Di Franco Presicci:
No, non dimentico Franco Punzi. Ogni anno, quando nel cortile del Palazzo Ducale di Martina va in scena il Festival della Valle d’Itria, lui è lì, seduto da qualche parte, come uno spettatore qualunque. Al termine della rassegna, ormai famosa e apprezzata in tutto il mondo, lo sorprendevo nel suo ufficio disadorno, dietro la scrivania a leggere il quotidiano o ad osservare i tanti giornali che parlavano del Festival. Era contento nel vedere tutti quei titoli che plaudivano ad una manifestazione che richiede impegno, esperienza, capacità organizzative fuori del comune. Qualche volta da lui incontravo Antonio Rossano, che puntualmente dava notizie del Festival su Raitrè, di cui era un appassionato narratore, tanto che scrisse anche un libro, “Miracolo a Martina”. E tale è, questa rassegna, con tutte quelle opere mai rappresentate ai tempi nostri, cantanti giovani che avevano ed hanno a Martina un trampolino di lancio.
Quanti anni ha il Valle D’Itria? Non me lo ricordo. Forse 50; anzi, sì, 50: da mezzo secolo la meravigliosa, benedetta Valle ad ogni estate viene inondata dalla musica che impreziosisce la città luminosa, una delle meraviglie del
mondo. Io spesso avverto la mancanza di Franco Punzi, un gentiluomo di antico stampo, che sapeva irrorare l’amicizia, portare rispetto, nutrire lealtà. Un mese prima della presentazione del programma a Milano, al Piccolo Teatro fondato da Giorgio Streheler e Paolo Grassi, mi telefonava chiedendomi: “Ci sarai?”. E io, “Certo che ci sarò”. Un anno l’appuntamento cadde un giorno di sciopero dei mezzi pubblici e mi feci accompagnare da un amico fino a piazza Sant’Ambrogio; e da lì raggiunsi via Rovello a piedi. Pendevo dalle labbra dei relatori; e quando prendeva la parola Franco Punzi riponevo penna e taccuino e lo ascoltavo assorbendo tutto quello che diceva.
Era per me una gioia sentire le sue parole, spontanee, sulla bellezza di Martina, sull’atmosfera che vi si respirava, la bianchezza delle facciate delle case, l’aspetto teatrale del centro storico. Tutto per invitare la gente a scendere giù in quell’oasi per gustare la musica e le architetture che incantavano Cesare Brandi, il regista Pierluigi Pizzi e tutti quelli che prendevano la via che porta alla luce e ai colori squillanti, ai sapori e agli odori allettanti. Poi sciorinava il
programma del Festival, sempre a braccio.
“Mi raccomando, vieni”, esortazione puntuale. Conosceva il mio lavoro, che impone deviazioni improvvise. Ma io riuscivo sempre a farla franca, meno quando problemi di deambulazione m’imponevano la sosta senza misericordia; e anche allora mi davo da fare, chiamando anche Francesco Lenoci, che spesso è stato ispirato dalla Provvidenza, venendomi incontro. Ma quando la necessità mi ha costretto alla resa senza soluzioni ho sempre scritto del “Miracolo a Martina”. Non solo delle pagine dell’opera di Antonio, che celebrava i 25 anni del Festival, scorrendone la vita dai primi vagiti, ma del Festival, la cui musica fa smuovere anche i sassi antropomorfici dei “pareti” dei tratturi, nella campagna punteggiata di trulli e di viti, con il profumo del finocchietto e il verso della civetta, che non è vero porti sfortuna (a ognuno la propria sorte). “Ti è piaciuto il Festival?”, mi domandava Punzi. “Mi ha fatto sognare”… Lo
ammiravo e lo stimavo. Come non stimare un uomo come lui, che dava al Festival se stesso. Felice alla notizia di un riconoscimento; e felice quando notava che il pubblico s’impolpava, che del Festival si parlava ovunque, a Milano e a Firenze, altrove, anche oltre i confini del Paese.
