Di Pietro Andrea Annicelli:
L’evoluzione dello scenario politico nazionale carica le regionali pugliesi d’istanze che oltrepassano la normale valutazione dell’operato dell’Amministrazione uscente. In estrema sintesi, si sostiene che: 1) se Michele Emiliano vincesse, il Governo Conte 2 si consoliderebbe, risultando viceversa più vulnerabile se la spuntasse Raffaele Fitto; 2) se, eletto Fitto, Fratelli d’Italia superasse nei consensi la Lega, la leadership nel Centrodestra di Matteo Salvini, già indebolita da errori politici e accuse sui finanziamenti leghisti, riceverebbe un ulteriore colpo dall’ascesa di Giorgia Meloni. Le due opzioni per l’elettore pugliese medio, invece, sono: 1) riconfermare presidente Emiliano; 2) (ri)eleggere Fitto, già in carica tra il 2000 e il ’05.
Il principio da cui scaturisce l’aut aut è che, essendo in teoria lo scopo del voto garantire alla Puglia un valido esecutivo, solo Emiliano e Fitto sono competitivi per divenire presidente. A meno di sconvolgimenti impensabili, gli altri sei candidati sono, variamente, di disturbo, di testimonianza, di rappresentanza di minoranze. Lo dimostra Antonella Laricchia, Movimento 5 Stelle. Si proclama alternativa ai due sfidanti e alle poltrone, ma una poltrona se l’è assicurata comunque perché concorre anche al Consiglio regionale. Non l’avrebbe fatto, forse, se ritenesse veramente di vincere: chi, tra Emiliano e Fitto, arrivasse terzo, resterebbe a casa.
Ivan Scalfarotto (Italia Viva, Scalfarotto Presidente, Futuro Verde), Mario Conca (Movimento Cittadini Pugliesi), Andrea D’Agosto (Riconquistare l’Italia), Pierfranco Bruni (Movimento Fiamma Tricolore), Nicola Cesaria (Lavoro Ambiente e Costituzione) sono, fino a prova contraria, candidati rispettabilissimi il cui scopo non è governare la Puglia ma impersonare ragioni e interessi di rappresentanza, testimonianza, strategia. Sono istanze legittime. Altrettanto chiaro, però, dev’essere il valore politico che i candidati assumeono per i cittadini elettori.
Conca, transfuga dai Cinque Stelle, potrebbe (difficilmente) rientrare in Consiglio regionale, a cui anche si ricandida, se sottraesse alla parrocchia di provenienza abbastanza voti d’opinione. Bruni e Cesaria testimoniano la vitalità delle minoranze tradizionali di destra e di sinistra radicale, ma anche la loro marginalità. D’Agosto rappresenta i sovranisti duri e puri, sottoesposti rispetto ai sovranisti tattici della Lega e di Fratelli d’Italia, quindi con percentuali minime. Scalfarotto, infine, è il candidato più inutile per dare un governo alla Puglia.
Se Matteo Renzi e Carlo Calenda avessero avuto un progetto politico, avrebbero cercato con largo anticipo, diciamo a fine 2019, di convincere il Pd e il M5s a candidare unitariamente Teresa Bellanova, che in Puglia ha consensi personali, in alternativa al divisivo Emiliano. Il quale, vinte le primarie a gennaio, per ricandidarsi ha poi rifiutato pure un sottosegretariato (agli Interni). Scalfarotto, politico di valore ma la cui candidatura è di servizio e di rottura, è quindi funzionale a quella che pare la vera ragione di Renzi e Calenda: l’ostilità personale a Emiliano. E perché mai un libero cittadino elettore dovrebbe assecondare una faida politica? Tanto vale che voti Fitto che Emiliano può sconfiggerlo: Scalfarotto, al massimo, può rosicchiargli qualche voto.
