Di seguito l’articolo inviatoci da Vito Piepoli:
“Dopo una giornata di tanti incontri, cresime ed altri momenti, posso dire che non ho fatto qualcosa di diverso da quello che si è sentito questa sera, perché l’aspetto dominante è stato lo stupore.
Lo stupore dinanzi all’universo, alla sua origine, alla sua espansione…materia e antimateria…buchi neri…ed è uno stupore continuo. Il professore ce l’ha mostrato in una realtà infinitamente grande, infinitamente misteriosa. Lo stupore che viene dalla ragione, la meraviglia che è legata proprio all’uso della ragione e alla concezione che noi abbiamo di qualcosa che ci è donato. Tutto questo ti è donato, tutto questo è un dono, è un’offerta. La meraviglia dei popoli antichi, la meraviglia nostra è proprio la meraviglia di fronte al dono che è il cielo. La realtà è grande e la ragione coglie che ci è donata. E quando noi più la ricerchiamo, tanto più la domanda su di essa si approfondisce. E l’esperienza del dono, che ora non vi voglio approfondire ancora di più, rimaniamo con l’immagine finale che ci ha lasciato il professore, con “l’abbraccio grande che ci è stato fatto”. L’esperienza del dono si concretizza nella festa che abbiamo cominciato a celebrare oggi e celebreremo domani, la festa dell’Eucaristia. Questo Corpo infinito e questo Pane infinito che è diventato finito, piccolo, per la nostra vita. Lo stupore di fronte all’infinitamente grande che è un dono fatto a ciascuno di noi, un dono che non ha fine. Quindi il cuore si appaga, si acquieta, proprio di fronte all’immensità che non finisce mai. Che la scienza continui a meravigliarsi in questa reciproca illuminazione che fa con la domanda del cuore per chi la possiede, la possediamo tutti e per quanto questa domanda si è schiarita in esperienza, per qualcuno che ci ha guardato, qualcuno che ci ha raggiunti, qualcuno, un amore senza fine che si dona a noi !”. Sono queste le parole dell’arcivescovo Filippo Santoro a conclusione della conferenza del professore Marco Bersanelli, a cui si fa riferimento. Il ricercatore ordinario di Astronomia e Astrofisica e direttore della Scuola di Dottorato in Fisica, Astrofisica e Fisica Applicata presso l’Università degli Studi di Milano, presente a Taranto sabato 21 giugno nell’Aula Magna Giovanni Paolo II in Piazza Santa Rita per trattare sull’ “Origine e creazione nell’universo del Big Bang”, introdotto da Mons. Luigi Romanazzi.
Che l’infinito non sia un concetto astratto? Non ci sono più limiti visto che l’universo è in espansione? Questo insieme a tante altre domande e ad altre percezioni da brivido, si sono fatte avanti nella serata, implicitamente ed esplicitamente. Riportiamo di seguito le osservazioni più significative dell’astrofisico italiano.
Che senso ha tutta la storia dell’universo, prima che l’uomo fosse? Pare di poter dire che ha proprio il senso di preparare quello che poi è stato possibile. Non c’è un tempo senza senso nel momento in cui ad un certo punto il senso appare.
Così noi guardandoci indietro nel tempo vediamo questa storia, vediamo questo sviluppo e ci commoviamo perché è come vedere un movimento cosmico che in qualche modo ci ha preparato la strada. L’essere precede il conoscere.
Viviamo in un universo enorme e sappiamo ed abbiamo visto che ogni galassia contiene centinaia di miliardi di stelle ed esistono miliardi di galassie e oggi sappiamo per certo che molte stelle, non tutte ma una grande frazione hanno dei pianeti che ruotano attorno. Oggi possiamo contare a migliaia questi pianeti e ne sentiremo parlare sempre di più. Non sappiamo effettivamente sulla terra come la vita si è formata. Comunque è molto importante distinguere tra vita elementare e vita evoluta fino addirittura a diventare autocoscienza, come è accaduto sulla terra, per una su milioni e milioni di specie viventi. E questo ha richiesto sul nostro pianeta 3,8 miliardi di anni di evoluzione.
Rimane molto interessante l’astrobiologia che sta diventando un nuovo settore della scienza, cioè lo studio delle condizioni extraterrestri nelle quali una complessità come l’essere umano, può generarsi.
Un’altra grande domanda aperta è quella sulla materia e sull’anti materia. C’è una violazione della parità riguarda una parte su 10 miliardi. È come dire che nell’universo primordiale nelle prime frazioni di secondo, immaginiamo l’universo fatto di sassolini bianchi e sassolini neri, rispettivamente materia e antimateria. Sono forme di materia abbastanza simili ma con alcune proprietà opposte, tipo la carica elettrica. Fino a che la temperatura era altissima, questi sassolini convivevano. Raffreddandosi l’universo, questi sassolini hanno cominciato a scontrarsi. Quando un sassolino bianco si scontra con un sassolino nero scompaiono e danno luogo a dei fotoni, a della luce che poi è la luce che adesso vediamo nel fondo buio del cielo di microonde (sono tutte onde elettromagnetiche, solo alcune sono visibili e costituiscono la luce).
