Stamattina il presidio dei lavoratori lascia il centro urbano per non creare fastidi. Presidio sulla strada statale 106, a conclusione del corteo dal municipio e attraverso la città vecchia di Taranto.
Bloccata anche la raffineria Eni, stamani, come testimoniano i camion in fila, ad esempio. settimana campale che riguarda l’Ilva e l’indotto farà registrare domani un incontro di chiara importanza al ministero dello Sviluppo economico: il colosso siderurgico chiederà probabilmente la messa in cassa integrazione di cinquemila lavoratori, il massimo possibile.
Poi ci sono i tremila (e più) delle aziende dell’indotto, i quali non vedono lo stipendio, in vari casi, da otto mesi perché l’Ilva non onora i debiti con le imprese. Ottomila posti a rischio, insomma.
La protesta ha riguardato anche gli imprenditori dell’indotto Ilva. Stamani sono andati in prefettura e il presidente di Confindustria Taranto, con una delegazione di imprenditori, ha incontrato il prefetto Umberto Guidato. In mancanza di chiarezza sui crediti vantati da quelle aziende (210 milioni di euro complessivi) sono disposti, gli imprenditori, a spedire le chiavi delle loro sedi a Renzi. Polveriera Taranto.
In mattinata è stato diffuso un comunicato da Renato Perrini, vicecoordinatore di Forza Italia per la provincia di Taranto. Di seguito:
La sintesi finale di quello che è stato presentato dal governo come un provvedimento storico per Taranto, è data in questi giorni da quanto sta interessando migliaia di lavoratori dell’indotto e dalle ripercussioni sui restanti operai diretti Ilva e in generale sull’intero tessuto scoio economico della nostra provincia. Le imprese che attendono i pagamenti da tanti mesi non riescono più a far fronte ad alcun impegno e rischiano di dover portare i libri contabili in tribunale. Conseguenza diretta è quella di migliaia di famiglie che rischiano di restare per strada. E se l’indotto piange, i diretti Ilva non ridono, con parte di essi prossimi alla cassa integrazione. E’ evidente che il ricorso alla legge Marzano sia servita ad evitare il possibile fallimento del siderurgico ma è altrettanto vero che non risolve le tante questioni in piedi. Se è vero, come è vero, che gli ultimi anni di gestione privata hanno determinato una situazione di chiara sofferenza per l’ambiente,la salute, e non ultimo per la stessa capacità di essere presente sul mercato internazionale, non va dimenticato che tutto nasce negli anni 60 e da circa 40 anni di gestione pubblica dell’acciaieria. Taranto è stata di fatto pienamente sfruttata dallo Stato che oggi non assume in pieno le proprie responsabilità. Al momento nessuno può immaginare una alternativa all’Ilva, ma occorre cominciare a progettare un futuro che guardi seriamente ad uno sviluppo diverso, anche in chiave di integrazione alla industria, risanata ed ambientalizzata. Sul piano turistico e della produzione agricola il nostro territorio offre occasioni uniche che finora sono state trascurate. Nell’immediato però c’è da affrontare la grave emergenza dell’indotto che rischia di innescare una polveriera in città. E’ necessario un impegno vero, serio, concreto, del governo, che individui le risorse necessarie, anche accelerando il processo di inserimento di investitori privati.