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Delitto Yara, ora si pone il problema del ministro dell’Interno Aveva dato per scontato che fosse stato preso l'assassino. Ma neanche il gip ha ancora certezze

angelino alfano

Il delitto Yara adesso diventa un caso politico nazionale dei più complicati. Lo è diventato stasera e se sia destinato a passare più o meno sotto silenzio rispetto alla sua reale gravità, lo si valuterà nel corso delle ore. Ma per essere grave, è grave. Qui non siamo più alla richiesta di maggior riserbo che aveva rivendicato il capo della procura di Bergamo nei confronti del ministro dell’Interno. Qui siamo a un giudice per le indagini preliminari che pur mantenendo in custodia cautelare in carcere l’accusato, dice che ci vogliono ulteriori accertamenti per convalidare il fermo. Cioè, manco il gip è sicuro.

Il ministro dell’Interno, però, aveva detto che era stato preso l’assassino di Yara Gambirasio. Come dire, si è molto esposto. Ha dato per certa la cosa. Lui, vicepresidente del Consiglio. E con il suo superiore ha anche applaudito le forze dell’ordine per l’operazione compiuta.

Ma ancora non ci sono certezze. Che magari fra qualche istante verranno fuori e inchioderanno l’accusato. Ma al momento non è così. E lo ha detto chi è legittimato a dire se uno debba essere fermato, ovvero il giudice. Perché non funziona ciò che ha fatto il ministro? Perché ha apertamente parlato di certezze e invece in Italia vige la presunzione dell’innocenza, per chiunque, fino a prova del contrario, ovvero fino a sentenza passata in giudicato.

Nessuno santifica l’accusato perché, fra l’altro, non è da qui che si hanno gli elementi per dire se sia colpevole o innocente. Deve stabilirlo, appunto, la giustizia. Ma le cose che ha detto il ministro, nei confronti di un cittadino italiano e in riferimento al principio costituzionalmente garantito della presunzione di innocenza, sono gravi, soprattutto per l’autorevolezza del ruolo esercitato da chi le ha pronunciate. Questo preoccupa. E alla comunità nazionale una risposta su questo va data.


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