Di seguito un intervento di Daniele Calamita, agronomo e sindacalista:
L’operazione condotta dalle forze dell’ordine e dall’ispettorato del lavoro denominata “schermo” merita in primis un plauso alla forze dell’ordine ed allo STATO che ha deciso di arginare il doloroso fenomeno del caporalato in Capitanata, in questo spaccato vorrei provare a socializzare quelle che sono state le mie esperienze del passato sulla tematica e provare a dare degli elementi di riflessione (scaturiti dall’esperienza sul campo) su come sconfiggere questa iattura sociale, penso che oggi (finalmente) i tempi siano maturi per cogliere queste riflessioni e queste idee che ho provato per anni a lanciare e farle passare nel silenzio assordante di tutti i soggetti.
Parto dallo spiegare su cosa si incentra questa deformazione socio-lavorativa.
ghetti e caporalato
In capitanata si censiscono 6-7 ghetti, luoghi di aggregazione ed ad alta concentrazione di persone, generalmente vi è una presenza minima di circa 2-300 persone in modo stanziale, con un incremento esponenziale fino ai mesi estivi, verso luglio, con presenze che arrivano e superano anche le 3.000 persone, luoghi ove convivono migranti in cerca di lavoro (attraverso i caporali), prostitute gestite da mistress, spacciatori di droga e sostanze varie, ristoranti artigianali, bar artigianali, supermercati (venditori di derrate alimentari-alcune volte gestiti da italiani), vendita di prodotti vari usati (reti e materassi usati gestiti da rumeni, vendita di pneumatici, di bici, di ciclomotori ed abbigliamento usato), meccanici, costruttori e riparatori di case; insomma una città vera e propria.
I ghetti della capitanata hanno diverse e variegate tipologie costruttive: ghetti costruiti con case di cartone, plastica e materiali di risulta, spesso tossici e cancerogeni (eternit) delle dimissioni di pochi metri quadri (da 4 a 10-20) con 9-10 persone per singola “casa”; ghetti costituiti da agglomerati di case abbandonate di campagne ed occupate da migranti (circa 20-30 per singola casa); strutture abbandonate dallo Stato (pista alle spalle del CARA-Borgo Mezzanone) costituite da container (non abitativi) occupati da migranti (almeno 10-15 per singolo container) e da case di cartone e materiale di risulta ove risiedono circa 1.500-2000 persone in modo stanziale.
Ipotizzare di risolvere i problemi legati ai ghetti, senza risolvere i problemi legati al lavoro ed al caporalato, significa non affrontare nella sua interezza quelle che sono le basi per la loro nascita, e quindi significa rendere inconcludente qualsiasi percorso.
I ghetti nascono e si popolano perché in quei luoghi i caporali riescono a procurare lavoro ai propri schiavi, pertanto per risolvere i problemi della residenzialità spontanea (ghetti), necessariamente vanno affrontati e risolti i problemi legati al lavoro.
Se un giorno si riuscirà a risolvere il problema lavorativo, ed ovviamente anche il pregiudizio dei proprietari di case sfitte, che non affittano alle persone migranti, io penso che i ghetti si sgonfiano e la questione residenziali sarà risolta definitivamente.
In parole povere, la guerra si fa e si vince rispetto al lavoro, i ghetti sono la naturale conseguenza dello sfruttamento lavorativo, se un lavoratore riesce a percepire in 12 ore di lavoro scarso 15-20 euro e riesce a lavorare mediamente 15 giorni al mese (guadagno mensile circa 3-400 euro), difficilmente sceglierà di vivere in una casa che ti costa 4-500 euro al mese di affitto ai quali devi aggiungere le spese energetiche ed il mangiare, è materialmente ed economicamente impossibile, e quindi si sceglie la strada del ghetto, dove spendo giusto quello che guadagno.
Cosa fare contro il caporalato ed i ghetti
La guerra si può vincere sapendo che il tassello centrale su cui muovere il cambiamento è il lavoro, superando anche quelle che sono le speculazioni che insistono all’interno della filiera (piramide).
Come già detto in un precedente articolo, le speculazioni nella filiera sono attuate in vario modo e vario peso su ogni soggetto della piramide aziende agricole comprese.
Anni fa, furono lanciate diverse idee progettuali, che provavano ad affrontare e risolvere il problema del caporalato ed al tempo stesso dessero una soluzione alle problematiche della residenzialità (ghetti). Per citarne alcune (presenti in rete): Eco-Villaggio, Agricoltura ad alto impatto sociale, modello Riace, responsabilità in solido OP; idee e progetti che forse erano troppo avveniristiche o troppo di sinistra per l’epoca e che non furono mai prese in considerazione.
Procedendo per step, rispetto ai vari soggetti coinvolti nella filiera del pomodoro, provo a lanciare nuovamente delle idee su quale contributo, ogni singolo pezzo, potrebbe dare alla risoluzione della problematica, lo faccio ponendo delle domande e provando a dare delle risposte:
– Una soluzione potrebbe essere, che per le operazioni di raccolta siano le OP (organizzazioni di prodotto) a fornirle ai proprio produttori associati?;
– L’eco-villaggio e l’agricoltura ad alto impatto sociale potrebbero essere una soluzione ai ghetti?;
– Cosa potrebbe fare il mondo imprenditoriale?;
– Cosa potrebbero fare le industrie di trasformazione?;
– Cosa potrebbe fare la Grande e Media Distribuzione Organizzata (M-GDO)?;
– Cosa potrebbero fare i soggetti della rappresentanza collettiva?;
– Cosa potrebbero fare le Istituzioni Nazionali? e l’Europa?
– Cosa potrebbero fare i consumatori?.
- 1.una soluzione potrebbe essere, che per le operazioni di raccolta siano le OP a fornirle ai proprio produttori associati?.
