltiplicare le potenzialità spettacolari che il lavoro traettiano offre all’interprete, soprattutto dal punto di vista della moderna estetica teatrale. Le scene sono firmate da Nelson Willmotte e i costumi da Vanessa Sannino.

La locandina vanta nei due ruoli protagonistici Roberta Mameli e Marina Comparato, tra le più acclarate specialiste in questo genere di repertorio. A loro – rispettivamente Armida e Rinaldo – si affiancano giovani emergenti di indiscusso valore come Federica Carnevale, Mert Sungu (pure usciti dalle fila dell’Accademia Celletti) e Leonardo Cortellazzi.

In un anno che giunge al culmine di diverse stagioni di drammatica crisi di risorse, il cartellone 2014 prudentemente punta su due sole opere rappresentate nella cornice di Palazzo Ducale, trattandosi di produzioni che richiedono impegno e valori certamente onerosi.

Nella suggestiva cornice del restaurato Chiostro di San Domenico – inaugurato lo scorso anno come secondo, apprezzato palcoscenico del Festival – sarà ospitata invece la terza produzione operistica del 40° Festival della Valle d’Itria. Non manca nemmeno quest’anno, infatti, la proposta dedicata ai giovani talenti dell’Accademia del Belcanto, dedicata al repertorio seicentesco; se ne prenderà, cura come di tradizione, Antonio Greco, specialista di riferimento per il Festival sia nell’ambito della docenza (è titolare con Roberta Mameli e Sonia Prina del dipartimento di vocalità, stile e prassi barocca dell’Accademia Celletti) che dell’interpretazione.

Si è scelto di mettere in scena uno dei due atti unici di Agostino Steffani, geniale autore il cui pregio musicale è oggetto di recenti studi e di apprezzate realizzazioni: La lotta d’Ercole con Acheloo, mai rappresentata in tempi moderni. La parte scenica sarà affidata a Benedetto Sicca, apprezzato giovane regista di prosa cresciuto artisticamente alla scuola di Luca Ronconi, al suo debutto nell’opera lirica. Le scene sono di Maria Paola Di Francesco e i costumi di Manuel Pedretti.

Nell’ordito del prezioso tessuto connettivo che sostiene ed esprime l’anima stessa di un festival, il pubblico potrà scegliere tra molte e varie proposte collaterali, a partire da un concerto di canto di uno dei più popolari nomi del belcanto mondiale, protagonista della serata dedicata al Premio Celletti, che quest’anno viene doverosamente assegnato a uno dei padri artistici del nostro Festival: Alberto Zedda fu infatti il primo direttore ad alzare la bacchetta nel cortile di Palazzo Ducale (Orfeo ed Euridice di Gluck, agosto 1975).

In questi ultimi cinque anni il ciclo Novecento e oltre ha saputo porsi all’attenzione del pubblico divenendo uno degli elementi portanti del cartellone del Festival. Quest’anno viene “promosso”, essendovi ospitato il tradizionale concerto sinfonico di Palazzo Ducale, con un programma emblematico rispetto al “cambio di pelle” imposto dal passare del tempo. A dirigerlo, ancora una volta, il giovane astro internazionale Omer Meir Wellber, ormai fedele amico di Martina Franca, chiamato a condividere l’impegno del Festival nell’aprirsi a nuove frontiere musicali, in grado di intercettare interessi trasversali e un nuovo pubblico: dopo il trionfale concerto tra barocco e jazz dello scorso anno, il raro e spettacolare Concerto per violoncello di Friedrich Gulda (solista Georgi Anichenko)e Get whitey di Frank Zappa tratteggiano un impaginato di forte impatto musicale e di evidente innovazione, sul filo della frontiera tra “classico” e “rock”; ma rimanda al genere della “contaminazione” anche la grande pagina sinfonica di Gustav Mahler: la Quarta Sinfonia in sol maggiore.

Vi sono poi i tre programmi di Concerto dell’Europa, frutto di una significativa collaborazione internazionale, che ha preso le forme di un progetto pluriennale europeo condiviso tra Italia, Svezia, Estonia e Gran Bretagna. Nel cuore della Valle d’Itria si esibiranno i musicisti del quartetto d’archi Sinfonia Cymru (del Galles), quelli del quintetto di fiati Swedish Wind Ensemble e il gruppo della Camerata Nordica,insieme a solisti (cantanti e musicisti) estonie ai nostri giovani dell’Accademia del Belcanto. Nell’ambito di una collaborazione di respiro europeo, il Festival della Valle d’Itria conferma la propria vocazione, consolidata nel corso degli ultimi cinque anni della sua storia, nel sollecitare forme di creatività originale nell’ambito della nuova musica: alla compositrice Daniela Terranova, che nei fatti è composer in residence del Festival da tre edizioni, è stato commissionato infatti un brano per ensemble cameristico e voci.

