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Non si vede ma si cura


Nicola Giudetti, che ha un piccolo museo nel borgo antico di Taranto Persone

Nicola Giudetti

Di Franco Presicci:

Ha un suo piccolo museo nel borgo antico, dove tarantini e turisti entrano ed escono, soprattutto in estate, Qualcuno si ferma a conversare con lui, Nicola Giudetti, che tutti conoscono e molti vanno a chiedergli particolari su oggetti antichi, e non solo; altri vogliono soltanto farsi fotografare con il personaggio che di Taranto sa un sacco di cose, anche delle persone che hanno abitato nelle case vicine alla sua; quasi tutti lo hanno nominato re della città vecchia. Lui non se ne vanta, non gli piacciono gli appellativi e le investiture, ma lascia dire.

Anch’io ci sono andato tempo fa, accompagnato da un mio cognato, che non c’è più da un paio d’anni: Alberto. “Vieni con me – mi disse – ti presento una persona interessante: dipinge, scrive poesie in dialetto, ha ricostruito in terracotta la processione dei Misteri, conserva un paio di valve di paricelle alte un metro e mezzo, ‘vulànze’, ‘vummìle’, ‘stadère’, ‘capàse’, ‘na forme de scarpàre e pùre ‘u bangarìedde …”. Mi instillò la curiosità e un bel giorno d’agosto scesi da Martina per incontrare sua maestà, che mi accolse con un sorrise dolce e mi guardò con i suoi occhi piccoli e vispi. “Mo’, tràse, ce fàce, te firme sus’a pòrte? Pigghie ‘a sègge. Acquà tù’stè’ a càsa tòve”. E cominciai a passare in rassegna i vari pezzi bene allineati. Rimanendo in piedi, ritto come il marinaio di fronte alla ronda. Esplorai tutto: “’u strecatùre”, “‘u tràpene a mmàne, ca usàvene pe’ còsere le capasùne…”. Nicola di fianco a me descriveva l’uso e indicava il nome di ogni oggetto, magari da me dimenticato o mai visto “accum’u chianuèzzele ca servève p’u gràtta-gràtte”. Poi all’ingresso si stagliarono una decina di francesi e lui con un italiano mischiato con qualche parola d’oltralpe e altre in dialetto, ma soprattutto con i gesti, eloquenti, li invitava a farsi avanti e ad ascoltarlo in una improvvisata e sapiente lezione su quel patrimonio. Quelli sorridevano simpaticamente, cercando di inoltrarsi nel cuore del discorso, dicevano “sì, bello”, e non sbagliavano.

Stare con Giudetti è bello davvero, ascoltarlo quando legge i suoi versi e quando racconta aneddoti e brevi storie di Taranto di una volta lo è ancora di più. Non per niente Antonio De Florio, Nicola Cardellicchio e alcuni di quelli impegnati a far scorrere la penna per esaltare Taranto, vanno spesso da lui per avere foto da postare su Facebook o per fare le solite quattro chiacchiere. Metto sempre in programma una seconda visita a Giudetti, ma poi non riesco a trovare un’anima buona disposta a portarmi in macchina, perché da qualche anno ho abbandonato il volante. Ma prima o poi riuscirò nell’intento, anche per rivedere i mercati, le facciate delle case, le “strìttele”, la porta chiusa della vecchia bottega di “Cicce ‘u gnùre” e quella, anch’essa chiusa”, del ristorante “Pesce Fritto”, che una volta spandeva profumi quasi fino al borgo. Quanti luoghi desidero rivedere a “Tàrde vècchie”: “’a Duàne”, un tempo affollata di gente in coda per l’acquisto di orate, ostriche, “spuènze”, “còzze pelòse”, “javatùne”… A Milano posso soltanto sognarli, se non ho il tempo e la voglia di andate alla famosa pescheria di via Spadari, in pieno centro. Le paricelle? Ormai non si trovano più da nessuna parte. Conservo due valve acquistate anni fa al mercatino delle pulci alla Salinella, ma devo stare attento a non farle sbriciolare. Ho visto pittori negli anni ‘50 immortalare in quelle valve paesaggi e figure. Lo faceva anche Raffaele D’Addario, che dopo aver lavorato come scenografo a Cinecittà, aveva fatto ritorno al nido. Lo incontrai nello studio del pittore-fotografo Salinari in via Di Palma, di fronte all’edicola di Zappatore (ci andava anche Claudio De Cuia, che un giorno, avevo 17 anni, mi dette una mano a scrivere uno scherzo in dialetto per un compagno discuola).

