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Martina Franca: quelle estati al bar Tripoli Ricordi e qualche speranza

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Di Franco Presicci:

Facendo una passeggiata a Martina Franca dal ringo fino alla sede della Società Operaia,
si ha una brutta sorpresa: quasi di fronte il Bar Tripoli non dà segni di vita. Gloria al
Tripoli. Un locale storico, frequentato da grandi artisti, professionisti… E per i
martinesi un luogo d’incontro puntuale e di prestigio. Al Bar Tripoli sono fioriti e appassiti
amori, sono nate amicizie, si sono gustate prelibatezze: i bocconotti, che davano gioia al
palato. I bocconotti! Tra l’altro furono oggetto di una divertita conversazione tra Beppe
Convertini, giornalista di RaiUno e autore di un libro bellissimo, “Paesi tuoi”, e Vito
Colucci, maestro pasticciere, principe del Tripoli. Il primo commentava e faceva domande
da Roma, in diretta; il secondo rispondeva dalla Valle d’Itria, la terra che dà sfogo ai
sogni.
Chi ama Martina oggi ha gli occhi umidi. Può andare in tanti altri bar a sorseggiare la
bibita preferita, in un’atmosfera di bacio, ma con il Tripoli nel cuore. Il Tripoli può ben
figurare nella Guida dei Locali Storici d’Italia, che una volta veniva confezionata con
esperienza e passione dal giornalista Claudio Guagnini, con i nomi di tutte le personalità
che li frequentavano. Passati e presenti. Per esempio, il Gambrinus di Napoli, il Cambio di
Torino; a Milano il Campari o il Caffè Zucca di Guglielmo Miani o il Cova, dove ogni
mezzogiorno Wanda Osiris, la divina, andava a fare colazione con le amiche.
Dal Tripoli sono passati il regista Pier Luigi Pizzi, a Martina per il Festival della Valle
d’Itria, Paolo Grassi con l’amico Giorgio Streeler; e cantanti, direttori d’orchestra,
compositori… Non ricordo bene, ma forse anche Luciano Pavarotti.In quel bar si entrava
con molto piacere, magari in compagnia di amici cari, scesi quaggiù, in questo regno della
bellezza, che ha ispirato poeti e scrittori, ed è stato decantato da viaggiatori curiosi e
attenti, come Guido Piovene. Anche Carlo Castellaneta, durante il suo viaggio di nozze, fu
a Martina, e la descrisse con ammirazione, attirato fra l’altro dalle sue case biancolatte,
oltre che dai trulli con i simboli misteriosi sul cappuccio. Francesco Lenoci, e tanti altri
come lui legati al nido in modo indissolubile, nel capoluogo lombardo “continuava a
sentire i profumi prodotti dall’abilità e dalla sensibilità” del principe del Bar Tripoli, Vito
Colucci.
Di questo luogo del cuore a volte si parlava e si parla a Milano, in piazza Duomo e in
Galleria Vittorio Emanuele. “Sei di Martina? Sei stato a Martina? Allora hai goduto le
dolcezze del Bar Tripoli!”. Dialoghi captati da tanti amici miei davanti al Savini o in
Galleria del Corso o in piazza San Babila. Tante volte sono entrato in quel bar, per gustare
non solo i dolci, ma anche un memorabile caffè e scambiare due parole con altri
gentilissimi avventori, apprezzando l’accoglienza al massimo della gentilezza. Il Bar
Tripoli non aveva uno spazio ampio, ma arredi eleganti. Offriva un servizio inappuntabile,
signorile a clienti di ogni ceto.
“Ci vediamo al Bar Tripoli”. Dove s’intessevano conversazioni sui fatti quotidiani, sul
Festival, sulle critiche dei giornali, anche sul “Corriere della Sera” e su Raitre, microfono
dominato da Antonio Rossano, tra l’altro autore del libro “Miracolo a Martina”. Critiche
sempre positive, esaltanti, che Franco Punzi leggeva ogni giorno nel suo ufficio di piazza
Roma. Se si chiede a Vito Colucci quante persone di rango sono affluite nel suo locale non
farà fatica ad elencarle. Magari non tutte, perché sono un esercito. Ma se gli si dà tempo e
ha voglia c’è da rimanere stupefatti.
Ci sono passato, giorni fa, davanti al Bar Tripoli. Erano le 9 e mi ha sorpreso che fosse
chiuso. “Anche loro hanno bisogno di un periodo di vacanza”. Un giovanotto ben vestito,
alto, baffetti alla moschettiere, mi ha detto. “E’ inutile che aspetti: il bar non aprirà più”.

Non si può credere ad una prospettiva del genere e si deve sperare nei tentativi in corso di riavvio.