Completano il cartellone del 40° Festival della Valle d’Itria: il consueto e popolarissimo Concerto per lo Spirito in Basilica (verrà eseguito, tra gli altri brani, la Parafrasi del Christus di Donizetti), altri due concerti del ciclo Novecento e oltre e quelli, molto attesi, di Fuori orario (che prendono vita in suggestive chiese, tranquilli chiostri e, da quest’anno, antiche masserie di Martina Franca) e di Festival Junior, con l’esecuzione dell’opera per ragazzi Il diluvio di Noè, di Benjamin Britten, in una nuova versione ritmica italiana di Alessandro Macchia, autore di una recente ricca monografia sul grande compositore britannico. Questa produzione è il prezioso frutto di un articolato lavoro di preparazione che si svolge a Martina Franca lungo i mesi invernali, svolto dalla Fondazione Paolo Grassi diretta da Rino Carrieri, sempre più impegnata in una meritoria attività formativa delle nuove generazioni di interpreti e di pubblico: la prova più felice di quanto il Festival ha saputo seminare in quarant’anni di storia, anche in termini di cultura – e coscienza – musicale e teatrale nel territorio. Un risultato niente affatto scontato, di cui Paolo Grassi andrebbe giustamente fiero.

I musicisti dell’Orchestra Internazionale d’Italia saranno “in buca” nelle tre opere, nel concerto sinfonico di Novecento e oltre, nella serata di belcanto del Premio Celletti e in quella finale del Festival. A quelli della ICO “Magna Grecia” di Taranto sono stati affidati il programma del Concerto per lo Spirito e l’opera per ragazzi di Britten.

Il Festival 2014 dà il benvenuto al Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca, diretto da Cornel Groza e a nove danzatori/performers di Fattoria Vittadini, un giovane gruppo milanese in grado di esprimere“un’idea innovativa di compagnia di danza, aperta alle sperimentazioni e ai linguaggi di artisti provenienti da retaggi culturali differenti”: nell’ambito della sua quarantesima edizione, vissuta all’insegna della festa, il Festival della Valle d’Itria li accoglie come compagnia di danza ospite, e li vedrà impegnati in tutte e tre le opere in cartellone, vero e proprio elemento espressivo conduttore e unificante dell’intero programma artistico.

Anche quest’anno si segnala il sostanziale contributo al cartellone dei giovani cantanti (e, per la prima volta, anche dei pianisti) dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, il cui valore si arricchisce di anno in anno con talenti provenienti da ogni parte del mondo, impegnati ad approfondire gli aspetti della tecnica e dello stile vocale belcantistico sotto la guida di docenti e artisti di fama internazionale.

Il cartellone dei quarant’anni si chiude con una serata straordinaria, un omaggio alla storia e ai protagonisti del Valle d’Itria, una festa musicale affidata al talento del coreografo e regista Nikos Lagousakos, sensibilissimo autore della fortunata messa in scena di Maria di Venosa dello scorso anno. Una vera e propria fantasmagoria di immagini, musica, coreografia e canto, che ripercorre i quattro decenni del festival rievocandone le emozioni nello spazio simbolo della sua identità: il cortile di Palazzo Ducale. Una serie di suggestivi effetti visuali e scenici esalterà le forme e lo spirito stesso del Palazzo, con la tecnica del videomapping affidata all’estro immaginifico del videoartist Matthias Schnabel. Una carrellata di immagini, dal bianco e nero dei primi anni a quelle dei bozzetti e figurini storici, di manifesti e fotografie fino ai più recenti spettacoli, racconterà il festival con la materia stessa di cui è pervasa la sua storia: volti, scenografie, emozioni. Sei performers – ancora una volta gli eclettici danzatori di Fattoria Vittadini – si esibiranno in assoli, passi a due e pezzi d’assieme. Ad Anghela Alò è affidata l’originale e articolata drammaturgia della serata, che accompagnerà il pubblico nell’immersione di una performance multimediale di immagini, coreografie, registrazioni storiche ed esecuzioni musicali live, in cui non mancherà più di una sorpresa: un ideale percorso musicale di omaggio alla storia del Festival (quasi interamente vissuta sotto la guida appassionata e vigile del Presidente Franco Punzi) nel segno della suggestione e dell’emozione condivisa, che è – in fondo – il senso stesso di tutte le esperienze di valore.

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