In queste settimane monta una critica nei confronti della dirigente scolastica di una scuola, l’istituto “Leonardo da Vinci” di Martina Franca. Lamentele velate o meno da parte di vari genitori, anche di fornitori di servizi, chissà se di qualche insegnante. Anche un articolo giornalistico aveva evidenziato la situazione non semplice che si vive nell’istituto. Motivi avanzati da chi critica: lo scarso dialogo, quindi la scarsa comprensione delle esigenze altrui (chi critica, cioè) nello svolgimento del servizio dirigenziale scolastico. La dirigente a sua volta avrà le sue ragioni da avanzare per la conduzione del lavoro.
Abbiamo cercato di capire cosa stia succedendo. Così abbiamo incontrato alcuni genitori, per capire e per saperne successivamente di più dalla responsabile d’istituto.
È arrivato quindi il momento dell’incontro con alcuni genitori di ragazzi in condizioni particolari. Un caso, in particolare, va ritenuto quello che fa diventare secondario tutto il resto, richieste di spiegazioni, richieste di approfondimenti ecc. Perché è un caso che investe non solo una scuola ma una comunità.
La signora Paola, un anno fa, il 27 aprile 2024, con una lettera alla dirigente scolastica che era in coda ad un elenco di destinatari che partiva dal ministro dell’Istruzione, comunicò che avrebbe ritirato da scuola le due figlie. Due ragazze cieche e dunque bisognose di attenzioni specifiche. Frequentavano il terzo anno dell’istituto “Leonardo da Vinci”.
La donna scrisse la sua lettera in conseguenza di una comunicazione dell’istituto riguardante l’indagine Istat in materia di servizi per gli studenti disabili. “Stando ai dati ufficiali delle ore di sostegno e di assistenza specialistica assegnate alle mie figlie” scriveva la donna “si potrebbe ritenere che da parte dell’istituzione scolastica sia stato effettuato il massimo sforzo per consentire l’inclusione scolastica delle due allieve in questione”. Però, “esaminando la realtà, con gli occhi del genitore non posso esprimere il medesimo giudizio positivo”.
Perché? “La scuola, quale istituzione, mi è sembrata strutturata ed organizzata esclusivamente per allievi normodotati, tant’è che la ritengo incapace di accogliere realmente le mie figlie, quali alunne con gravi disabilità. Le stesse, infatti, sono risultate spesso come un ‘problema’, tant’è che io e mio marito, la mia famiglia tutta, si è dovuta adeguare alle esigenze della scuola, come ad esempio per la riduzione delle ore di frequenza scolastica, perché non tutte le ore potevano essere coperte dal sostegno; per la ‘opportunità’, richiestami sempre per telefono, di non mandare le ragazze a scuola quando anche solo uno degli insegnanti di sostegno non poteva essere presente in classe per esigenze personali, di salute, sindacali e quant’altro; ancora, perché abbiamo dovuto accettare che le ore del servizio di assistenza specialistica fossero usufruite durante l’orario scolastico, in compresenza con l’insegnante di sostegno, mentre tale servizio avrebbe potuto essere utilizzato dal singolo educatore nelle ore pomeridiane presso la propria abitazione, come da noi richiesto, per attività diverse o anche solo di rinforzo di eventuali percorsi educativi iniziati in classe. Ancora, la scuola mi è apparsa incapace di formulare un’offerta formativa adeguata alle esigenze particolari delle mie figlie quali alunne gravemente disabili e non vedenti”. Eccetera.
Ragioni che hanno indotto la signora Paola a considerare il servizio scolastico “piuttosto un disservizio e questo, innanzitutto, per le due ragazze, ma anche per la famiglia, tanto da indurmi a ritirare le stesse, senza neanche attendere la fine dell’anno scolastico”.
Era un anno fa, 27 aprile 2024. Per le due ragazze la famiglia ha messo su un appartamento preso in affitto, al fine di attrezzarlo come aula scolastica adeguata ai loro bisogni. Tutto a spese della famiglia.
La scuola pubblica, ovvero la comunità, da un anno, non ha proprio trovato un modo per riaccogliere queste due ragazze?