Ho chiesto a un signore anziano con la faccia di Angelo Musco e mi ha risposto con un
cenno della testa. Lo stesso sentimento provai quando a Milano chiuse il “Taveggia” (poi
riaperto), in via Francesco Sforza. L’ultima volta ci ero andato per la presentazione del
volume “Masserie”, di Pietro Golizia, presente il prefetto Ferrante, Nico Blasi, direttore di
“Umanesimo della Pietra”, l’interessantissima rivista che nasce a Martina, e Anna, una
delle figlie di Lino Cassano. Del Tripoli parlai anche al “Boeucc”, 600 anni di vita, oggi in
piazza Belgioioso, dove echeggiano ancora i sospiri d’amore di Stendhal per una
nobildonna che abitava al piano superiore, con il critico letterario Giancarlo Vigorelli, che
mi ci aveva portato, facendomi conoscere Monica, l’attuale titolare.
La saracinesca abbassata del Bar Tripoli provoca dunque tanta tristezza. La notizia l’ho letta su
Facebook, scritta con amarezza da qualcuno che gli era affezionato. So che turisti inglesi,
francesi, tedeschi… giunti come sempre nella città dei trulli e del Festival, del sole e del
vino, quando hanno visto la saracinesca abbassata sono rimasti perplessi. Anche qualcuno
di loro ha pensato che il titolare avesse chiuso per ferie.
Quando un locale come il Tripoli spegne per sempre le luci è un pezzo della città che se
ne va. Spero dunque che non succeda. È come un amore che si spezza, un vuoto che non si potrà colmare; un’atmosfera che svanisce, un paesaggio che si deturpa, un’epoca che si cancella. Che nostalgia fare
la ronda in quella piazzetta e dover dire a un ospite che ti segue: “Lì una volta c’era il Bar
Tripoli”; e magari snocciolarne le vicende non con il tono che si usa nel raccontare una
fiaba a un bambino. Come dimenticare il Bar Tripoli? E chi lo dimenticherà mai? Non
soltanto per i bocconotti, a suo tempo celebrati su RaiUno da Beppe Convertini,
dialogando a distanza con Vito. Era davvero contento, quella mattina, Beppe, vero
innamorato della sua città, in cui torna due o tre volte al mese. Una rondine torna sempre al
nido.
C’è chi avrebbe voluto scrivere un necrologio su Facebook, sull’esempio di Dino
Buzzati, che lo fece sul “Corriere d’Informazione”, a Milano, quando Guido Le Loci,
martinese d’eccellenza, gallerista famoso e stimato in tutta Europa, abbassò in via Brera, a
Milano, l’insegna della sua gloriosa “Apollinaire”.
C’è la possibilità che prima o poi il Bar Tripoli riapra? L’ho chiesto giorni fa allo stesso
Vito Colucci, intercettato all’ombra del gazebo del bar vicino alla chiesa della Sacra
Famiglia. Mi ha risposto con un cenno della testa. “Certo provoca forte amarezza”,
sussurra al telefono Francesco Lenoci, che non smette mai di esaltare i valori della sua
città, nel suo girovagare sullo Stivale. “I ricordi sono molti e tirarli fuori fa male. Non so
da dove cominciare. Il Tripoli era famoso anche oltre i confini di Martina, di più da quando
Maria Grazia Cucinotta sulla sua porta posò per l’obiettivo di Ferdinando Scianna
impegnato per il calendario di una notissima fabbrica di caffè”. Si ferma un momento,
Lenoci. È emozionato. Riprende. “Ricordo il sorbetto al limone dei concerti del Festival
della Valle d’Itria. Lo sai che venivano preparati al Tripoli e che spesso era proprio Vito
Colucci che andava a servirli al chiostro di San Domenico? Un giorno accompagnai da lui
il direttore e il caporedattore di un giornale in carta patinata, “Sala e Cucina. Furono
ricevuti come al solito con grande cortesia e alla richiesta delle ricette dei gioielli della
casa, gelati, mustacciuoli, bocconotti, Vito rispose: ‘Le ricette? Quali ricette? Io ho tutto
qui dentro’”, e puntò il dito sulla fronte.
“Ricordo – continua Francesco, sempre informato su tutto – che la gente al Tripoli faceva
la fila per le zeppole di San Giuseppe; poi Vito fece un colpo di teatro: si decise a
confezionarle anche a Ferragosto. E fu un successo. Le ha assaggiate anche Renzo Arbore, che è foggiano e ha girato il mondo. I Pugliesi di Milano, di cui sono presidente onorario,
si davano appuntamento al Tripoli, che era nato, tu non lo sai, nel 1911”. Un caffè storico,
con tanti personaggi che occhieggiavano dalle pareti nelle foto di Clementino Messia, che
nella vetrina del suo negozio-laboratorio, a pochi passi, espone immagini della Martina di
una volta, compresa quella della Rotonda.
Dolce, cara Martina. Che non può perdere una gemma. Una medaglia preziosa. Un biglietto da
visita importante. Come già detto, ho incontrato qualche mattina fa Vito Colucci, camicia
verde, pantaloni color nocciola, occhiali moderni, espressione severa. L’ho salutato con
molto riguardo, gli ho fatto la domanda già fatta ad altri. Mi ha fornito il suo numero di
cellulare. Lo chiamerò.
Uno degli amici che erano seduti accanto a me, con un cornetto pieno di crema squisita
in mano, intuendo i miei pensieri ha voluto aggiungere un particolare all’albo d’oro: il
grande Riccardo Muti incontrò la sua futura moglie proprio al Bar Tripoli. Vero o falso che
sia, verosimile o no, la voce è la riprova della celebrità di questo locale storico di Martina,
la Martina che con il suo incanto fa sognare; la Martina che era nel cuore di Giuseppe
Giacovazzo, Paolo Grassi, Giorgio Strehler, Alessandro Caroli, Cesare Brandi, Franco
Punzi, Dino Abbascià, il grande imprenditore ortofrutticolo, sede in via Toffetti, a
Milano…E adesso?

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