Il ministero della Salute dovrà pagare un milione 600mila euro più interessi, rivalutazioni e altri accessori. Li dovrà corrispondere agli eredi di una donna di Taranto, deceduta tredici anni fa a causa di cirrosi epatica.
L’origine di quella malattia fu, secondo la sentenza di Appello pronunciata a Lecce e a conferma della sentenza di primo grado, la trasfusione di sangue. O meglio, le trasfusioni. La signora contrasse l’epatite C, vi furono delle cure ma la situazione si trasformò nella letale cirrosi epatica. Gli eredi della donna sono stati rappresentanti, in giudizio, dall’avvocato Francesco Terruli di Martina Franca (foto in alto a sinistra) con il collega Giuseppe Serio. Il ministero è stato condannato, con sentenza provvisoriamente esecutiva, per omesso controllo.
La corte ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza del tribunale di Lecce risalente al 2013.
“La signora” è descritto da chi ne ha rappresentato gli eredi “a seguito di trasfusione di sangue effettuata nel 1972, aveva contratto una epatopatia cronica HCV, con lungo periodo di asintomaticità evolutasi in cirrosi epatica e deceduta nel 2004. Il tribunale di Lecce, previa consulenza medico legale che aveva accertato il nesso di causalità tra l’epatite cronica cirrotica HCV, esitata con il decesso e le trasfusioni di sangue, aveva dichiarato la responsabilità del ministero per l’inosservanza dei compiti di sorveglianza, direttive e autorizzazione in materia di sangue umano, precisando che, pur trattandosi di una trasfusione risalente al 1972, tuttavia già da prima vi erano conoscenze scientifiche sufficienti di contagio di malattia epatica cronica od a trasmissione per via trasfusionale.
La Corte d’Appello di Lecce ha disatteso tutti i motivi di appello proposti dal ministero della Salute, aderendo alle argomentazioni degli appellati e ritenendo corretta la decisione del giudice di primo grado, sia in ordine alla eccepita prescrizione affermando che l’exordium praescriptionis decorre dal momento in cui il danneggiato ha avuto la consapevolezza della riconducibilità del proprio stato morboso alla trasfusione subita, sia in ordine alla responsabilità del Ministero della salute, che, come già ribadito anche dalla Cassazione, era tenuto a vigilare sulla sicurezza del sangue e ad adottare le misure necessarie per evitare i rischi per la salute umana.
La Corte d’Appello ha quindi confermato in toto la sentenza del Tribunale con la conseguente condanna del Ministero della salute al risarcimento della somma liquidata dal primo giudice, i cui danni sono stati riconosciuti proprio per il pregiudizio personale subito dalla perdita del rapporto parentale del congiunto, rispettivamente moglie e madre”.