Di Augusto Ressa*:
Avviato il restauro della Casa Museo di Ezechiele Leandro a San Cesareo (foto home page, ndr.).
Il Salento costituisce da alcuni anni un’ambita meta turistica internazionale. Al mare, alla campagna antica, al barocco, agli uliveti secolari, all’archeologia, alla eccellente gastronomia, si aggiunge ora, quale particolarissima attrattiva, la Casa Museo di Ezechiele Leandro a San Cesario di Lecce, riconosciuta nel 2014 dal MIBACT “Bene di interesse culturale”. A partire dal 16 luglio la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Brindisi, Lecce e Taranto ha avviato un primo intervento di restauro e di messa in sicurezza del complesso scultoreo, che costituisce a mio avviso un’ interessante esperienza culturale finalizzata alla conservazione del “contemporaneo”.
Ammetto di non aver mai visitato questa casa museo, ma di essermene fatto un’idea dalle ricca documentazione fotografica e video disponibili. Perciò, tutto ciò che mi accingo a scrivere parte da un limite oggettivo, e quindi passibile di revisione a seguito di esperienza diretta.
Intanto, se non sbaglio, questa casa è una modesta costruzione, forse degli anni ’60, come se ne incontrano a migliaia nei nostri paesi del Sud nelle aree di espansione, e negli interventi di sostituzione edilizia all’interno dei tessuti storici, e che entrano a far parte di quella che viene comunemente denominata, con accezione dispregiativa e un po’ classista ”architettura dei geometri” (accezione tutta da rivedere anche alla luce di poderosi trattati sul “Kitsch ,o l’arte della felicità”).
Quindi, partendo dall’esterno, l’impatto è quello che è. C’è anche un muro di cinta, che potrebbe racchiudere un giardino, ma non vediamo far capolino rassicuranti chiome di alberi né vi ricadono rami di gelsomino o di bougainvillea. Insomma: un muro e basta, accanto ad una banale costruzione con pensilina. All’interno ci si accorge che il muro di cinta racchiude un giardino sui generis. E’ indiscutibile che ci troviamo di fronte ad una insolita composizione scultorea, al primo impatto inquietante, una sorta di domestica opera POP con richiami, se vogliamo, ad esperienze colte del passato, non so se volute o inconsapevoli. I riferimenti immediati possono essere, ad esempio, alle “grottesche” del Buontalenti nel giardino di Boboli, o al parco di Bomarzo. Ma, nel primo caso, solo per una certa affinità con la tecnica di esecuzione e per la resa volutamente grossolana che, per il Buontalenti, sia chiaro, si contrappone alla raffinatezza delle sculture classiche (vi furono collocati per un lungo periodo anche i prigioni di Michelangelo), entro una cornice verde di incomparabile bellezza, e in un progetto complessivo con valenze simboliche di cui non val la pena qui soffermarsi; nel secondo per il gusto dell’insolito e del mostruoso, secondo i dettami delle “Wunder Kammer” (stanze delle meraviglie). Con buona pace dei vicini di casa Leandro che, a quanto pare, di “wunder” non sembra abbiano colto un gran che. Qualcuno accosta Leandro a Gaudì, ma anche in questo caso non possiamo che riferirci, a mio avviso, alla tecnica utilizzata dal geniale architetto catalano per la realizzazione di sculture in calcestruzzo rivestite con materiali (apparentemente) di riciclo.Tuttavia, mi sembra davvero poco per giustificare tanto accostamento.
Più affine a Leandro, con identici rimandi culturali forse più espliciti, appaiono invece composizioni popolari presenti in Puglia, come il Calvario di Manduria (foto a sinistra, ndr). In quest’ultima espressione di arte popolare devozionale della prima metà del XIX secolo ritroviamo, insieme alle tecniche del riciclo (quello vero), una composizione legata ad una precisa narrazione che definisce un insieme più assimilabile a quello creato da Leandro nel suo giardino. In proposito sarebbe interessante accertare se il nostro artista non vi si sia realmente ispirato.
Forse più pregnante l’accostamento a certe forme espressive basate sul riciclo nate nelle favelas brasiliane ( fra tutte, la casa di Estevao da Silva Conceicao: foto a destra, ndr.), e soprattutto in Africa, aree geografiche ormai sommerse dagli oggetti di consumo dell’Occidente, e dai rottami di quella civiltà invadente ( esemplari le esperienze nel Kenya, e a Cape Town, con la Streetwires sostenuta dalla International Fair Trade Organisation). Il tentativo di restituire vita, o di nobilitare, ciò che la società cosiddetta dei consumi rifiuta, lega queste ultime esperienze con la produzione di Leandro, con esiti che ritengo necessitino tuttavia di approfondite valutazioni critiche perché le stesse possano essere collocate (tutte, alcune, nessuna) all’interno della storia dell’arte.
*architetto, già funzionario della Soprintendenza ABAP di Brindisi, Lecce e Taranto
(foto: fornite da Augusto Ressa)