Probabilmente si, potrebbe essere un elemento per superare l’intermediazione dei caporali; le OP (Organizzazioni di Prodotto), sanno quando i propri produttori associati avviano la raccolta, e nella programmazione di conferimento prodotto con le industrie di trasformazione potrebbero fornire ai propri associati la forza lavoro. Migliaia di lavoratori sarebbero assunti direttamente dalle OP senza passare dai caporali; Il contratto di lavoro non sarebbe raggirato (lavoro a cottimo); Migliaia di lavoratori non sarebbero più costretti a vivere nei ghetti, ed avrebbero diritti contrattuali e previdenziali rispettati.
2) l’eco-villaggio e l’agricoltura ad alto impatto sociale potrebbero essere una soluzione ai ghetti?.
Potrebbero esserlo, e rappresenterebbero luoghi di legalità, nei quale ogni individuo darebbe un contributo allo sviluppo ed alla sostenibilità economica, puntando su quelle che sono le proprie esperienze e le proprie attitudini lavorative (sarti, panettieri, meccanici ecc…..), mettendole a frutto e sviluppando anche realtà imprenditoriali etniche, chiariamoci il concetto non è quello del ghetto bello, ma quello di un modello nuovo ed integrato ove vi sia la presenza stabile dello Stato e delle Istituzioni ed ove vi sia LEGALITA’.
L’agricoltura ad alto impatto sociale? il regime alimentare africano si base su: Patate, Cipolle, Legumi (fagioli) e Cous Cous; Si potrebbero coltivare i terreni incolti pubblici creando le condizioni per la sostenibilità alimentare e per il fare impresa sociale in connubio e collaborazione fra lavoratori migranti e italiani.
(riporto quello che avviene nella speculazione-Cous Cous, il continente africano è il primo produttore mondiale di miglio e sorgo – materia prima per la produzione del cous cous – che viene assorbita e acquistata totalmente dalle major ad un prezzo di circa 6-7 centesimi al kg; lo stesso cous cous gli africani lo riacquistano (all’estero ed in Italia) a circa 5 euro al kg; bene i tanti terreni incolti potrebbero essere coltivati a miglio e sorgo per la produzione di Cous Cous?; l’Italia fino al 2° conflitto mondiale è stato un grosso produttore di miglio e sorgo a dimostrare che queste coltivazioni si adattano perfettamente al nostro clima).
3) Cosa potrebbe fare il mondo imprenditoriale?.
In primis passare dalle dichiarazioni di intenti ad atti pratici; ma ancora potrebbe ristrutturare gli stabili di campagna ed utilizzarli per l’accoglienza dei lavoratori migranti (legge Regione Puglia 28/06 – totalmente inapplicata); potrebbero assumere direttamente i lavoratori; denunciare i caporali invece di interfacciarsi con loro; isolare gli imprenditori scorretti che alimentano una concorrenza sleale al ribasso.
4) Cosa potrebbero fare le industrie di trasformazione?.
Stabilire prezzi di ritiro della materia prima dignitosi; Evitare di giocare sullo scarto produzione; valorizzare le produzioni etiche riconoscendo qualche centesimo al kg in più a chi rispetta i diritti contrattuali; chiudere le trattative sul prezzo di ritiro prima del trapianto, ma anche ritirare la materia prima con la formula franco raccolta provvedendo direttamente alla raccolta del prodotto e diventando lei stessa certificatrice del rispetto delle norme contrattuali e degli adempimenti previdenziali.
5) Cosa potrebbe fare la G e MDO?.
Evitare campagne di ribassi pre campagna; rinunciare a 2-3 centesimi di euro di profitto per ogni barattolo di pomodoro (4-6 centesimi al kg), risorse che potrebbero essere spostate verso progetti di accoglienza e lavoro etico (si riuscirebbero a generare diversi milioni di euro, nel 2020 sono stati prodotti nel nostro territorio 1.478.295.000 Kg con questa operazione sociale si genererebbero da 595 a 887 MILIONI di euro); prevedere e valorizzare spazi espositivi “Caporalato Free”.
6) Cosa potrebbero fare i soggetti della rappresentanza collettiva?.
Attraverso la contrattazione potrebbe promuovere e utilizzare strumenti usati in passato riguardanti le Grandi campagne di raccolta, tipo le convenzioni lavorative (assunzioni plurime con diversi datori di lavoro) ed ancora potrebbe chiedere il blocco della fiscalizzazione degli oneri contributivi per quelle aziende che non rispettano i contratti, ma anche farsi portatori e promotori di corsi di formazione sulla sicurezza e sui diritti contrattuali, oltre che sulla lingua italiana e sui diritti di cittadinanza.
7) Cosa potrebbero fare le Istituzioni? e l’Europa?.
Ascoltare le istanze che vengono dal territorio, e con esse stabilire percorsi di risoluzione delle problematiche. Aumentare gli stanziamenti per gli organi di controllo (DTL ecc….). L’Europa, invece, attraverso le norme di indirizzo agli stati membri, potrebbe prevedere l’obbligo della tracciabilità del prezzo; Perché esiste la tracciabilità delle produzioni e non quella dei prezzi?
8) Cosa potrebbero fare i consumatori?.
Il cambiamento vero e la lotta al caporalato e ai ghetti, passa necessariamente attraverso la forza e la coscienza collettiva, il consumo critico ed edotto, la consapevolezza che non siamo soggetti esterni allo sfruttamento.
Io penso che se ognuno prova a fare la propria parte e se la Politica inizia a fare il proprio dovere, senza criminalizzare sempre i migranti, il contesto si può cambiare, invertendo totalmente rendendo il settore attrattivo e redditizio per le future generazioni.