Giorni fa in un video credo realizzato da Antonio De Florio ho ascoltato Nicola Giudetti recitare una sua poesia in vernacolo dedicata alla mamma. Commovente, per i toni, oltre che per i versi A suo modo, Nicola è anche un attore: quando… si recita, con il gomito appoggiato al bancone pieno di cose sopravvissute al passato, lo si potrebbe immaginare su un palcoscenico davanti ad un pubblico pronto all’applauso. La tarantinità di Nicola seduce, avvince, coinvolge, trascina. Nicola è una forza della natura, è come l’ulivo dallo zoccolo duro. E’ un uomo schietto, generoso, amabile, E’ gentile, comprensivo, dalla parola sciolta come l’acqua di un ruscello. Ed è divertente. Vidi una foto che lo riprendeva con un cappello dalle larghe falde, forse di paglia, mentre azionava, o fingeva, un trapano, di quelli che maneggiavano i “conzagràste”, acculati su una seggiola malridotta all’ingresso di un palazzo. Giudetti ha anche una collezione di cartoline e foto della città di una volta: Galeso, “cuzzarùle”, “pisciauèle”,”’u pònde ca ‘nzòre Mare Picce e Mare Grànne”, Tàrde vècchie e ‘u bùrghe”, negozi oggi spenti della città vecchia, Marche Polle, che fa subito pensare alla maliziosa frase: “A vuè mo’?”, riferendosi alla schedina della Sisal. Alcune le tiene in mostra sulla porta del suo… museo. E la gente si ferma a guardarle, commendando: “Na, vite accum’ère ‘na vòte ‘u pettàgge de Saneminghe”; “E quìdde vìchele cu tànda ‘nasse’, che magari ci sono ancora. E ricorda, se può, facendosi prendere dalla nostalgia. “Quand’ànn’hònne passàte, mamma mèije. ‘U tìembe hà’stàne ‘nu fùrmene, ‘na saètte, am’adevendàte granne”. “Cuncè’, abbuzze e camine” (un marito sbrigativo).

Nicola, se non è già sulla porta, esce, saluta i passanti. Un amico gli chiede il nome di quella specie di verme che si collocava sulla spalla per succhiare il sangue; e lui “Ah, ’a megnàtte, in italiano sanguisuga”. Servito. A un altro mostra il calzolaio in legno con scarpa e lesina tra pollice e indice, e ad una altro ripete ancora una volta che il desiderio di disegnare con tratti continui e sicuri e senza ritocchi, di dipingere angoli di Taranto vecchia, anche sul muro screpolato di uno slargo di fronte, gli venne lavorando con il padre, che era decoratore. Facevo l’aiutante e osservavo i percorsi del suo pennello. E il desiderio diventava così passione. Maneggiavo il legno e ogni altro materiale, a cui cercavo di dare una sagoma secondo un’immagine che mi era veuuta in mente”. Quarto di diciannove fratelli, dovette abbandonare presto la scuola , “ma mi sono coltivato da solo”. E’ nato in via di Mezzo (‘a viremìenze) e lo dice quasi con gioia facendo fremere i suoi baffetti alla David Niven. Si passerebbero giornate intere con Nicola Giudetti, ascoltando la sua biografia, compreso il lavoro all’Italsider. Lui, se glielo si chiede, si racconta “a spìzzeche e muèzzeche”. Recentemente l’lo rivisto in un video, circondato da diverse persone, che avevano mille curiosità da soddisfare: il motivo per cui le cozze di Taranto sono così buone, tanto da essere note anche all’estero; la sua idea del restauro di piazza Fontana eseguito da Nicola Carrino… E’ una persona paziente, disponibile e molto attiva. Ha sempre il cantiere aperto, i mastri sono suoi amici, che come lui tengono a cuore la custodia delle tradizioni, da far conoscere in tante iniziative. Anni fa con un gruppo di collaboratori andò per i mercatini, visitò le famiglie di cittadini anziani alla ricerca di fotografie di volti del passato. Le raccolse e le espose in una sala della chiesa della Madonna della Scala, in via Duomo, dove di solito recitano poesie dialettali e organizzano la pettolata. Tra i volti riscoperti, quello del rigattiere di via Cava e di un vigile urbano severissimo, su cui si costruirono leggende. Si diceva infatti che avesse fatto la contravvenzione addirittura alla moglie, che aveva steso i panni dove non doveva. Esagerazioni, frutti di fantasia, vendetta soltanto perché il vigile faceva il suo dovere non guardando in faccia a nessuno. Multò anche me, che andavo in bicicletta sul marciapiede (dovrebbe essere in servizio oggi, a Milano, dove sui marciapiedi corrono più bici e monopattini che pedoni). Presente tra i volti della mostra anche il poeta e scrittore Alfredo Lucifero Petrosillo e la diva Anna Fougez, gloria della Taranto che fu, a cui Cataldo Sferra ha dedicato un libro bellissimo (“Aveva scè accussì”). Anche in quell’occasione Nicola, mobilitando la sua memoria inossidabile (per la cronaca, è nato nel ‘37) ad alcune signore che lo accerchiavano accennò a un personaggio anche quello scomparso: “‘a mèste”: “Quando una ragazza non aveva ancora trovato marito apriva una specie di asilo. Quella era ‘a mèste”, lui aveva 6 anni e la frequentò. Di lei disse nome, cognome, nomignolo, età. E aggiunse anche quella volta di essere nato nella via di Mezzo, vicino alla chiesa dei Santissimi Medici e confessò il desiderio di una pettola con un filetto di acciuga.


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