Di Pietro Andrea Annicelli:
Raffaele Fitto sarà il candidato presidente del Centrodestra alla Regione Puglia. Gli altri candidati: Francesco Acquaroli nelle Marche, Stefano Caldoro in Campania, Susanna Ceccardi in Toscana.
Matteo Salvini, che non è un drago della politica ma neppure un pirla, alla fine ha concluso che voler continuare a ridiscutere accordi presi mesi fa rischiava di sfilacciare l’unità dello schieramento. Proprio in Puglia, del resto, la rottura nella Lega tra gli ex fittiani divenuti leghisti e la componente storica dell’eurodeputato salentino Andrea Caroppo, pro Fitto, rischiava di trasformare il capitano d’acqua dolce in Capitan Fracassa senza speranza di diventare barone di Sigognac.
Il tormento di Salvini, più che Michele Emiliano, si chiama Giorgia Meloni. E non solo perché, nel Paese, la Lega è in fase calante rispetto al 34,26% delle europee di un anno fa (attuale 26,6%, dato EMG Acqua) e Fratelli d’Italia in ascesa (14,7 a 6,44%). La sensazione è che le proposte politiche possano essere a lungo andare inconciliabili, sebbene finora mascherate dall’apparente comune appartenenza a un fronte definito genericamente populista e sovranista.
La Lega Nord, il cui nome completo continua a essere Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, risale a prima della Seconda Repubblica ed è il partito più antico in Parlamento se si esclude il gruppo unico tra Südtiroler Volkspartei (Svp) e il Partito Autonomista Trentino Tirolese (Patt). Lo statuto approvato lo scorso 21 dicembre dal congresso federale straordinario all’articolo 1 ribadisce che la Lega «ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana». E all’articolo 2 recita: «Lega Nord è una confederazione composta dalle seguenti articolazioni territoriali regionali (di seguito indicate come “nazione” o “nazioni”) costituite in forma di associazioni non riconosciute: 1. Alto Adige-Südtirol; 2. Emilia; 3. Friuli-Venezia Giulia; 4. Liguria; 5. Lombardia; 6. Marche; 7. Piemonte; 8. Romagna; 9. Toscana; 10. Trentino; 11. Umbria; 12. Valle d’Aosta-Vallée d’Aoste; 13. Veneto». Insomma, nell’idea leghista delle piccole patrie l’Italia tornerebbe a essere divisa in due più o meno come, durante la guerra, la parte liberata dagli Alleati da quella occupata dai tedeschi.
Va da sé che per un obiettivo del genere tutte le pretese di “buon governo leghista” che i meridionali fans di Salvini vorrebbero importare si dimostrano chiacchiere a buon mercato. Né era credibile, e non lo sarà almeno finché resterà in vigore l’attuale statuto, la pretesa di Salvini al tavolo con la Meloni e Silvio Berlusconi: datemi la presidenza d’una regione del sud affinché la Lega, prima nei sondaggi, si trasformi da partito del Settentrione in partito nazionale.
Salvini deve ringraziare l’epoca attuale, con la politica sostituita dagli interessi e dai sondaggi, da cui ne discende un Partito Democratico debole in termini d’identità e il resto del Centrosinistra ridotto a partitini rissosi a misura dei loro capetti, se nessuno, dalle nostre parti, gli rinfaccia seriamente la natura divisiva e avventurista della sua forza politica. In Puglia il tentativo di candidare Nuccio Altieri, insignificante sul piano della proposta politica, ha rappresentato il mero tentativo di ex fittiani di scaricare invano il loro antico capo per non essere travolti dalla nemesi, puntuale, d’essere ricondotti a far campagna elettorale per lui. E se Fitto vincesse le regionali, Fratelli d’Italia potrebbe affermarsi in Puglia come primo partito e gettare così le basi per contendere alla Lega la primazia nel Centrodestra su scala nazionale.
Il partito presieduto da Giorgia Meloni ha otto anni. Si rifà all’esperienza politica che fu di Alleanza Nazionale e prima ancora del Movimento Sociale Italiano: l’obiettivo ultimo di Giorgio Almirante era arrivare a un partito di destra democratica inserito nelle istituzioni, come gli fu riconosciuto da Luciano Violante. Fdi fa inoltre parte, a livello europeo, del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei che si ricollega al circuito internazionale dei partiti conservatori, l’Unione Democratica Internazionale. E Raffaele Fitto è co-presidente dei Conservatori e Riformisti Europei.
Se è vero che il carattere si forma nelle avversità, Fitto non è secondo a nessuno. Nato a Maglie, la città di Aldo Moro, consigliere regionale della Democrazia Cristiana a ventun anni non ancora compiuti nel 1990 raccogliendo il testimone del padre Salvatore, presidente della Regione improvvisamente scomparso in un incidente d’auto, da eurodeputato viene eletto, dieci anni dopo, presidente della Regione. Berlusconi, nei cui governi fa più volte il ministro, con espressione infelice lo definisce «la mia protesi». Ma che non sia così Raffaele lo dimostra nel 2015 rompendo con lui per l’inciucio del Nazareno con Matteo Renzi e iniziando una traversata nel deserto che, fra alterne vicende, giunge a Fratelli d’Italia.
Salvatore Fitto, che prima di morire stava per diventare un importante referente nazionale dello scudocrociato, era famoso per la sua capacità di mediare tra le correnti del suo partito. Me lo ricordo occhialuto, sorridente, vigoroso, disponibile ma non accomodante: pugno di ferro in guanto di velluto. Raffaele è diretto, sintetico, efficiente e concentrato. In politica fa il contrario di quando giocava a pallone da ragazzo: la miglior difesa è l’attacco. Ha saputo riprendersi dalla sconfitta inopinata riportata con Nichi Vendola quindici anni fa e adesso punta alla restaurazione, favorito dai sondaggi rispetto a Emiliano.
È normale che Salvini abbia insistito per non candidarlo e la Meloni abbia tenuto duro fino a spuntarla: se vince, Fitto torna ad assumere un profilo nazionale e la Puglia che fu di Pinuccio Tatarella potrebbe, chissà, portare Giorgia a essere la prima donna a Palazzo Chigi. Se glielo suggerite, vi dirà che è fantascienza. Non può esserlo sicuramente, però, consolidare Fratelli d’Italia come partito concorrenziale alle pretese divisorie leghiste.
L’altro tormento di Salvini è il suo diretto concorrente per la primazia nella Lega: Luca Zaia, governatore del Veneto. Lì la parola d’ordine della campagna elettorale è: autonomia. Ovvero la possibilità di gestire in proprio, che chiede anche la Lombardia, una serie di risorse secondo fabbisogni standard che dovrebbero essere legati alla capacità fiscale dei territori.
La questione è complessa oltre che spinosa perché rischia d’incrementare il divario tra le regioni ricche e il resto del Paese. Ed è un motivo in più, evidentemente, per constatare come la Lega sia inaffidabile rispetto agli interessi delle regioni meridionali. Non è quindi da escludere che Fdi, partito moderatamente nazionalista che nel sud Italia ha radici autentiche, possa divenire, in tempi anche brevi, l’antagonista del leghismo più hard. Sarebbe, vista la rispettiva storia, la logica conseguenza del superamento del finto bipolarismo della Seconda Repubblica.