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Dino Abbascià, pugliese che cercava lavoro al nord e creò un impero Una storia esemplare

Abbasc ià e un bimbo keniota

Di Franco Presicci:

Dino Abbascià: una lunga, bella, affascinante storia. Quella di un emigrante che cercava lavoro al Nord e creò un impero. Un esempio di “terrone” ricco di energie, intelligenza, intraprendenza e voglia di lavorare. Il grande scrittore e giornalista, assistente dell’editore Arnoldo Mondadori, studioso di Borges mi disse: ”Chi arriva dal Mezzogiorno e ha testa e forza nel cuore e nelle mani, respinge il lavoro a metà o fatto in qualche maniera, ce la fa”. Dino era uno di quelli. Tutti conoscono il lavoro che ha fatto, tirando su le maniche.

Era di Bisceglie, arrivò a Milano a 13 anni, bussò a tante porte, macinò tanta strada, salì tante scale senza perdersi mai d’animo, neppure quando scrisse alla madre, chiedendole di trovargli un posto qualsiasi con l’aiuto di don Pasquale Uva, che nella sua terra era quasi considerato un santo. Alla fine lo trovò lui nel capoluogo lombardo, come garzone in un negozio di fruttivendolo, Il padrone lo teneva d’occhio, si convinse che ci sapeva fare, aveva entusiasmo ed era affidabile. Gli affidò l’esercizio. Per arrotondare, Dino la sera andava nel cinema vicino a vendere gelati. Così sono i “terroni” di valore. Qualcuno usava la parola per insulto, ignorando che la terra ci dà da vivere, che il contadino esercita un’attività nobile, anche se sulle spalle porta zappa e rastrello e a mezzogiorno seduto su un muretto mangia pane e mortadella.

Volto da Serge Reggiani, l’attore italo-francese di tanti film di successo, Abbascià non portava quegli attrezzi, ma aveva cervello, fiuto, ambizione. E cominciò a salire i primi gradini. Eccolo il ragazzo venuto dal Sud, da Bisceglie, paese che spande odori di orto e ha dato a Milano uomini dalla stoffa pregiata. Dino fra questi. Dinamico, infaticabile, vulcanico, un sorriso che saliva dal cuore, schietto, comunicativo, a poco a poco divenne noto, si acquistò la stima e la simpatia, l’affetto di tantissime persone. Buono, generoso. Un giorno una vecchietta gli chiese un po’ di frutta; lui le accarezzò la spalla e rispose: “Nel pomeriggio ti arriverà il cesto”. Chissà a quanti ha detto quelle parole, mai inutilmente. In Kenia costruì una scuola, dopo aver visto un gruppo di bambini studiare sotto un albero. La costruì con le sue mani. Lo si vede in alcune foto a torso nudo e a piedi scalzi, lui esimio imperatore di frutta e
verdura. Importò i kiwi per primo, poi l’altra frutta esotica. Chi lo fermava? Fece venire al Nord i genitori, quindi i fratelli, tra cui Donato, un uomo sereno, pacato, disponibile, con una voce sonora e piacevole. Dino salì ancora più su. Apri il salotto della frutta di fianco all’ospedale Fatebenefratelli, pochi passi da piazza della Repubblica. Organizzò gli uffici in uno stabile del Corvetto, dove lo raggiunsi per la prima intervista. Vidi Donato semisommerso dalle casse
piene di pomodori, cime di rapa, ciliege,,,. E dei frigoriferi grandi quanto capannoni. Era lui che gestiva il movimento. Dino aveva il suo posto in una specie di plancia, molto più piccola di quella della “Raffaello”, una delle due regine del mare. Da lì rispondeva alle telefonate, lì riceveva le personalità e gli amici. Al piano superiore, in una stanza disadorna, aveva una branda sulla quale dormiva dopo essersi alzato alla 4 del mattino per andare all’ipermercato.

Ormai era nei consigli di amministrazioe, vice del presidente Sangalli dell’Unione commercianti, in corso Venezia, di fronte al Circolo della Stampa e di fianco all’Automobil Club. Partecipò alla cerimonia d’inaugurazione di un nuovo quotidiano, prese la parola, riverito e osannato, e si proclamò fruttivendolo. E fece un discorso da esperto di economia. Imprenditore onorato, conservava la sua cordialità. Poi, mentre l’Associazione regionale pugliesi, condotta da Peppe Marzo, un leccese molto capace, collezionista di francobolli e giornali salentini dell’800, languiva, lui prese in mano le redini del sodalizio e lo trasferì da piazza del Duomo in via Pietro Calvi, al piano terra. Alle pareti, quadri di Antonio Mellone, artista di talento che era stato giornalista grafico al “Giorno” (due minuti ed ecco un volto, una mappa, un ambiente, la scena di una rapina o di un sequestro di persona). Mille iniziative e tanti soci di ogni regione della Puglia. Tra questi il noto attore Gerardo Placido, un “curriculum” lungo un chilometro, tra film e sceneggiati televisivi; e il professor Miraglia, già primario dell’ospedale Castelvetro per i bambini e autore di libri autorevoli
sul parto in dolore e altro. Come presidente onorario scelse la famosa avvocata Annamaria Bernardini De Pace, oggi anche giudice arbitro a Forum condotto da Barbara Palombelli sui canali 4 e 5.

