Il sindacato italiano ha oggi, al centro dell’attenzione, l’addio di Raffaele Bonanni alla segreteria generale della Cisl. Domani l’annuncio ufficiale in un’assemblea alla quale sono stati chiamati i segretari regionali (compreso quello pugliese ovviamente) e confederali. Per la successione a Bonanni, in pole position Annamaria Furlan. Venendo alle questioni sindacali del territorio, anche con respiro più ampio: oggi pomeriggio, iniziativa del sindacato Slc-Cgil a Taranto per la questione di Poste italiane (immagine: il programma della manifestazione). La Cgil è anche intervenuta sul tema del licenziamento, ritenuto discriminatirio, di un lavoratore dell’indotto Ilva. Di seguito il relativo comunicato diffuso dalla segreteria provinciale di Taranto della Cgil, riportato dal giornale telematico martinanews.it:
Nella difesa del diritto al reintegro sul posto di lavoro in seguito ad un licenziamento ingiustificato per discriminazione non c’è nulla di ideologico, noi siamo qui per reiterare la nostra difesa nei confronti di Roberto, ma anche per dire che di casi come questi ce ne sono centinaia e che con la Legge Fornero le imprese hanno preso coraggio e con il pretesto di scarsa liquidità, soppressione di reparti o ristrutturazione dell’organigramma di fatto mandano a casa lavoratori rei soltanto di essere iscritti al sindacato, con la schiena dritta oppure solo in stato di gravidanza. Così il segretario generale della CGIL di Taranto, Giuseppe Massafra, nella conferenza stampa che questa mattina CGIL e FIOM hanno tenuto sul tema dell’art. 18 e del licenziamento discriminatorio di Roberto Archinà, dipendente di una ditta dell’appalto ILVA.
Roberto è un caso emblematico – ha detto ancora Massafra – ma il clima in cui questo dramma personale e famigliare si consuma è quello di una crisi che in particolar modo a Taranto oggi costituisce la cornice di un mondo del lavoro in ginocchio. Roberto Archinà licenziato nel giugno scorso e mai reintegrato dall’azienda, malgrado una sentenza del giudice del lavoro che ne ordinava il suo rientro, finisce così per essere la storia di un mercato del lavoro che scarica tutta l’assenza di innovazione e di strategicità sull’anello più debole della catena. Non è l’unico caso nel contesto tarantino – dichiara Donato Stefanelli, segretario della FIOM di Taranto – perché di fronte alla crisi le aziende della nostra provincia rispondono con licenziamenti collettivi o licenziamenti individuali come questi, nella maggior parte dei casi illegittimi. E’ l’applicazione esterna del modello Riva – continua Stefanelli – quel modello che negli anni ’90 produsse la famigerata palazzina LAF.
Ma Roberto Archinà, delegato FIOM, rieletto anche malgrado la sua impossibilità di entrare in fabbrica (gli è stato disattivato il badge) nelle elezioni RSU della scorsa primavera, non si da per vinto. Chiedo di rientrare sul mio posto di lavoro perché non mi basta lo stipendio, voglio che mi venga restituita la dignità – dice – quella dignità di lavoratore che si è sempre impegnato a favore dei propri compagni di lavoro e malgrado le vessazioni e i messaggi minacciosi non ha voluto piegarsi. Roberto Archinà dunque era un personaggio scomodo e per questo l’azienda in questi ultimi anni lo ha posto in cassa integrazione moltissime volte. Sono rientrato a dicembre, ma già a giugno era pronta per me la lettera di licenziamento – dice Archinà – non volevano che partecipassi alle elezioni per il rinnovo dei Rappresentanti di fabbrica. E su questo la FIOM dopo aver vinto con l’avvocato Massimiliano Del Vecchio il ricorso per reintegro, chiederà ulteriori spiegazioni. Credo che dovremo chiedere all’INPS e agli enti ispettivi un controllo sull’uso degli ammortizzatori sociali – dice Stefanelli – che non possono essere usati in maniera impropria per allontanare gli indesiderati dal luogo di lavoro.
In una paese civile e in una moderna democrazia – ha aggiunto l’avvocato Del Vecchio – la sentenza di un giudice viene rispettata, mentre qui non siamo in grado di far tornare in fabbrica un lavoratore senza la cooperazione dell’impresa. E in questo contesto parlare di diminuzione delle garanzie è assurdo. L’art. 18 – dice Massafra – non è un totem ideologico. E’ piuttosto l’ultima occasione per evitare che casi come questi accadano ancor più di frequente. E’ una battaglia di civiltà che la CGIL non ha nessuna intenzione di mantenere nel proprio campo proprio per evitare la ghettizzazione ideologica di un principio che dovrebbe essere caro allo Stato e non solo ad alcuni di noi. Una vicenda ed un contesto che la CGIL osserva da vicino. Sono aumentati i casi di licenziamenti individuali chiaramente discriminatori e dissimulati con altre ragioni – dice Del Vecchio, che cura l’ufficio legale della FIOM e della CGIL – e in questo clima diminuire le tutele è una tragedia. E mentre la CGIL prepara la mobilitazione generale da Taranto si leva un appello all’impresa. Abbiamo bisogno di contrastare la disoccupazione e non di crearne altra – dice Massafra – e per questo non serve diminuire i diritti o chiedere deroghe, piuttosto serve cambiare un paradigma di sviluppo, cercando nuove strategie, riducendo il costo del lavoro ed evitare la nascita di ulteriore precarietà. Molto più grave e urgente della cancellazione dell’art. 18.