Ebbene anche questo è curioso, se avessimo esattamente lo stesso numero di sassolini bianchi e neri, materia ed antimateria, l’universo sarebbe diventato un grande mare di luce, senza materia, non avremmo materia e noi non ci saremmo. Invece per un motivo tutto ancora da capire in termini fisici, ogni 10 miliardi di sassolini neri c’era un sassolino bianco in più, diecimiliardi più uno, che è sopravvissuto, per cui tutto quello che noi siamo, tutto l’universo delle stelle e le galassie è quell’uno su diecimiliardi che è sopravvissuto a questa catastrofe iniziale che ha riempito di luce l’universo. Questo è un altro di quei fattori impressionanti che ci fanno cogliere come questa storia dell’universo ci riguarda.
Noi stiamo dentro questo flusso della storia cosmica. Questo universo si raffredda e si espande come un gas. Ed è grazie a questo raffreddamento globale che la complessità ha potuto emergere sempre di più fino a darci questo cielo nero che è l’orizzonte ultimo dentro il quale l’universo ha potuto germogliare fino ad oggi.
Quando noi alla sera ad occhio nudo, senza bisogno di strumenti, vediamo il cielo nero dietro alle stelle possiamo stupirci e dire ecco quel cielo porta la firma dell’origine. Guardare quel fondo del cielo è come guardare l’ultimo abbraccio del cosmo che ha permesso e permette la vita e la nostra esistenza. L’immagine dell’abbraccio a cui ha fatto riferimento nel suo intervento l’arcivescovo.
La dimensione della nostra galassia è di 100mila anni luce. Un anno luce è la distanza che la luce percorre in un anno facendo ogni secondo 300mila chilometri. Un raggio di luce che ci mette circa un secondo a raggiungere la Luna, ci mette 100mila anni a percorrere la nostra galassia. L’universo contiene miliardi di galassie. Una stella delle tante che vediamo della nostra galassia in realtà è lontana 2milioni e mezzo di anni luce, vuol dire che la luce che noi oggi vediamo è luce che ha viaggiato per 2milioni e mezzo di anni prima di arrivare a noi. Quindi ciò che stiamo vedendo non è come è adesso ma com’era quando è partita la luce che adesso vediamo. Più noi osserviamo l’universo in profondità, a grandi distanze e più necessariamente vediamo le cose come erano nel passato.
Questa è una grande fortuna, la natura è molto gentile con noi. E fa impressione rivedere noi stessi in questo punto che è il nostro piccolo pianeta sperduto in questa vastità inimmaginabile, in una sproporzione che ci toglie quasi il fiato. Però ciascuno di noi è quel punto in cui l’universo diventa coscienza di se stesso. Noi siamo qui a guardare, a contemplare l’universo e a domandarci il senso di tutto ciò che esiste. Siamo apparentemente insignificanti eppure siamo l’autocoscienza del cosmo.
L’universo cambia nel tempo, l’oceano di galassie cambia fisionomia nel tempo per cui la bellezza dell’universo non è simile a quella di una pietra preziosa, che è statica. È più simile a quella di un fiore che sboccia e che si apre. E in effetti l’universo si apre, è in espansione come se non fosse abbastanza grande. Ma cos’è lo sfondo nero che ci appare nel cielo tutte le sere? Puntando un telescopio sensibile alle onde elettromagnetiche, un tenue segnale, che è luce solo invisibile arriva dalle ultime zone dell’universo, da 14 miliardi di anni da un istante che precede la formazione delle galassie da un universo ancora informe.
Ci accorgiamo che non solo siamo in punto dello spazio ma siamo anche in un certo momento del tempo a cui tutta la storia cosmica contribuisce per cui “Il cosmo intero è come la grande periferia del mio corpo, senza soluzione di continuità” (Luigi Giussani).
Allora, la creazione non è quello che è accaduto 12 miliardi di anni fa, la creazione è ora. Tutto è dato ora. Non c’è niente di più evidente che ora non mi faccio da me, ma sono creato. Se la luna e le stelle potessero pensare come noi, dovrebbero rendersi conto che in questo momento sono fatte. E quindi la contemporaneità della creazione, in un’unità spaziotemporale infinita, in un corpus infinito. La percezione dell’essere creato in divenire, non come una cosa nel passato ma come il miracolo di ogni istante e che la realtà è data ed è data in una storia straordinaria, stupefacente dono, un fatto di cui solo a noi è stato dato di accorgersi.