Tutte le considerazioni esposte cedono il passo al peso specifico delle candidature al Consiglio regionale, fondamentali in un’elezione all’ultimo voto dove contano fattori esterni come l’affluenza alle urne, su cui incidono la data anomala e la volontà della gente di scansare assembramenti per proteggersi dal Covid. Nel sancta sanctorum delle forze politiche c’è il convincimento che un’affluenza ridotta favorirà Emiliano, una ampia Fitto, accreditato di un maggior voto d’opinione. Emiliano ha scelto l’effetto quantità schierando quindici liste che però non esprimono 750 candidati (il massimo per ogni lista è di cinquanta: quanti sono i consiglieri regionali) ma solo 459, con molte liste incomplete e gli stessi nomi ripetuti in varie province. Fitto si è limitato a cinque, però con 250 candidati che esprimono, nelle intenzioni, la compattezza del Centrodestra. Dopo la sua sconfitta di misura con Nichi Vendola nel 2005, sono state proprio le divisioni tra i conservatori a far perdere Rocco Palese con lo stesso Vendola e Adriana Poli Bortone con Emiliano. Questa volta l’unità almeno apparente del blocco avversario è, più della Laricchia e di Scalfarotto, il principale ostacolo da superare per Emiliano.
Una mano potrebbe dargliela Giuseppe Conte. Salvini parla di 7-0 a favore del Centrodestra nelle regioni in cui si vota. Il Centrosinistra è ragionevolmente sicuro di riconfermare la Campania, forse la Toscana. Considerato che il Veneto, la Liguria e la Val d’Aosta dovrebbero andare al Centrodestra, favorito anche nelle Marche, una vittoria in Puglia permetterebbe al presidente del Consiglio un sostanziale pareggio che non porrebbe in discussione il governo. In questo senso sono andate le pressioni, fino all’ultimo, sulla Laricchia affinché ritirasse la candidatura in favore d’un decisivo voto dell’elettorato pentastellato per Emiliano. Il mancato accordo ha indotto il Partito Democratico alla mossa cruciale che a gennaio era stata vincente per riconfermare Stefano Bonaccini alla presidenza dell’Emilia Romagna: l’appello agli elettori dei candidati consiglieri del M5s al voto disgiunto in favore di Emiliano.
Chi conosce il M5s pugliese sostiene che sia in atto una guerriglia interna tra le ragioni del realismo politico e quelle ideali, ovvero di carriera degli esponenti politici beneficiati dall’exploit pugliese del movimento due anni fa come la senatrice Barbara Lezzi, già ministro per il Sud nel governo Conte del contratto di governo tra Salvini e Luigi Di Maio. Votare Emiliano in favore del governo nazionale o infischiarsene e votare la Laricchia che non farà il presidente ma che garantisce un potere di deterrenza da spendere sui tavoli nazionali? Le due venute di Di Maio in Puglia, formalmente per sostenere la Laricchia, potrebbero invece essere servite, secondo un’interpretazione, a far pressioni per garantire a Emiliano un flusso di consensi che superasse il gap di tre punti percentuali che, negli ultimi sondaggi, lo separa da Fitto.
Comunque andrà a finire, il neo presidente dovrà proteggersi subito dal fuoco amico. Se Emiliano avrà l’onere di mettere in cantiere soluzioni green care alla sensibilità dell’elettorato progressista e pentastellato, Fitto dovrà guardarsi dalle ambizioni dei suoi ex sostenitori passati armi e bagagli alla Lega e intenzionati a farla crescere. Molto dipenderà dalle caratteristiche d’una sua eventuale vittoria. Se riporterà più voti della coalizione, potrà essere un presidente leader, come probabilmente vuole la Meloni e come è nelle sue corde. Se la coalizione andrà meglio di lui e la Lega sarà il primo partito, occorrerà una grande capacità di mediazione e altrettanta democristiana pazienza, qualità che l’ex ragazzo di Maglie comunque possiede ma da cui preferirebbe non far dipendere la sua sopravvivenza politica.
Un’altra cosa è certa. Emiliano o Fitto dovrà fronteggiare un’opposizione agguerrita dove conteranno molto i personalismi e gli interessi trasversali. Potrebbe così far ritorno, in senso ampio, la necessità di fare politica, abbastanza sacrificata in questi anni, nel Centrosinistra, al leaderismo di Vendola ed Emiliano, e nel Centrodestra alla mancanza di figure veramente forti. Il ricorso, come elemento di riunificazione, a un politico ancora giovane che già vent’anni fa era stato il più giovane presidente della Puglia, è lì a confermarlo.