Al Piccolo Teatro lo sentivo dire al direttore Sergio Escobar di cui era amico: “Io ti aspetto a Marftina, sarai ricevuto con tutti gli onori”. Ed Escobar: ”Quello di Martina è un grande Festival. Siete davvero bravi. Avete cultura, esperienza, intelligenza, voglia di fare”. Era entusiasta di questa creatura diventata colosso. Seguo Antonio Rossano nelle sue pagine ricche di notizie, situazioni, brani di storia. “Torniamo alla rapida sintesi di un Festival prezioso anche perché trova sempre ‘ anni migliori’, riesce a farsi apprezzare e a colpire per scelte azzeccate e iniziative stimolanti…”Rossano elogia anche la presenza di spirito dimostrata di fronte agli imprevisti: “Sergio Segalini, al suo esordio come direttore artistico conferma subito le qualità indicate da Celletti e risolve brillantemente una grana esplosa a pochissimi giorni dallo spettacolo inaugurale “La Sonnambula” di Bellini. La protagonista designata si ammala. Segalini aveva partecipato ad una giuria di canto e aveva notato un sopranino di tutto rispetto, Patrizia Ciofi, giovanissima, molto determinata, già assai brava. La contatta, le offre il ruolo da protagonista ed è un trionfo”. E’ la capacità di risolvere immediatamente i problemi. Ce ne sono stati altri, ma mai nessuno si è accasciato dietro le quinte per piangere. Durante la presidenza di Franco Punzi di fatiche straordinarie ce ne sono state, ma sono state sempre affrontate con coraggio. Durante i nostri incontri Punzi le riassumeva. Non si perdeva mai d’animo, era un lottatore energico, un gladiatore. Una sera durante una cerimonia credo alla Fondazione Paolo Grassi (a volte la memoria si assenta) entrò un giovanotto avvezzo alle polemiche e si mise a distribuire volantini scritti a penna. Pasquale D’Arcangelo si alzò e lo invitò ad uscire, ma fu costretto a ripetere l’invito con modi non certo francescani. Franco Punzi rimase immobile al suo posto, in apparenza indifferente al “coup de théatre”. Una mattina si presentò da lui un giornalista che voleva intervistarlo appoggiato a un’auto di lusso. Con una cortesia nobile gli rispose di no. Quando usci mi disse: “Voleva fare la pubblicità alla cilindrata”. Grande Franco!
Ricordo il suo passo a volte da maratoneta. Con quel passo lo vedevo entrare nel Palazzo Ducale, svoltare subito a sinistra ed entrare nei locali che ospitavano, e credo ospitino oggi, gli uffici del Festival, tra segretarie cortesi,
computer, stampanti, manifesti, scatole di libri di sala. A volte lo rintracciavo in biblioteca vicino a un contrabbasso o ad un violino: qualche musicista lì faceva le prove.
Quando parlava del Festival, in pubblico e in privato, non diceva mai “io”, ma “noi”. Per lui esisteva soltanto il gruppo non la singola persona. “Ognuno merita di essere considerato, qualunque lavoro svolga, cantante, scenografo, operaio”. Aveva una delicatezza esemplare. Al Piccolo parlava con tutti, controllava che tutto fosse a posto, stimolava gli ospiti a gustare le specialità martinesi preparate nei piatti, accontentava le persone che volevano essere
fotografate con lui. Quando morì la moglie, Giuseppina Camassa, cominciò a spegnersi. “Ciao,Franco, come stai”, gli chiedevo per telefono da Milano: “Sto solo, la casa è vuota”. Non mi sentivo di azzardare una parola, una sola per consolarlo. E come si consola un amico rimasto solo, che ha visto crollare il suo castello, disperdersi i suoi sogni. Esiste un modo per consolarlo? Se qualcuno lo sa me lo dica. Come si colma un vuoto? Nel vuoto era precipitato Franco Punzi, senza più la compagna della sua vita. Dov’era finita la sua forza, la volontà irriducibile impiegata da dinamico presidente del Festival della Valle d’Itria? Poi una bruttissima mattina mi chiamò Francesco per dirmi “Franco Punzi se n’è andato”. Una frecciata, una bastonata sul cranio, un pugno da Carnera sul volto. Sulle prime rimasi come inchiodato alla sediea, incredulo, affranto, senza una parola, gli occhi umidi. Poi mi passarono davanti agli occhi la sua figura, minuta nel fisico ma grande nello spirito, i nostri incontri, i nostri dialoghi, le reciproche gentilezze, gli appuntamenti a Palazzo Ducale e al chiostro di San Domenico, al Piccolo Teatro, Paolo Grassi e Sergio Escobar, che lo stimavano, il compianto notaio Alfredo Aquaro, sempre presente in via Rovello, solitaria e tranquilla, silenziosa, a due passi dal Castello Sforzesco e da piazza Cordusio, da via Meravigli e da piazza degli Affari.
Non dimentico Franco Punzi. Stamattina l’ho rivisto con con il presidente Sandro Pertini in una foto di Benvenuto Messia, Buongiorno, Franco. Sta per andare in onda il Festival della Valle d’Itria, il tuo Festival, lo vedrai da lassù, dove ormai sei una stella e ascolti la musica del firmamento?