L’Associazione regionale Pugliesi con lui diventò una corazzata. Convegni, dibattiti, presentazioni di libri, recite di poesie, gite culturali, feste all’Hotel Quark e altrove, a Natale, a Pasqua, a Carnevale. E come ballano, i pugliesi, che stile, che ritmo, che eleganza! Valzer, tanghi, charleston, boogie-woogie. E lui, Dino, primo non solo come tanghero, con Teresa, la moglie. Poi, in un memento di pausa, squillava il telefono: era Al Bano, che da Cellino San Marco dava gli auguri o i saluti. Abbascià era amico di Al Bano, e ogni tanto andava a fargli visita nella sua tenuta. Un giorno mi invitò a pranzo in un ristorante di Porta Romana. Facemmo appena in tempo ad entrare nel locale e vennero giù torrenti di pioggia. L’oste ci venne incontro cerimonioso, riservando ad Abbascià l’accoglienza che di solito riceve il principe di Monaco. Ci accompagnò al posto stabilito e aspettò l’ordinazione, piegato verso Dino e i palmi delle mani poggiati sul tavolo. Pochi minuti dopo arrivò una telefonata. “Non puoi immaginare chi c’è dall’altra parte”. Dino suscitò la mia curiosità, ma non sono Padre Indovino. “E’ una persona che tu stimi molto”. Gli piaceva tenermi sulla corda. Era Giovanni Morandi, direttore del “Giorno”, già corrispondente da Mosca e in ottimi rapporti con Gorbaciov. Guarda la combinazione! Dopo il caffè, squisito davvero, guardai dalla finestra e la pioggia aveva smesso la sua sfuriata. “Sabato ti aspetto all’Associazione.

Presentiamo un libro di Marco Brando; spero venga Marina Cosi”. Marina Cosi, una collega bravissima, dalla scrittura amabile, colta, graziosa, salentina. Abbascià sfornava un’idea dietro l’altra. Era l’ispiratore del Premio dedicato ai personaggi pugliesi che hanno fatto onore alle loro città, distinguendosi nel capoluogo lombardo. Nell’albo d’onore di quel premio tra gli altri troviamo Livia Pomodoro, alto magistrato oggi impegnato nell’attività culturale ereditata dalla sorella scomparsa; Renzo Arbore, le donne del vino di Manduria e tanti altri. La serata dedicata ad Arbore in un teatro affollatissimo ad un certo punto si trasformò in uno spettacolo improvvisato: Arbore dal palcoscenico e il maestro Palumbo dalla prima fila rinverdirono episodi divertenti della loro rispettiva carriera. Presentato da Nicla Pastore, allora giornalista di Studio Cento di Taranto, Arbore dispensò sorrisi, risate e battute. Il pubblico applaudì con calore e partecipazione la prestazioni dello “shoman” foggiano dalle varie virtù: sceneggiatore, clarinettista, regista, attore, scopritore di talenti… Si intuiva che Dino Abbascià, compito, appartato, abito scuro e papillon, era soddisfatto di quella creatura. Si avvicinò ad Arbore e gli disse: “Sapessi quanto tempo ho speso per averti qui stasera. E sei qui, tra noi pugliesi, orgogliosi di essere tali”. Arbore lo abbracciò. La prima edizione del Premio fu assegnato ai Negramaro. Ma anche Dino una sera ricevette un premio, in privato: uno dei Fasano di Grottaglie aveva realizzato un suo ritratto, somigliantissimo, in ceramica e glielo consegnò durante una delle feste. Naturalmente ricevette tanti riconoscimenti pubblici per le sue attività. Partecipava anche alle feste del Rotary Club di Merate, di cui è socio onorario Nico Blasi. E ogni volta mandava frutta e spezie. Nell’occasione di una manifestazione in onore di Martina Franca, voluta da Dely Giuliani Gatti, martinese da tempo nel Comasco, inviò decine di pacchi di rosmarino per addobbare il salone. Paolo Centrone, direttore del Park Hotel della città del Festival venne personalmente accompagnato da cuochi e camerieri che servirono orecchiette e ogni altro ben di Dio. Fragnelli del noto caseificio della terra dei trulli, confezionava le sue delizie e le mandava ai tavoli a tempo di record. Abbascià abbracciò Nico Blasi dopo aver applaudito un suo discorso sull’arte culinaria in Puglia e sulla storia dei cibi offerti al gusto degli ospitii. Poi un giorno Pino Sorrentino, uno dei più assidui soci del sodalizio di via Pietro Calvi, scrisse su Facebook: “Oggi un grande uomo è morto”. Un’epoca era finita per i pugliesi.


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