Di Francesco Cava:
La malattia di Alzheimer è la più comune forma di demenza. Si manifesta come una malattia neurodegenerativa progressiva caratterizzata dalla perdita delle funzioni cognitive essenziali allo svolgimento delle normali attività quotidiane.
Le principali funzioni cognitive sono: la memoria, l’attenzione, il linguaggio, le prassie, definibili come capacità di eseguire sequenze di compiti o azioni più o meno complesse, la gnosia, funzione che permette di comprendere gli stimoli sensoriali provenienti dall’ambiente, come il riconoscere la qualità di un oggetto ed essere in grado di catalogarlo.
La prevalenza della patologia, cioè il numero di persone che ne sono affette, è molto elevata nei soggetti con più di sessantacinque anni ed aumenta in modo progressivo con l’avanzare degli anni, tanto da far considerare l’età il fattore di rischio più importante per la patogenesi della malattia.
In Italia le persone affette da demenza sono oltre il milione, di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer. Ad oggi non esistono esami per determinare in modo certo la probabilità di sviluppare questa malattia. Da molti anni si sta cercando di definire la cosiddetta “fase preclinica” della demenza di Alzheimer, con lo scopo di individuare eventuali sintomi che permetterebbero di riconoscere precocemente l’insorgenza della patologia, con l’intento di migliorarne le conoscenze e definire possibili strategie terapeutiche. Sono state date molte definizioni di questa fase, attualmente la più usata è il Mild Cognitive Impairment (MCI), lieve deterioramento cognitivo. Purtroppo le caratteristiche riconosciute come proprie di questa entità sono ancora poco chiare e la conversione dell’MCI in demenza è controversa.
Le cause che portano allo sviluppo della demenza di Alzheimer non sono ancora completamente chiarite. I meccanismi coinvolti sono molteplici. Dal punto di vista biologico si osserva una progressiva morte (atrofia) delle cellule cerebrali, i neuroni. Questo processo avviene normalmente anche nell’anziano in buone condizioni. Nei malati di Alzheimer però l’atrofia è più marcata e si diffonde più rapidamente rispetto ai soggetti sani. Le cause di questo processo non sono ancora del tutto note, sebbene sia ormai certa la sua associazione con la presenza quantitativamente anomala nel cervello di depositi di sostanze quali la beta amiloide e la proteina Tau.
Osservando una sezione cerebrale di un soggetto affetto da Alzheimer si possono osservare dei cambiamenti tipici caratterizzati dalla presenza di strutture note con il nome di placche neuritiche e grovigli neurofibrillari di proteina tau. Le prime normalmente si formano all’esterno dei neuroni, mentre i grovigli si generano all’interno del corpo cellulare. Entrambi questi ammassi possono interferire con il normale funzionamento del neurone, impedendone la comunicazione con altre regioni del cervello e del corpo.
Il principale componente delle placche è la beta-amiloide derivante da una proteina precursore dell’amiloide chiamata APP (amyloid precursor protein), proteina espressa in molti tessuti a livello della membrana plasmatica delle cellule. Nei neuroni si localizza prevalentemente nelle sinapsi, regioni in cui le cellule inviano segnali e stimoli alle cellule vicine. La sua funzione principale non è ancora nota, ma si pensa possa svolgere una funzione regolatrice nella formazione delle sinapsi.
Negli aggregati cellulari invece viene normalmente identificata una proteina, chiamata Tau, la quale, se mutata, può essere responsabile di un’altra famiglia di malattie neurodegenerative, le taupatie.
Le taupatie, tra le quali l’Alzheimer, sono quindi alcune patologie neuro-degenerative che presentano un anomalo metabolismo della proteina tau che si accumula interferendo con le normali funzioni neuronali. Particolarmente colpiti da questo processo patologico sono i neuroni colinergici, neuroni che producono acetilcolina come neurotrasmettitore, localizzati in diverse aree corticali, tra le quali le aree dell’ippocampo, regione cerebrale essenziale per alcuni processi metabolici, in particolare per convertire memorie a breve termine in memorie a lungo termine, rendendole così stabili nel tempo. In particolare l’ippocampo è una struttura encefalica che svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nei processi di memorizzazione. Per questo motivo la distruzione dei neuroni di queste zone è ritenuta essere la causa principale della perdita di memoria dei malati.
Segni e sintomi
La gran parte dei sintomi della malattia di Alzheimer sono simili o uguali a quelli di altre forme di demenza. La loro progressione il più delle volte è lenta e può impiegare anche molti anni. Tuttavia non sempre è così: l’Alzheimer tende a presentarsi in forme e con velocità diversa da un individuo all’altro.
In genere si distinguono tre stadi della malattia:
- Alzheimer lieve: i sintomi più comuni nei primi stadi dello sviluppo della malattia sono perdita di memoria, sbalzi d’umore, problemi nel linguaggio. Ciò avviene poiché le prime aree del cervello a subire un deterioramento sono quelle che controllano la memoria e il linguaggio
- Alzheimer moderato: al progredire della malattia possono comparire disorientamento, difficoltà a orientarsi nello spazio, problemi alla vista, allucinazioni, comportamenti ossessivi e ripetitivi, disturbi del sonno, incontinenza. In questa fase compare il sintomo che più tipicamente si associa all’Alzheimer: la perdita della memoria a breve termine
- Alzheimer severo: nella fase più avanzata della malattia i sintomi comparsi in precedenza diventano più accentuati. Inoltre possono aggiungersi difficoltà a deglutire, difficoltà nei movimenti, perdita di peso e di appetito, maggiore sensibilità alle infezioni.
Questo insieme di sintomi fa sì che già dallo stadio moderato dell’Alzheimer il malato abbia bisogno di assistenza costante, che diventa sempre più intensa al progredire della patologia.
Anche se la ricerca non è ancora giunta alla piena comprensione dei meccanismi che sottendono lo sviluppo della malattia di Alzheimer, sono stati identificati diversi fattori che aumentano il rischio di sviluppare la patologia:
- storia familiare: avere un familiare che ha sofferto della malattia aumenta il rischio di ammalarsi. Ciò fa pensare che esistano fattori genetici che predispongono alla sua insorgenza.
Il morbo di Alzheimer però non è trasmissibile, ma in alcune forme esiste una familiarità di carattere genetico, intesa come predisposizione a contrarre la malattia, le cui cause ancora non sono chiarite. Sappiamo che il 90% delle forme di Alzheimer sono non trasmissibili, mentre soltanto il restante 10% ha caratteristiche di familiarità;
- traumi cranici: le persone che hanno subito traumi alla testa hanno maggiori probabilità di sviluppare la malattia;
- malattie vascolari: la malattia di Alzheimer può sovrapporsi e avere la sua causa nel cattivo funzionamento dei piccoli vasi sanguigni del cervello, favorita da fattori di rischio come il fumo, l’obesità, il diabete, la pressione e il colesterolo alti;
- sindrome di Down: le persone affette da trisomia del cromosoma 21 hanno un rischio maggiore di sviluppare la patologia, probabilmente a causa di una produzione anomala di diverse proteine.
Considerando che le cause della malattia di Alzheimer sono ancora ignote, non esistono strategie specifiche che possano prevenire l’insorgenza della malattia. Tuttavia diversi studi hanno mostrato che è possibile agire sui fattori di rischio che possono favorire la demenza, specie quella causata da malfunzionamento dei piccoli vasi sanguigni del cervello.
In particolare, è importante:
- smettere di fumare
- ridurre il consumo di alcol
- seguire una dieta sana ed equilibrata
- svolgere regolare attività fisica
- tenere sotto controllo la pressione arteriosa.
A conclusione di quanto scritto, al fine di evitare inutili allarmismi, si ribadisce il concetto che con il passare degli anni la presenza di qualche sintomo di deterioramento della funzione cognitiva non può considerarsi una malattia. L’invecchiamento non è sinonimo di demenza e la diagnosi della patologia non è mai personale, ma è sempre opera del medico.
Questo concetto è strettamente collegato a quello della rivoluzione della longevità, cioè alla maggiore durata dell’aspettativa di vita: aspettativa che nel 1800 era di circa 40 anni, per arrivare a raddoppiarsi negli ultimi 200 anni, grazie ai miglioramenti nell’assistenza sanitaria e nei progressi in campo farmacologico. Oggi nel nostro paese, quinto al mondo, siamo a un’aspettativa media della vita di 84,01 anni, con una diversità tra l’uomo – di 81,90 anni – e la donna di 85,97 anni.
In passato quindi raggiungere la terza età era eccezionale, oggi è il destino della quasi totalità.
Isaac Asimov, noto scrittore di fantascienza scrisse:
” La vita è piacere, la morte è pace. E’ la transizione che è fastidiosa”